Macbeth (Shakespeare-Rusconi)/Atto secondo

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Atto secondo

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William Shakespeare - Macbeth (1605-1608)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1858)
Atto secondo
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ATTO SECONDO




SCENA I.
Un cortile nel castello di Macbeth.
Etrano Banquo, Fleance, e un domestico portante una torcia.

Banquo. A qual punto è pervenuta la notte, figlio?

Fleance. La luna è già tramontata, ma non ho intesa alcun’ora.

Banquo. E il suo tramonto volge alla mezzanotte?

Fleance. Credo anche più tardi.

Banquo. Tieni; prendi la mia spada. — Ma il cielo è ben parco di sua luce in questa notte; pare che tutti i suoi fari siano spenti. — Il sonno come un enorme peso m’opprime, e nondimeno non vorrei abbandonarmivi. Potenze del cielo, fate scomparire dalla mia mente le odiose immagini che sogliono ingomberar la fantasia durante il riposo dei sensi!

(Entra Macbeth con un altro domestico).

Ridammi ora la spada... Chi è che s’avanza?

Macbeth. Un amico.

Banquo. Come, signore, ancora vegliate? Il re, dopo l’eccellente banchetto che gl’imbandiste, s’è di già coricato, non prima d’avere largamente retribuiti i vostri ufficiali, e inanellata d’un bel brillante l’amabile vostra sposa.

Macbeth. Ignari della sua volontà di passar qui una notte, non potemmo riempire che pochi di quei doveri che a noi spettano; ove fattine consci più presto, meno male lo avremmo accolto.

Banquo. Tutto andò mirabilmente, non ne dubitate. — Entrando ora in altre cose, voleva dirvi che nella scorsa notte sognai delle tre Furie infernali, le di cui predizioni sonosi per voi in parte almeno avverate.

Macbeth. Non penso omai più a loro, sebben grato mi sarebbe il parlarne anche una volta fra di noi, con tutto nostr’agio: ne stabiliremo il giorno.

Banquo. Come più v’aggrada.

Macbeth. Quando entrar vogliate nelle mie vedute, deciso ch’io sia, potrete ritrarne onori e piaceri.

Banquo. Se tardando ad accrescerli non incorrerò il pericolo

I. — 4          Shakspeare. Teatro completo. [p. 50 modifica]di smarrirli, se mantener potrò sempre un cuor leale verso il mio sovrano, non temiate ch’io sia tardo ad abbracciare i vostri consigli.

Macbeth. Buon riposo per ora.

Banquo. Abbiatene lieto ricambio.

(escono Banquo e Fleance)

Macbeth (al suo domestico). Avverti la tua signora, che apprestata che m’abbia la bevanda della sera, voglia farmene istrutto con uno squillo di campana: vanne poscia in letto (il domestico esce colla torcia). È egli un pugnale quel che mi veggo dinanzi, coll’elsa rivolta verso la mia mano....? Ch’io t’afferri, se il sei; vieni... Ma tu mi sfuggi; e nondimeno sempre innanzi mi ti mostri. Fatale immagine, perchè non sei tu sensibile al tatto, come alla vista? o saresti invece solo una larva della mente, un’immagine falsa creata dalla inorridita fantasia....? Ah! ma io ti veggo, e sotto forma sì nera, quanto quella che riveste questo ferro che mi sta al fianco. Tu mi precedi nella via ch’era mia mente intraprendere, ed arma mi appresti simile a quella di cui intendeva valermi. — I miei soli occhi son delusi da un errore che gli altri miei sensi non dividono; e se veggono il vero, rispondono per sè soli ad ogni altro senso... Sì, presente, presente ognor tu mi sei, e sull’aguzza tua lama io discerno una riga di sangue... Ma nulla realmente esiste... ed è solo il delitto, ch’io medito, che mi atterrisce e m’inganna....! Ora per la metà del mondo la natura par morta, e sogni funesti turbano il riposo degli uomini. Ora innanzi alla pallida Ecate celebransi i misteri delle Streghe; e l’ora è questa, in cui l’assassino livido si sveglia ai ruggiti del lupo, sua scolta, e tacito come spettro s’avvia fra le tenebre a consumare il delitto. — O terra, solida ed immota, sii sorda a’ passi miei; non lasciar orme sulla via che imprendo; non gemere dalle tue più riposte viscere, per disvelare al mondo il delitto, a compiere il quale mi porgi sì propizio istante....! Ma, mentre io minaccio, egli vive..., e fra inutili parole spendo l’ora consacrata all’azione (s’ode lo squillo della campana). (Macbeth rabbrividendo) Si corra; è deciso: questo suono m’invita. Oh Duncano! non udirlo questo squillo ferale, che funebre t’appella nel regno degli estinti

(esce)


SCENA II.

Lady Macbeth.


Il liquore che gli ha inebbriati non fe’ che accrescere la mia audacia, e ciò che coloro agghiadò m’empì di fiamme. — [p. 51 modifica]Ascoltiamo!.... qual gemito....? Ah! fa il gufo, sinistro messaggiero della notte, che intuonò il suo più tetro addio... (accennando alle stanze regie). E già ferve l’opra... Sì, la regal porta è aperta, e gli ufficiali sepolti nell’ubbriachezza covano i sogni dell’obblio, della dimenticanza. Nelle loro coppe infusi droghe di tal valore, che la morte e la natura stanno ora contendendo intorno ad essi, se siano vivi o morti.

Macbeth (dal di dentro). Chi è là?.... parla!

Lady Macb. Oimè! svegliati si fossero pria che compiuto il delitto....? Udiamo... e non pertanto i loro pugnali adattai in guisa, ch’ei non poteva ingannarsi... Oh! se somigliato nel sonno non avesse a mio padre, ben io l’avrei trucidato... Ma chi viene?.... tu, sposo....?

Macbeth. Ho compiuto il delitto....! Non intendesti alcun romore....?

Lady Macb. Intesi l’ululo del gufo... il mormorio degl’insetti minutissimi... Ma alcuna parola non uscì dalla tua bocca?

Macbeth. Quando?

Lady Macb. Or ora.

Macbeth. Mentr’io scendeva?

Lady Macb. Sì.

Macbeth. Taci...! Chi dorme, dimmi, nella seconda stanza?

Lady Macb. Donalbano.

Macbeth (guardando le sue mani insanguinate). Vista tremenda e fatale!

Lady Macb. Disperdi le triste immagini, discaccia i folli pensieri.

Macbeth. Uno de’ ciambellani rise fra il sonno, mentre l’altro gridava al delitto: si svegliarono così entrambi, e mi fermai per ascoltarli; ma, dette alcune preghiere, tornarono ad addormentarsi.

Lady Macb. Ambidue riposano nella medesima stanza.

Macbeth. Uno gridò: Dio ne assista. Amen, rispose l’altro, come se veduto m’avessero con queste mani di carnefice. Nè, in attenzione di loro, io potei mai dir Amen, mentr’essi ripetevano: Iddio ci benedica.

Lady Macb. Allontana da te questa idea.

Macbeth. Ma perchè non pote’ io proferirlo quell’Amen? perchè? Ah! in quell’istante io ne sentiva pure il bisogno; ma esso mi si agghiadò nella strozza, nè potè mai uscirne.

Lady Macb. Non è in tal guisa che debbonsi riguardare codeste azioni, altrimenti ci farebbero insanire.

Macbeth. E mi parve d’intendere una voce che mi gridasse: [p. 52 modifica]«Tu più non dormirai, Macbeth! Macbeth, non uccidere il sonno, il sonno dell’innocente, il dolce sonno, che rimargina nel cervello i dolorosi solchi del pensiero, e ricrea ogni dì l’uomo alla vita; che rinfranca l’esausto corpo dalle stanchezze, qual bagno salutare; che sana le piaghe dell’anima, qual balsamo celeste; che, agente secondo dell’onnipossente Natura, riabilita e rinnovella le forze pei godimenti della terra...».

Lady Macb. Che intendi tu dire....?

Macbeth. E incessante all’orecchio quella voce mi gridava: «Tu più non dormirai, Macbeth! Glamis, tu uccidesti il sonno. Cawdor, l’eterna veglia è presta!».

Lady Macb. Ma qual voce così gridava? Ah! nobile Thane, e potete voi tanto a lungo intrattenervi in tali follie? Uscite; lavatevi di quelle macchie che vi lordano le mani... Riportate quindi i pugnali nelle stanze ove devono restare, e fate che le vesti dei due ciambellani appaiano tinte di sangue.

Macbeth. Io non rientrerò più mai in quella stanza....!

Lady Macb. Insana debolezza....! Porgi a me dunque i pugnali. Gli addormentati e gli estinti son solo vane pitture, nè ad altri, fuorchè alla credula infanzia, è lecito lo spaventarsi di demoni dipinti. Se il sangue dell’ucciso re sgorga ancora, io ne tignerò le mani e i volti dei due ufficiali, acciocchè in loro ricada la pena del nostro delitto (Esce. S’ode battere alla porta del castello).

Macbeth. Chi batte sì forte...? Oime! come mutato sono! come ogni romore mi atterrisce! — E queste mani! Ah! esse m’acciecano d’orrore! L’Oceano intero potrà egli lavar questo sangue, e cancellarne l’impronta? Io temo prima che l’Oceano stesso ne sarà contaminato, e eternamente volgerà purpuree le sue onde.

Lady Macb. (rientra). Mira; le mie mani rosseggiano come le tue; ma sento vergogna d’aver un cuore sì candido. V’ha qualcuno che batte alla porta di mezzodì. Ritiriamoci. Alcune gocciole d’acqua faranno scomparire ogni memoria di quest’opera. Qual cosa infatti più facile? Ah Macbeth! il tuo coraggio t’abbandonò a metà della via... Ma odi: i colpi raddoppiano (s’intende battere). Vieni; entriamo nelle nostre camere, e corichiamoci, che una veglia sì protratta non inducesse sospetti. Seguimi, Macbeth; in te ritorna; non lasciarti sì vilmente vincere da inutili rimorsi.

Macbeth. Primachè conoscere il mio delitto, vorrei perdere ogni conoscenza dell’esser mio... (s’ode battere). Oh Duncano! svegliati a questi colpi! Così, infelice, il potessi! (escono)

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SCENA III.

(Entra un Portiere)


Portiere. Qui si batte, nulla di più vero; ma se un uomo custodisse le porte dello Inferno, egli dovria ben di frequente volgerne e rivolgerne la chiave (battono). Picchia, picchia, picchia. Chi va là, in nome di Belzebub? Egli è un fattore che s’appiccò, stanco d’attendere le messi: arriva in tempo; porti pur seco buone tele, che qui n’avrà d’uopo per asciugarsi il sudore (battono). Picchia, picchia. Chi è là, in nome del Diavolo? In fede mia, è un dottorino che avrebbe giurato sopra entrambi i piattelli della giustizia, e commesso mille mariuolerie, segnandosi sempre nel nome del Signore. Oh sia il benvenuto, dottore (battono)! Picchia, picchia, picchia. Chi è là? Sull’onor di Satanasso, l’è un sartore. Ah maladetto sartore! vieni qui ad abbrustolarti la bugiarda lingua (battono). Picchia, picchia: mai un momento di riposo! Chi siete voi...? Ma questo luogo è troppo freddo per poter raffigurare l’Inferno, nè voglio più farla da portiere del diavolo. M’era immaginato di condur qui un uomo di tutte quelle professioni che guidano pel più breve cammino al fuoco dell’eterna gioia; ma..... (battono). Vengo, vengo (va ad aprire). In mercè, signori, non vi dimenticate del portiere.                (entrano Macduff e Lenox)

Macduff. Buon uomo, ti coricasti dunque assai tardi iersera, per dormire anche a quest’ora?

Portiere. Affè, signore, che sbevazzavamo ancora alla seconda cantata del gallo; e il bere sapete che è un gran provocatore di tre cose.

Macduff. Quali sono queste cose che il bere provoca?

Portiere. Il sonno, la parola, e un’altra che, se mel permettete, passerò sotto silenzio.

Macduff. Alla buon’ora, il mio uomo: or vanne a vedere s’è alzato il nobile Macbeth. Col frequente nostro battere avremmo dovuto risvegliarlo; e se non m’inganno... sì, eccolo appunto.

(entra Macbeth)

Lenox. Buon giorno, valoroso Macbeth!

Macbeth. Buon giorno ad entrambi, signori.

Macduff. Il re dorm’egli ancora, nobile Thane?

Macbeth. Non credo.

Macduff. Mi commise di chiamarlo assai per tempo, e l’ora è già innoltrata.

Macbeth. Se bramate andar da lui, quella è la sua porta.

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Macduff. Ed è solo andandovi, ch’io riempio il mio dovere.

(Macduff esce)

Lenox. Vuol partir oggi il re?

Macbeth. Tale fu il suo ordine.

Lenox. La scorsa notte si parve invero ben tempestosa! Nella camera nostra una parte del tetto crollò, e sonosi, dicono, intese per l’aria voci lamentevoli, orrendi gridi di morte e lugubri accenti annunzianti feroci calamità. L’uccello dei sinistri presagi ha gemuto per lungo tempo, e v’ha chi pretende che la terra abbia tremato.

Macbeth. Oh terribile notte!

Lenox. La giovine mia memoria non ne ricorda alcuna di simili.

(rientra Macduff)

Macduff. Oh orrore! orrore! orrore! Non v’è nè lingua nè cuore che possano concepirti o descriverti!

Macbeth e Lenox. Che mai è accaduto?

Macduff. La scelleraggine ha qui commessa la sua più orrida prova. L’omicidio più iniquo ha spento la vita nell’unto del Signore...

Macbeth. Che dite? la vita...

Lenox. Del re voleste intendere....?

Macduff. Venite, entrate nelle sue stanze, e ivi contemplate cosa che vi agghiaderà di terrore! Ah! non vogliate ch’io ’l dica.... Entrate voi stessi, e poi parlatene. Olà, olà, correte, correte tutti... battete a stormo nelle campane (Macb. e Len. escono). Oh omicidio! oh delitto! infame tradimento! Banquo, Malcolm, svegliatevi, impugnate le armi; scuotetevi da un sonno pacifico, immagine della morte, e venite a contemplare la morte stessa. — Alzatevi, alzatevi, e assistete a spettacolo degno dell’ultimo dì del mondo. — Malcolm, Banquo, sorgete come dai vostri sepolcri, e simili a spettri avanzatevi per sostener la vista di tanto orrore.

(La campana comincia a stormire: entra Lady Macbeth)

Lady Macb. Qual è il motivo?.... perchè sì improvviso strepito?.... parlate, parlate.

Macduff. O amabile signora, e’ non s’addice a voi l’intendere quel ch’io potrei dirvi. Il racconto di tal novella potria uccidere una donna. — Banquo! Banquo! il nostro buon re è morto... assassinato....

(entra Banquo)

Lady Macb. Ah orrore! mio Dio! e questo in casa nostra!

Banquo. Oh sventura crudele, qualunque ne sia il luogo! Mio Macduff, te ne prego, smentisci, se il puoi, una tal voce.

(rientrano Macbeth e Lenox)

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Macbeth. Se fossi morto un’ora prima di questo avvenimento, avrei vissuto una vita felice; imperciocchè da questo istante non vi sarà più gioia per me al mondo. Tutto è finito; esausta è per me la coppa dell’esistenza, e solo la feccia mi rimane da tracannarne.

(entrano Malcolm e Donalbano)


Donalbano. Che avvenne?

Macbeth. Vivete e l’ignorate? La sorgente del vostro sangue è inaridita; la pietra angolare di questo regno crollò.

Macduff. Il real vostro padre mori assassinato!

Malcolm. Dio! e da chi....?

Lenox. Dagli ufficiali che vegliavano presso le sue stanze, secondo ogni sospetto. Le mani, i volti ed i pugnali di coloro tutti intrìsi di sangue, nonchè i loro occhi smarriti, bastarono pur troppo a rivelare i colpevoli.

Macbeth. Ah! perchè nell’ira mia trafissi loro il cuore?

Macduff. Voi gli uccideste? e perchè?

Macbeth. Mal dov’è l’uomo ch’esser possa in pari tempo savio e sdegnoso, riposato e fervido, leale e insensibile! II mio braccio, invasato com’io era di zelo, si ribellò all’impero della ragione. Qui stava l’infelice Duncano adagiato, livido il seno e la faccia di sangue rappreso, che parea invocar distruzione e mina sul mondo... Là immoti pendevano i suoi assassini, brutti di macchie, sicure rivelatrici del loro delitto... Ah! qual uomo a quella vista potea trattenersi? qual uomo fornito d’un cuor generoso non sarebbe stato spinto in quell’istante a vendicarlo?

Lady Macb. Oh! soccorretemi; io manco....!

Macduff. Abbiate cura di lei; allontanatela.

Malcolm. (a Donalbano). Perchè tacciam noi? Un tal silenzio puote farne accusare.

Donalbano. Oh! e che potremmo dire in luogo dove la morte, agli agguati fra l’ombre, può d’improvviso avventatisi sopra ed atterrarne? Fuggiamo, fuggiamo da quest’ospizio sconsacrato; tempo verrà poscia per ispandere le trattenute lacrime.

Malcolm. È dare sfogo ad un dolore operoso ed ardente.

Banquo. Rientriamo per ora, signori, nelle stanze che ci vennero assegnate; e, riparato che avremo ai disordini del nostro vestito, uniamoci di nuovo per indagare nei misteri del terribile avvenimento occorso, e scoprirne, s’è possibile, gli autori. Per me, io mi sto sotto la salvaguardia onnipossente del Dio dell’innocenza; e, in questa fidando, combatterò sino agli estremi contro lo sconosciuto autore di questo delitto.

Macbeth. E così farò io.

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Tutti. E così tutti.

Macbeth. Animo, affrettiamoci dunque, e ritorniamo poscia tutti in questa sala.

Tutti. Così sarà fatto.

(escono tutti, tranne Malcolm e Donalbano)

Malcolm. A qual partito pensi tu di attenerti? Con loro io non mi unirò. Mostrar un dolore non sentito è cosa facile pel fraudolento; ma ardua per l’uomo giusto. — Io vommene in Inghilterra.

Donalbano. Ed io in Irlanda. Separandoci l’uno dall’altro, saremo più sicuri. Nel castello che ora abitiamo la voglia omicida si cela sotto il sorriso, e i più propinqui per sangue intendono all’opere più sanguinose.

Malcolm. Il braccio che ne privò del padre sta ancora levato, e il consiglio migliore per noi è d’evitare i suoi colpi. Apprestiamo dunque i cavalli, e inosservati fuggiamo. Lice il sottrarsi ancora di tal guisa ai pericoli, quando più non rimane nè sicurezza nè fede.

(escono)


SCENA IV.

Il di fuori del castello.

Entrano Rosse e un Vecchiardo.

Vecch. Ormai settant'anni ho passati di vita; e sebbene crudeli guerre e atroci vicissitudini io m’abbia vedute in questo corso di tempo, queste nondimeno son nulla, poste in bilancia colla spaventosa notte ch’è trascorsa.

Rosse. Ah buon padre! tu vedi come il Cielo, sdegnato delle colpe dell’uomo, minaccia questo mondo di sanguinosa tragedia. A ragione dell’ora che corre, il giorno dovrebbe lucere; e nondimeno una fosca notte abbuia il gran faro che quotidiano e eterno viaggia pei cieli. La notte diviene ella eterna, e inorridisce omai il sole di rivelarsi a noi? Come mesta è la terra così sepolta fra le tenebre, quando benedetta dovrebb’essere da tanta luce d’amore!

Vecch. È un fenomeno contro natura, come il delitto che si compì, e che funesti presagi purtroppo ci avevano annunziato. Non sono scorsi tre giorni da che fu visto un falco dirizzato a volo verso altissima torre, sorpreso da un gufo che in un baleno il divorò.

Rosse. E i cavalli di Duncano, prodigio strano ma sicuro, che correvano i campi sì lieti, sì leggieri e vivaci, tramutarono d’improvviso la loro natura, e, rotto ogni freno, invasero i campi, già ribelli all’uomo.

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Vecch. V’ha chi narra averli visti divorarsi l’uno coll’altro.

Rosse. Nulla di più vero; ed io stesso rimasi attonito spettatore dell’orribile fatto, (entra Macduff) Ecco il buon Macduff. — Ebbene, signore, come vanno gli eventi?

Macduff (additando le tenebre del cielo). No ’l vedete voi forse?

Rosse. Si sa infine chi compiesse l’infame opera?

Macduff. Coloro che Macbeth svenò.

Rosse. Oimè! ed a qual fine lo fecero?

Macduff. Lo ignoro: forse furono sedotti. Malcolm e Donalbano sono scomparsi improvvisamente, e una tal fuga fa cader su di loro gravi sospetti.

Rosse. Oh delitto contro natura! oh barbaro parricidio! Tanto potrà negli uomini l’ambizione? — Ora poi forse la corona cadrà in Macbeth?

Macduff. Egli è già ito a cingerla a Scone.

Rosse. E il corpo di Duncano ove riposa?

Macduff. È stato portato a Colmes-Hill, deposito sacro dalle ceneri de’ suoi maggiori.

Rosse. Andarete voi a Scone?

Macduff. No; a Fife mi si attende.

Rosse. Androvvi dunque io solo.

Macduff. Propizio vi sia il viaggio, e possiate vedervi cose che v’infondano speranza d’un lieto avvenire. Addio: ben molto io temo che le nostre nuove vestimenta riescir non ne debbano pià ardue delle antiche.

Rosse (al Vecchio). Buon vecchio, addio.

Vecch. La benedizione del Signore sia con voi, e con quelli che render vorrebbero buoni i tristi, e amici gl’inimici.