Lettere (Sarpi)/Vol. I/58

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LVIII. — Al signor De l’Isle Groslot

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LVIII. — Al signor De l’Isle Groslot
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LVIII. — Al signor De l’Isle Groslot .1


L’esemplare della confessione che V.S. mi manda, m’è grato, e in particolare per quel 31° articolo; e quantunque tanta diligenza sia stata fatta per estinguere il libro, non dubito che non sia per vivere: anzi questa è la maniera di dar credito ad un’opera;2 e sarà come il successo di Bartolommeo Borghese (se non è eresia darli tal cognome3), che con bruciarlo, li hanno dato più fama e più nome.

Nel quesito che V.S. mi propone, mi sono alcune volte travagliato; e sempre che ho considerato le parole di san Giovanni allegate da lei, mi è paruto che quel nome dovesse esser comune di molti, e per antonomasia di uno: ma se quell’uno fosse per dover trovarsi realmente, o pur se fosse una opinione volgare senza fondamento, il luogo mi pareva non abbastanza chiaro, ma capace di ambe le esposizioni. Ai Tessalonicensi, pare (sebbene non sotto quel nome) che un tal particolare sia pronunciato apertamente: con tutto ciò non mi basta per risolvermi, imperocchè non è fatto chiaro se quel tale sia un uomo individuo, o una quantità d’uomini. In quest’ambiguità resto ancora, nè ho trovato altra persona che riscontrasse nelli miei pensieri se non V.S. Alla quale dirò bene, che il moltiplicar articoli di fede, e specificar come soggetto di quella cose non specificate, è un dar nelli abusi [p. 200 modifica]passati. Perchè non contentarsi di lasciar in ambiguo quello che vi è stato sino al presente? Sentii dire una volta (e ne lascio il giudizio alli intelligenti) che sono statuiti li articoli della fede: chi non li riceve, non ha la fede ed è infedele; ma chi, oltra quelli, crede alcun’altra cosa e la vuole per articolo, e perciò si separa dagli altri, quello è settario: onde non veggo V.S. in pericolo di questo, perchè ella lascia la materia sospesa. Più tosto hanno da considerarsi quelli che formano l’articolo: non credo però che vorranno separarsi da chi non l’ammetterà per certo. Infatti, sottentrano sempre li abusi vecchi, e chi ha cacciato il tiranno della repubblica, se ben con buon zelo, offertali la comodità di acquistar dominio, è molta grazia di Dio se sta nelli termini.4 Di questa materia scriverei più lungamente, quando la lunghezza del viaggio non portasse molti accidenti intermedii.

Il Menino s’è ritirato a Padova, e là si trattiene (penso) con qualche vergogna; sì perchè avendo il principe onorato sei di dugento ducati per uno all’anno, oltre quello che avevano, egli non è stato nominato; sì perchè un gentiluomo che lo teneva in casa, l’ha licenziato.5 Ma delli andati a Roma, fra Fulgenzio si è diportato meglio, perchè ostinatamente ha negato di voler ricevere alcuna penitenza pubblica; confessando d’aver fallato, con dire che questo era contro la fede datagli, nella qual’essi [p. 201 modifica]promettono che non sarà offeso il suo onore. Ma l’arcidiacono ha ricevuto d’andare alle Sette chiese, cioè per tutta Roma, scalzo, con una candela in mano. Non v’ha dubbio che questa è una attestazione che le azioni fatte qui sieno state scellerate, e abbino meritato castigo. Questo è un uomo molto cattivo; ha detto assai cose false contro l’onor pubblico e contro li suoi amici, e incita per quanto può il papa e gli altri contro la Repubblica: ma superfluamente, perchè volontà non manca loro, e forze egli non può somministrargliene. Delli sei che rimangono, oltra me, non ne avranno alcuno; sì perchè adesso stanno molto comodi, come anco perchè sono stati assai risoluti: ma di me, con li stili,6 ho qualche dubbio; non però con travaglio, sì perchè mi rimetto a Dio, come anco perchè non mi dispiacerà, e so che per lo passato questi tentativi li sono riusciti male.

La sua delli 8 gennaio, che doveva venir per il corriero già 15 giorni, non è stata ricevuta da me allora, come le scrissi, nè ora: il che li sia per avviso.

Le cose degli Svizzeri si sanno qui; non solo quelle che passano tra Lucerna e Basilea per il passamentier, ma ancora, tra Lucerna e Zurigo, per un beccaro di quella città imprigionato in Lucerna, e altre differenze tra Fribourg e Berna per alcuni Belgi sudditi in comune. Io son del suo parere, che non si finirà sin che non succeda qualche discordia armata in quella nazione; perchè discordia [p. 202 modifica]d’animo ne veggo pur troppo. Io credo che queste cose sieno delli effetti della gran congregazione de’ Gesuiti tenuta in Roma ultimamente.

Avremo qui presto il duca di Nivers; onde vedremo l’edificazione ricevuta dal Vidame per l’instruzione di Bellarmino. Adesso passa fama che il figliastro del signor di Sully, che si ritrova in Roma, si convertirà: ma quando parlano di futuro, non so che credere. Non s’intende che si parli più del cattolicismo del suddetto duca nè del marchese suo figliuolo. Mi hanno spaventato che il numero di alcuni Gesuiti sia così grande, come V.S. scrive; ma mi consolo perchè qua in Italia li loro allevati li riescono parte amici, parte nemici capitali.

Ho ricevuto l’Istoria gesuitica di Assenmullero, e mi è stata molto grata: non ho però trovato in quella quanto pensavo. Li Tedeschi non sono che gli acuti echi dell’età passata nel libro De modo agendi. Dubito che il signor Castrino abbia preso equivocazione, e che il trovato da lui sia uno di Giacomo Gretsero gesuita, che scrive Apologia contro quello che io ricerco: ma quello l’ho, e ne ho scritto al detto monsignor Castrino, acciò non lo mandi in vano; sì come anco li scrivo oggi delle Constituzioni, che non siano le Regole.

Ho saputo intieramente l’ufficio fatto da cotesta mala lana; sì come anco quello che ha trattato il re Cristianissimo col papa: ma dirò di più, che qui si tiene li Gesuiti esser d’accordo, e aver procurato quel vescovato per il padre,7 e ora aver trovato [p. 203 modifica]questa quinta essenza per metter speranza nel re, che si possino separar di Spagna; cosa alla quale hanno opinione che il re aspiri e abbia avuto in disegno quando li ricevette. Ma tanto è separabile il Gesuita dallo Spagnuolo, quanto l’accidente dalla sostanza: al che ci vogliano parole consecratorie.

Io posso ingannarmi, ma non persuadermi che segua lunga tregua ne’ Paesi Bassi. Credo bene che continuerà quella febbre etica di mesi in mesi, che non sarà nè pace nè guerra nè tregua, ma peggio di tutto.

Del re d’Inghilterra non so far comparazione se non ad Enrico III di Francia, che riputava la virtù del privato più eccellente della regia: però sprezzava queste e si riduceva alle monastiche. Dio faccia che il fine sia diverso:8 del che dubito, conoscendo questi gran maestri nelle insidie, tanto che avranno con questa via guadagnato. E Dio voglia che quel Blacwel non sia d’accordo! io non lo giurerei. Ho inteso l’incontro ricevuto da monsieur Bochello per il suo libro della libertà: in fatti, non tralasciano cosa intentata. È bene tempo ch’io finisca di dar noia a V.S. con questa lunghezza. Farò fine baciandole la mano. [p. 204 modifica]

Il giudizio che V.S. molto illustre fa di me, dall’evento gli sarà fatto conoscere sicuro; come anco li mostrerà certo che versiamo, io e quei gran maestri, in contradittorio di opinione di fede e di abitudine, avendomi Dio fatto grazia di tanta luce, che conosca l’abominazione. Bacio a V.S. molto illustre le mani, e gli resto umilmente servitore.

Venezia, li 12 febbraio 1609.9




Note

  1. Tra le raccolte e pubblicate Ginevra, pag. 133.
  2. Rileggasi al principio della Lettera LV.
  3. Ironicamente, perchè tale era in quei giorni il cognome del papa regnante.
  4. Non fa d’uopo avvertire i lettori di porre attenzione alla sapienza politica che sta rinchiusa in queste parole
  5. È quel Menino (vedasi a pag. 78, nota 1), che, com’è poi detto nella Lettera XLVII (pag. 168) erasi dato a credere d’esser fatto cardinale.
  6. Si vede in questa formula, sì spesso ripetuta, come una continuazione del motto famoso: stilo romanæ curiæ.
  7. A schiarimento di questo passo alquanto misterioso, può rileggersi, il § II della Lettera LIII.
  8. Sa ognuno che Enrico III morì trafitto da un frate Domenicano (Giacomo Clement) il 2 d’agosto del 1595. A malgrado delle virtù monastiche alle quali si accenna, era stato sì dedito ai piaceri, che trascurò quasi sempre per questi gli affari più gravi dello Stato. Sortì di regnare in tempi e condizioni quanto mai dir si possa difficili. Il De Thou lo dice di natura incomprensibile; eroe talvolta, più che re; tal’altra men che fanciullo. Con questa specie di scongiuro contro i mali futuri, il Sarpi profeteggiava quello che poscia avvenne al suo virtuosissimo ma non meno infelice successore.
  9. Questa Lettera, nella prima edizione, vedesi (contro il solito) sottoscritta: Fra Fulgenzio. Noi pensiamo che questa segnatura di nome debba riferirsi all’ultima parte, ovvero post-scripta, di essa, la quale incomincia: “Il giudizio che V.S. ec.„