Lettere (Sarpi)/Vol. I/89

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LXXXIX. — Al signor De l’Isle Groslot

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LXXXIX. — Al signor De l’Isle Groslot
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LXXXIX. — Al signor De l’Isle Groslot.1


Mi duole sommamente, che siccome io ricevo molto piacere per le lettere di V.S., così non possa renderle se non arido contraccambio, essendo noi qui in una quiete, anzi ozio tanto profondo, che non somministra materia alcuna da scrivere. Ella [p. 291 modifica]avrà saputo come il re d’Inghilterra ha mandato il suo libro alla Repubblica con una lettera di singolare affezione, alla quale è stato risposto con pari amorevolezza e riverenza, e il libro è stato accettato. Ma non è piaciuto al signor duca di Savoia far l’istesso: egli l’ha rifiutato; siccome il granduca di Toscana, avendolo ricevuto dall’agente suo che ha in Inghilterra, l’ha dato al confessor suo che l’abbruci. Io credo che quel re dia molti disgusti per causa di questo libro. A Roma l’hanno già proibito,2 a dozzina con alcuni altri che sono usciti nuovamente.

Io credo che costì le cose sieno in decadenza, come V.S. scrive; nè mi maraviglio, essendoci chi fa ogni opera per precipitarle. Dio vuole che l’aiuto s’attenda da lui solo, e mortifica tutti quelli che confidano in mezzi umani. Qui le cose non passano in tutto bene, e questo forse per l’istessa causa, che noi non aspettiamo da sua Maestà divina puramente li favori: ma se dovrò parlare umanamente, dall’istessa causa viene che le cose vanno deteriorando costì e qui. Le arti mondane sono molto sottili per far male. Di dove è venuto che quel gran principio fosse sopito, di là anco viene che nissun altro si può eccitare.

Intorno le cose di Provenza, quando V.S. sarà in Parigi, la pregherò intendere da qualche eccellente soggetto qualche particolare; cioè come il re abbia perduta la sovranità di Avignone e del contado Venosino: imperocchè, essendo molte figlie [p. 292 modifica]dell’ultimo conte di Provenza, alla morte del padre si ritrovò la primogenita in matrimonio di san Luigi, e l’altra senza marito. A questa il padre lasciò la Provenza. San Luigi ebbe il testamento per nullo, e pretese lo stato per la moglie sua; poi, maritata l’altra a Carlo suo fratello, li cesse il contado. Pare che perciò gli dovesse restar la sovranità; onde quando la regina Giovanna diede o vendette a Clemente VI Avignone e il contado, non pare che potesse derogare alla sovranità regia. Questo punto vorrei che mi fosse risoluto da qualche valent’uomo.3

Mi sono stati molto grati li avvisi da Praga, che confermano le stesse cose che noi abbiamo qui da quelle regioni; siccome anco da tutti li luoghi di Germania siamo assai bene avvisati. Non so pronosticare se la pace universale, in cui il mondo versa, sia per durare o per interrompersi con le cose di Cleves. Inchino nondimeno a credere piuttosto pace che guerra, con suspicione che chi s’intromette, lo faccia per male, com’è il suo solito; purchè col voler esser arbitri d’ogni negozio, non incorrano un odio, universale.

Nel negozio della nostra Abbazia, si tiene che sia trovato temperamento; sicchè con comune soddisfazione si terminerà. A me dispiacciono tutte le risoluzioni che non sono a mio grado. Dio ci doni conoscenza e buona volontà! Io resto con molto desiderio d’incontrare occasione di servir V.S.; alla quale, per fine di questa, bacio la mano.

Di Venezia, il 18 agosto 1609.




Note

  1. Tra le pubblicate in Ginevra ec., pag. 184.
  2. Questo libro portava il titolo di Apologia pro juramento fidelitatis, e fu proibito con decreto dei 23 luglio 1609.
  3. Questo quesito medesimo era stato dal Sarpi proposto al Groslot nella Lettera (XLVI) degli 11 dicembre 1608.