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Lettere (Sarpi)/Vol. I/38

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XXXVIII. — Al signor De l’Isle Groslot

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XXXVIII. — Al signor De l’Isle Groslot
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XXXVIII. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Io ricevo quotidianamente tanti favori di V. S., che riguardando poi quant’io sia inetto a rendergliene minima parte, mi vergogno di me stesso. Ella non solo mi ha favorito di sue lettere, ma ancora di avvisi e di libri, nelli quali tengo ancora che averà speso qualche somma. E per incominciar da quest’ultima parte, io la pregherò che si degni far spendere qualche cosa anco a me in servizio suo. So che può facilmente far nascere occasione di farmi pagar questo debito; nè la prego perchè vogli restarli meno obbligato, non perchè stimi ch’ella ne tenga conto, ma per far parte del mio debito.

Le sette scritture che m’ha mandato mi sono state gratissime. Son sicuro dovermi valere molto particolarmente di quegli ordini sopra le provvisioni de’ beneficii, e sopra la potestà degli economi [p. 130 modifica]durante l’impedimento d’andar a Roma. Nell’altra inscritta Status in schismate, vi sono molte belle scritture da me non ancora vedute. La sentenzia di Pithou sopra gl’interpreti latini l’ho veduta molto volentieri, avendo per lo passato molto pensato sopra tal materia. Mi pare ch’egli affermi cose assai senza portar ragione. Le memorie di Tillet le ho vedute, e ne tengo un altro esemplare, il quale donerò a qualche persona che sii per valersene. Se le cose nuove mi si possono mandar tutte, delle vecchie è bene che lo sappia prima, acciò V. S. non s’affatichi a provveder cosa che io abbia. Delle scritte contro Gesuiti ch’ella mi nomina in quest’altra delli 24 settembre, io ho il Franc et veritable discours: anzi, poco dopo la partita di V. S. di qui, fu da un gentiluomo tradotto in italiano, e fatto stampare. Ma sanno li Gesuiti quel che anco costi: li pagano carissimi per estinguerli: e in questo sono gran valent’uomini.

Le arringhe di Arnauld e di Dolé (1594), presuppongo che contengano particolari, essendo scritte in questi ultimi tempi e per occasione così grande: onde le desidero molto.

Questi padri Gesuiti quanto più al presente stanno in silenzio nè fanno moto alcuno di ritorno, tanto più è verisimile che macchinino, e siino per usar gran sforzo tutti insieme. Per il che io giudico esser necessario star preparato, e purchè vi sii difesa bastante, alli loro assalti. Io non confido se non in Dio, se alla Sua Maestà piacerà tener lontana di qua tanta contagione; chè nel rimanente ho tutte ragioni di temere.

Diedi la sua al signor Assellineau, che mi [p. 131 modifica]participò li avvisi, quali tengo per veri e indubitati. Forse piacerà a Dio che il mal animo de’ nostri avversari rimanga senza effetti.

Le cose di Germania, sebbene non si muovano con moto regolato, turbano però in tal maniera, che daranno da pensare assai. La tregua con li Stati la teniamo per esclusa.2 Tutti averanno che ridire. Non però me ne rallegro a nostro servizio, non essendo questo un medicare il nostro male, ma solo un differirlo, e a maggior vantaggio de’ nemici. L’ozio non ci è utile: il nostro bene sarebbe un poco di negozio; ma non però tanto che superasse le nostre forze, le quali sono assai deboli, e più per mancamento di esercitazioni, che de’ modi. Uno svegliatore ci sarebbe utile, ma non un colpo di cannone che ci stordisse; e ardisco dire che quando fossimo stati svegliati qualche poco tempo, sentiressimo le colubrine senza offesa delle orecchie. Nelli successi passati siamo usciti delli lacci tesici assai onorevolmente: tenerci per certo che meglio fossimo per governarci all’avvenire, se però non dormiremo. Una cosa mi duole: che non veggo che l’utile implichi il lume che Dio ci ha mostrato in cosa alcuna che sii a gloria divina; e però mi fa dubitare che non provochiamo la sua ira.

L’avviso che monsieur Bongars dà delle cose di Germania, risponde a quelli che abbiamo d’altre parti; e tutti mostrano moti, sebbene irregolari. [p. 132 modifica]Tale però è il costume d’ogni regione quando passa da lungo ozio all’azione. Credo non uscirà la state presente, che produrrà questo bene e ci aprirà li passi: noi non saremo chiusi, come adesso, da casa d’Austria; e potrà venir qualche cosa più grossa di quelle che il corriere può portare. Restandoci però sempre qualche difficoltà, pregherò V. S. di dar prima avviso, acciò non usasse fatica per cosa che s’avesse poi qui.

La relazione non si manda per il signor Cornaro ambasciatore in Inghilterra, perchè il signor Domenico Molino, che nelle cose è molto esatto, ci vuole aggiunger alcuni particolari, quali io aveva sprezzati come leggieri; dicendo lui che la bellezza dell’istoria e la sodisfazione del lettore sta in quelli. Quando sarà mandata al signor Foscarini, gli sarà scritto di comunicare il tutto a V. S.; e di tanto non si mancherà, quando V. S. sarà al suo castello. Se bene si ritroverà separata dalla moltitudine, non però sarà senza miglior compagnia di pensieri e libri; e so bene che allora ancora le passerà per mente qualche cosa da comunicarci a nostro servizio.

Non posso liberarmi dalli timori che il tentativo fatto già da noi, non termini a nostra maggior servitù, come allo schiavo che una fiata fuggito si lascia di nuovo cadere sotto la mano del suo padrone. Solo mi tiene in barriera il pensare che tutto s’effettua secondo la divina disposizione; e che se Dio ci guarderà, saranno vani li sforzi contro noi: se no, saranno vani li nostri. Ho trattenuto V. S. in parole poco pertinenti: per il che farò fine di scriverle, ma non di riverirla; e pregando Dio che le doni [p. 133 modifica]augumento d’ogni sua santa grazia, le bacio la mano.

Di Venezia, il 13 ottobre 1608.




Note

  1. Impressa nella raccolta di Ginevra (1673), pag. 70.
  2. Si consumò tutto quell’anno nelle trattative di questa tregua, a cui per orgoglio non volevasi dar nome di pace, tra l’arciduca Alberto e il re di Spagna da un lato, e le sette provincie d’Olanda dall’altro; e venne alfine conclusa per dodici anni nel susseguente aprile del 1609.