Lo spazzino ar caffè
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Questo testo fa parte della raccolta Sonetti romaneschi/Sonetti del 1837
LO SPAZZINO1 AR CAFFÈ.
Averò ddetto un sproposito grosso:
Ne dichi2 adesso un antro3 puro4 lei.
Diammine! ôh mmanco poi fùssimo ebbrei:
Pe’ sti prezzi che cqui,5 ppropio nun posso.
Eppuro è avolio!6 Pijji questa d’osso,
Caro siggnore, e jje la do ppe’ ssei.
Via, me creschi un papetto,7... nun zaprei...
Ciaggiónti8 du’ carlini9... un giulio... un grosso...
Rifretti10 che sso’11 ggeneri de Francia.
Spacchi er male pe’ mmezzo: dia un testone,12
E sservirà pe’ ffà la prima mancia.13
Via, nun vojjo ch’arresti14 disgustato:
Compenzeremo in d’un’antra occasione.
Màa!, nnun lo dica, veh, ccos’ha ppagato.
6 febbraio 1837.
Note
- ↑ Girovago mercante di minutaglie. [Ma anche non girovago. Merciaio, a Firenze.]
- ↑ Dica.
- ↑ Altro.
- ↑ Pure.
- ↑ [Per questi prezzi qui. Il che è un pleonasmo, usato frequentemente anche dal popolo di Toscana.]
- ↑ Avorio.
- ↑ [Il papetto, ch’era la lira romana e valeva poco più della nostra, si divideva in venti baiocchi, o in due giuli, o in quattro grossi.]
- ↑ Ci aggiunti, per “ci aggiunga.„
- ↑ [Un carlino valeva sette baiocchi e mezzo.]
- ↑ Rifletta.
- ↑ Sono.
- ↑ [Moneta d’argento del valore in trenta baiocchi.]
- ↑ [Il primo affare, il primo piccolo guadagno.]
- ↑ Che resti.