Macbeth (Shakespeare-Rusconi)/Atto terzo

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Atto terzo

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William Shakespeare - Macbeth (1605-1608)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1858)
Atto terzo
Atto secondo Atto quarto

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ATTO TERZO




SCENA I.

Fores. — Una stanza del pelagio.

Entra Banquo.


Banquo. Eccoti dunque re, o Thane di Glamis e di Cawdor; eccoti all’apogeo additato dalle Furie; apogeo a cui temo che con un sol colpo di mano sii pervenuto. Ma le infauste profetesse predissero ancora, che questa corona non sarebbe venuta ne’ posteri tuoi... che io... io solo sarei tronco e radice di una stirpe di re. Se tale promessa ancora avviene che s’avveri... o speranza, impennami le tue ali! Ma gente innoltra... taciamo... quale armonia canora....?

(Macbeth, fatto re, compare al suono di trombe e d’oricalchi; lo seguono la sua donna, Lenox, Rosse, e molti altri cortigiani)

Macbeth. Ecco appunto il più caro degli ospiti nostri.

Lady Macb. Se ei fosse obbliato, l’assenza sua avrebbe lasciato nella nostra festa un vacuo doloroso.

Macbeth. Questa sera, signore, avrà luogo un solenne banchetto nel nostro palagio, e ci sarà grato il vederlo avvivato dalla vostra presenza.

Banquo. Il desiderio che m’esprimete, Altezza, è per me un comando, legato com’io vi sono cogl’indissolubili vincoli dell’obbedienza.

Macbeth. Nel dopo pranzo uscite a cavallo?

Banquo. Sì, mio buon signore.

Macbeth. Avremmo desiderato vedervi nel nostro Consiglio di oggi, perchè voleste esserci largo dei vostri suggerimenti, che furono sempre pieni di saviezza e di prosperità; ma ad altro giorno dunque tal cura. E... andrete lungi col corso?

Banquo. Fin dove, signore, può andarsi cavalcando velocemente tre ore.

Macbeth. Non obbliate al ritorno la nostra festa.

Banquo. E’ mi sarebbe impossibile anche volendo, mio Re.

Macbeth. Ne vien narrato che i nostri rei cugini siano stati bene accolti in Irlanda ed in Inghilterra, ove, lungi dal confessare il loro iniquo parricidio, spargono e vogliono far credere le [p. 59 modifica]più strane menzogne; ma di ciò parleremo dimani. Addio per ora, Banquo; e... a questa sera.

Banquo. Altezza...

Macbeth. Fleance v’accompagna oggi?

Banquo. È suo proposito.

Macbeth. Sta bene; leggieri galoppino i vostri cavalli, e stampino orme sicure. Addio (esce Banquo). (ai cortigiani) Resti ognuno libero insino all’ora del banchetto, onde vieppiù dilettosa vi riesca poscia la vostra compagnia. Partite, signori, e Iddio sia vosco (esce lady Macbeth coi cortigiani), (ad un suo famiglio rimasto seco) Paggio, quegli uomini aspettano ancora?

Paggio. Sì, milord, al di fuori della maggior porta del palazzo.

Macbeth. Introducili (il Paggio esce). Regnare è nulla; mestieri è regnar sicuri. — Banquo mi dà timore. La natura impresse sul suo volto un’aria di sovranità che lo rende formidabile; e a questa, molta audacia egli accoppia, molta fermezza, molta cautela. Sì, egli solo, egli solo mi spaventa, e innanzi a lui io vacillo, come Antonio al cospetto di Cesare. Sorrideva di sdegno allorchè le tre Furie mi salutavano re; e s’udiva ebbro di gioia acclamato padre d’una stirpe di principi. — Coloro non posero dunque sul mio capo che un’inutile corona, e fra le mie mani che uno sterile scettro, il quale dev’essermi strappato da mano straniera prima che ad alcuno de’ figli miei io lo possa trasmettere? E sarà pei discendenti di Banquo ch’io avrò lordata l’anima mia? pe’ figli suoi, che avrò svenato il virtuoso Duncano? pe’ figli suoi che avrò trangugiato l’amaro calice dei delitti, e venduto il tesoro di un’anima immortale all’implacabile nemico dell’uomo? E ciò, tutto ciò, per far di coloro tanti re? I figli di Banquo re? No, no, fatal fortuna; prima che ciò sia, io verserò lottando fin l’ultima goccia di sangue.

(il Paggio con due satelliti di Macbeth)

Macbeth (al Paggio). Poniti ora alla porta, e aspetta i miei cenni.                                             (il Paggio esce)

Macbeth (ai due entrati). Fu ieri, se non erro, che favellammo insieme.

I due Satelliti. Sì, milord.

Macbeth. Ebbene, rifletteste a quanto vi dissi? Se ciò faceste, saprete ora chi fosse che nei trascorsi tempi vi tenne oppressi, mentre che me accusavate, ignaro al tutto di tale malefizio. Le prove che vi arrecai avranno dovuto convincervi del modo con cui foste ingannati, e farvi conoscere che Banquo fu quegli che vi schernì.

Satellite. Ne siamo infatti convinti.

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Macbeth. Di ciò godo. Or ditemi: sarete voi tanto pazienti da lasciare un tale oltraggio impunito? S’albergherà nelle anime vostre una morale sì pura, che vi comandi di pregare il Cielo per l’uomo dabbene, che con mano di ferro vi curvò fin presso al sepolcro, e dannò i vostri figliuoli a perpetua indigenza?

1° Satellite. Siamo uomini, milord, siamo uomini.

Macbeth. Sì, lo so che vi si annovera nella classe degli uomini, come sotto il nome di cane si schierano tutte le specie di questo animale, dall’agile aggraziato levriero fino al tardo e feroce mastino. Ma quindi ogni diversa razza è additata o dalla celerità del corso, o dalla stupida lentezza, o dalla eccellenza del fiutare; e mentre l’una veglia custode alle case, l’altra si avventa sulla preda della foresta, obbedendo così ognuna alle leggi che loro impose natura, e traendo da queste diverse qualità il nome che le distingue. Lo stesso avviene per gli uomini Ora se in voi è un cuore che batta feroce agl’insulti, se un posto a voi proprio tenete fra i viventi, se perduti non errate tra la folla della più spregevole feccia della società, fatemene conoscere, e allora v’affiderò un segreto... un’impresa che vi vendicherà del vostro nemico, che vi renderà per sempre a me accetti, a me cui la vita del nemico vostro fa languire, cui la sua morte colmerebbe d’una felicità perfetta.

2° Satellite. Le vili persecuzioni del mondo m’han condotto a tale, signore, ch’io tutto oserei intraprendere per vendicarmi di lui.

1° Satellite. Ed io sono sì logoro dalla trista vita che meno, che di buon grado la rischierei per renderla più lieta, o terminarla.

Macbeth. Ad entrambi è ora nota l’inimicizia di Banquo verso di voi?

2° Satellite. Più non ne dubitiamo, milord.

Macbeth. Lo stesso nemico vostro è mio nemico, e nutro per lui un odio sì profondo, che ogn’istante della sua vita m’avvelena il cuore. Potrei, è vero, usare apertamente del mio potere, toglierlo dal numero dei vivi; ma, ciò facendo, sveglierei gravi torbidi, mi creerei inimici; farei forse maledire da molti il mio nome. Il mistero mi giova; ed è perciò che a voi ricorro. Altre ragioni m’impongono di sottrarre all’occhio del pubblico questa azione, e di compiangerla io stesso mentre ne sarò stato l’autore.

2° Satellite. Eseguiremo, signore, quello che ne imporrete.

1° Satellite. Sì, quand’anche la nostra vita...

Macbeth. Il coraggio risplende nei vostri volti, e fra un’ora potrete usarne. Fra un’ora v’indicherò il luogo in cui dovrete [p. 61 modifica]celarvi, aspettando in silenzio l’arrivo di Banquo e di suo figlio. Costui, che m’è nocivo non meno del padre, dovrete ugualmente sprigionare da questo mondo. Accordatevi intanto, che fra poco verrò a darvi le necessarie istruzioni.

I due Satelliti. Siam già pronti a riceverle, signore; comandateci liberamente,

Macbeth. Fra poco vi rivedrò: non uscite per ora dal palazzo.

(i due Satelliti s’allontanano)

Tutto è deciso! — Banquo, fra pochi istanti per te comincia l’eternità.

(esce)


SCENA II.
Altra stanza.
Lady Macbeth e un Uffiziale.

Lady Macb. Banquo è uscito di corte?

Uffiziale. Sì, milady; ma prima di notte ritornerà.

Lady Macb. Avvertite il re, che muterei volentieri con lui alcune parole.

(l’Uffiziale esce)     

Lady Macb. Opera vana, sconsigliato desiderio è l’intendere a cosa che ottenuta non ti appaga: il destino della tua vittima è più lieto del tuo, se, uccisa che l’abbi, non ti rimane che una gioia torbida e sconsacrata, (entra Macbeth) Oh sposo mio, perchè ora mi sfuggi? Perchè passar così nella solitudine le ore, non volendo a compagne che le immagini più funeste, e profondato sempre ne’ foschi pensieri, che sepolti giacer dovrebbero con chi ne è l’oggetto? All’irrevocabile, è inutil cosa pensare; il fatto non muta.

Macbeth. Schiacciammo il serpente, ma senza ucciderlo, donna; e, ov’ei rinvenga dall’inutile colpo, ci abbatterà. Ma crollino prima entrambi i mondi, vada sconvolta e maladetta prima tutta la natura, piuttostochè continuare una tal vita, cruciata sempre dai sospetti, fatta orrida ogni notte di sanguinose visioni. Ah quanto meglio per noi fora l’esser nel sepolcro coll’estinto....! Duncano dopo le tempeste della vita, dorme alfine beato, nè più paventa i veleni, i pugnali, le cospirazioni domestiche, e, più che ogni altro, i rimorsi d’una implacabile coscienza....!

Lady Macb. Stoglietevi a tai pensieri, mio buon signore; rendete più mite l’espressione dei vostri occhi; apprestatevi a ricevere con volto gioviale gli ospiti della nostra festa.

Macbeth. Lo tenterò almeno, amor mio; e a ciò fare voi pure esorto caldamente. Vegliate sopratutto su Banquo; affascinatelo [p. 62 modifica]con isguardi e parole; rendetegli i primi onori — Ah! noi non saremo mai sicari fintantochè con queste vili adulazioni ci toccherà d’alleviare lo splendore che ne circonda.

Lady Macb. Bando a ciò per ora.

Macbeth. Oh amata sposa! cento serpi a gara mi divorano il cuore. Tu ben sai che Banquo e Fleance sono ancor vivi.

Lady Macb. Ma la natura non li creò immortali.

Macbeth. Ed è ciò che mi conforta; e’ non sono immortali! Rallegriamoci quindi, tripudiamo al banchetto della vita. — Prima però che l’uccello della notte abbia terminato il suo volo solitario, prima che l’upupa, fedele alla voce della nera Ecate, le abbia col roco grido risposto, un nuovo nè meno orrido delitto dev’essere consumato.

Lady Macb. Un nuovo delitto?

Macbeth. Sì; ma rimanti nell’innocente ignoranza d’un tal disegno, mia amica: tu ben lo approverai, compito ch’ei sia. — Vieni, cieca notte e scellerata; offusca questo pietoso raggio del dì: vieni, e coll’invisibile insanguinata mano spegni il gran faro dell’universo, che mi piove sull’anima le maledizioni del Signore....! La luce si fa pallida, e già il corvo dirige il volo verso l’antica foresta. Gli esseri virtuosi del giorno cominciano ad assopirsi, intantochè i neri agenti delle tenebre si svegliano per sorprendere le loro vittime. — (a Lady Macb.) Tu tremi, donna, stupisci a’ miei discorsi... Oh! non paventare; le imprese incominciate col delitto, mestieri è pur che coi delitti si compiano. Vieni; l’aere è grave... usciamo di qui...

(escono)

SCENA III.
Un parco che mostra in lontananza il palazzo di Macbeth.
Tre satelliti di Macbeth arrivano.

1° Satellite. Ma chi ti disse di unirti a noi?

3° Satellite. Macbeth.

2° Satellite (verso il primo). Ei non dee porci in sospetto, poichè è perfettamente istruito di quello che ci tocca a fare.

1° Satellite (al terzo). Rimanti adunque con noi. — Il sole brilla omai sull’estremo orizzonte, e ammonisce l’incauto viaggiatore di raddoppiare il passo per giungere a casa in tempo: quello che qui aspettiamo non dovrebbe essere lontano.

3° Satellite. Taci! Odo scalpito di cavalli.

Banquo (al di dentro). Recate lumi, olà!

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2° Satellite. È desso certamente. Gli altri convitati banchettano già da qualche tempo.

1° Satellite. Udite! ei scende da cavallo.

3° Satellite. È costume d’ogni cavaliere, che viene al palagio di Macbeth, percorrerne il parco pedestre.

(Entrano Banquo e Fleance: un domestico con acceso torchio li precede).

2° Satellite (a bassa voce). Un lume! un lume!

3° Satellite. È desso.

1° Satellite. In guardia!

Banquo (a suo figlio). Pioverà questa notte.

1° Satellite. Muori, scellerato!

(tutti e tre assalgono Banquo).

Banquo. Oh tradimento! Fuggi, Fleance; fuggi, fuggi... potrai vendicarmi... oh scellerati....!

(muore: Fleance e il servo fuggono)

3° Satellite. Chi fu che spense il fanale?

1° Satellite. Non era il meglio a farsi?

3° Satellite (cercando per terra). Non v’è che un cadavere: il figlio s’è salvato.

2° Satellite. Allora abbiamo fallita la più bella metà dell’impresa.

1° Satellite. Partiamo, partiamo, e raccontiamo a Macbeth quanto è accaduto.

(escono)

SCENA IV.
Una sala del regio palazzo.
Banchetto imbandito. Entra Macbeth, Lady Macbeth,
Rosse, Lenox,
Lordi e seguaci.

Macbeth. Signori, ad ognuno è noto il proprio grado, assidetevi perciò ai vostri posti, e siate tutti i benvenuti.

I Lordi. Sian grazie a Vostra Maestà.

Macbeth. Quanto a noi, privi di seggio fisso, scorreremo fra i convitati colla modestia che conviene all’ospite che li riceve. La regina poi s’assida sul suo trono d’onore, e s’apparecchi a portare un brindisi alla salute di tutta la nobile brigata.

Lady Macbeth. Dispensatemene, signore, per riguardo agli amici nostri, che il mio cuore dice loro abbastanza com’essa mi siano accetti.

(il primo satellite si fa vedere alla porta)

Macbeth (a Lady M.). Vedete, tutti v’onorano, e vi porgono [p. 64 modifica]ringraziamenti. — Sta bene; il numero dei convitati è uguale da ambe le parti. Io mi assiderò quindi nel mezzo, e propinerò ad ognuno la gioia. Signori... (nell’atto che sta per fare un brindisi, scorge lo sgherro alla porta, e va a dirgli con voce sommessa) V’è sangue rappreso sul tuo volto.

Satellite. Sangue di Banquo.

Macbeth. Meglio amerei veder te fuori di questa stanza, che dentrovi colui. — Riuscì bene il colpo?

Satellite. Milord, gli segai la gola, e da valente lo feci.

Macbeth. Onesto amico, ben meritasti da me con tale azione; ma non meno mi sarà caro colui che mandò Fleance fra i morti. Se tu sei quello, non avrai chi t’agguagli nella mia grazia.

Satellite. Real signore, Fleance ci sfuggì.

Macbeth. Oh! i miei accessi di terrore di nuovo m’assalgono, e distruggono una felicità che sarebbe stata perfetta. Schietta e impenetrabile come il marmo che posa sulla sua base di granito, la mia vita si affrancava, e diffondevasi a suo talento libera e pura, simile all’aere che abbraccia il creato; ma ora mi sento compresso, sbigottito, e domo, soggetto per sempre agl’insulti dell’inquietezza e del timore. — Banquo però è in luogo salvo?

Satellite. Sì, mio nobile principe, in salvo entro una larga fossa, con venti gran piaghe nella testa, ognuna delle quali avrebbe efficacia di uccidere.

Macbeth. Grazie te ne siano, mio prode; ma se il gran serpe è schiacciato, il giovane rettile che sfuggì, quantunque innocuo per ora, potrà un dì forse esser del pari velenoso. — Vattene adesso.

(il satellite esce)

Lady Macbeth (a Macbeth). Mio real signore, a che non dividete voi pure la gioia del banchetto? Una festa si trasmuta nella più fredda solennità, quando quegli che la comparto non ne liba i diletti.

Macbeth. Amabile consigliera, che mi rammentate i miei debiti, la gioia risvegli il vostro appetito, e la salute ne sia la felice conseguenza.

Lenox. Vostra altezza degna ella d’assidersi? (l’ombra di Banquo sorge da terra, e s’asside nel seggio di Macbeth).

Macbeth. Vedremmo ragunato sotto questo tetto tutto ciò che il nostro regno ha di più nobile, se il caro Banquo ancora colla sua presenza vi assistesse. Dio voglia ch’io abbia piuttosto a rimproverargli, la sua scortesia, che a deplorare qualche sventura che l’abbia trattenuto.

Rosse. La sua assenza, signore, invalida l’onore della sua [p. 65 modifica]promesse. Ma degnate d’assidervi, Maestà, e onorateci dell’augusta vostra compagnia.

(Macbeth va per sedersi, e vede l’ombra di Banquo al suo posto
invisibile per tutti, fuorchè per lui; s’arresta spaventato
).

Macbeth. Tutti i posti sono pieni!

Lenox. Ma un seggio è pure per voi, signore.

Macbeth. Dove?

Lenox. Là, milord: perchè tremate?

Macbeth (ai convitati). Chi di voi, chi di voi fe’ ciò?

Tutti. Ma che dunque?

Macbeth (alla larva). Oh! non dire che ne foss’io l’autore... non iscuotere così le insanguinate chiome, affisandomi...

Rosse. Signori, alzatevi; il re vacilla.

Lady Macb. No, assidetevi, nobili amici; non attendete a cose, alle quali Sua Maestà va soggetta fin dalla più tenera infanzia. Rimanete, ve ne prego... l’accesso non durerà che un istante. (a Macbeth in disparte) Macbeth, siete voi un uomo?

Macbeth. Sì e un uomo ben intrepido, poichè oso contemplare un oggetto che atterrirebbe Satana stesso.

Lady Macb. Oh uomo debole! e le illusioni avran dunque sempre tanto impero su di voi? Ciò che vedete è larva creata dal timore, come larva era il pugnale che guidava i vostri passi a Duncano. Queste subite emozioni, questi improvvisi terrori s’addirebbero ai racconti di vecchia femmina narrante storie sovrumane... ma in voi riescono vergognosi. Perchè crearvi fantasimi? Voi ben sapete che il delitto fu compiuto, e che là altro non vedete che un vuoto seggio.

Macbeth. Oh! te ne prego, guarda da quel lato... là... là... vedi tu....? Ebbene, non è orribile... tremendo....? Oh! (alla larva) se ti è concesso di scrollare il capo... rispondimi ancora... dimmi... se i sepolcri possono renderne quelli che sepelliamo... se recer possono la preda dopo averla ingoiata.

(l’ombra scompare)

Lady Macbeth. Ah! interamente preso adunque voi siete dalla follia?

Macbeth. Pur troppo il vidi...

Lady Macbeth. Ne vorrete arrossire....?

Macbeth. E nondimeno non fu questa la prima volta in cui andasse sparso l’umano sangue. Dalle prime età del mondo, quando legge alcuna non vigeva fra gli uomini, infino al tempo nostro, atroci omicidi! furono compiuti, i quali a voler intendere geleremmo d’orrore. E un tempo fu, in cui da che un uomo aveva [p. 66 modifica]infranto il cranio, ei se ne moriva: e tutto con lui era cessato. Ma oggi i morti per assassinio risorgono dai loro avelli, e, in onta di cento ferite mortali, s’avanzano verso di noi minacciosi, e ne cacciano dai nostri seggi. È caso più inesplicabile dell’omicidio stesso.

Lady Macbeth. Mio nobile sposo, i vostri amici vi aspettano.

Macbeth. Ah! dimenticava.... non me ne vogliate far carico, signori; attribuite lo scortese obblio ad un’antica infermità che mi logora la vita. — Ora portiamo un brindisi alla salute di tutti. Mescete nella mia coppa, fatela traboccante. Signori, possa la gioia dimorar perennemente ne’ vostri cuori, e serenare la vita del nostro assente Banquo. Quanto sarei lieto di vederlo tra noi! È a lui e a voi tutti ch’io porto quest’augurio...

(l’ombra di Banquo appare di nuovo)

I Lordi. Abbiatevi i nostri rispettosi omaggi, Maestà, per tanto onore.

Macbeth. Lungi da me, spirito fatale... togliti a’ miei occhi... e tu spalancati, o terra, e l’inghiotti nelle tue voragini! Quelle ossa già fiammeggiano... quel sangue già mi si avventa nel volto... quegli occhi, che in me figge, mi dilaniano il cuore con indicibile strazio...

Lady Macbeth. Non vogliate vedere in tale accesso, o signori, che una malattia naturale... che una ben trista malattia...

Macbeth. Tutto che un uomo può ardire, io l’oso. Vieni... affrontami sotto la forma dell’indomito orso, del feroce rinoceronte, della tigre d’Ircania, e non mi vedrai tremare... ovvero ritorna ancora, e paramiti innanzi in un deserto col ferro alla mano. Se allora mi vedrai impallidire... se allora rifiuterò di combattere... allora disprezzami come un vile, come un pusillanime inonorato... Ma fuggi ora, fuggi da’ miei occhi, larva terribile, visione infernale... (l’ombra svanisce) Oh! da ch’ei scompare, le forze mi tornano, io ridivengo uomo, (agli altri) In mercè restate, signori; non vogliate allontanarvi.

Lady Macbeth. L’esaltamento dei vostri sensi ha dissipata tutta la gioia di questa nobile brigata.

Macbeth. Ma tali visioni perchè non s’offrono a’ nostri occhi innocue come le forme che rivestono le aeree nubi d’estate? Perderei la ragione vedendo come abbiate potuto contemplare quello spettro orrendo senza agghiadar di terrore, e farvi lividi com’io mi son fatto.

Rosse. Quale spettro, signore?

Lady Macbeth. Ve ne prego, desistete dalle dimande; altro non [p. 67 modifica]fareste che vieppiù incitarlo. Signori, buon riposo; uscite pur tutti, se vi aggrada.

Lenox. Siavi lieta la notte, e Sua Maestà possa in essa ricuperare la smarrita salute.

Lady Macbeth. Abbiatevi tutti i più felici augurii.

(i convitati escono)

Macbeth. Sangue egli chiede, e l’avrà: il sangue, dicono, chiama sangue. Le pietre talvolta si mossero, e gli alberi e gli augelli parlarono per far dotti gli aruspici di sconosciuti assassinamenti... A qual punto è la notte?

Lady Macbeth. Le ombre contendono ancora il cielo al mattino.

Macbeth. Che pensi di Macduff, che rifiutò d’obbedire a’ miei comandi?

Lady Macb. L’avete fatto chiamare?

Macbeth. No; ma a ciò provvederò. Non v’è un solo Thane fra quelli che m’attorniano, a cui io non abbia corrotto coi doni un domestico. Dimani, sì, dimani andrò innanzi alle tre Furie, e le forzerò a rivelarmi tutto ciò che nell’avvenire mi aspetta. Venuto a metà dell’empia via in cui volli inoltrare, il retrocedere ora sarebbe arduo quanto l’arrestarsi. Mi si aggirano pel capo strani divisamenti che la mano eseguirà; e li eseguirà prima che siano sospettati.

Lady Macb. Le vostre esauste forze dimandano il riposo del sonno, balsamo universale di tutte le creature.

Macbeth. Sì, andiamo a coricarci, e attigniamo dal riposo quell’energia, senza della quale è insopportabile la rimembranza di un delitto.

(escono)


SCENA V.
Sterile landa.
Mugge il tuono. Le tre Streghe appariscono, e si curvano
dinanzi ad
Ecate, ch’entra da un altro lato.

1a Strega. A che, o Ecate, ci guardi con cruccio?

Ecate. Non n’ho io donde, maladette Megere? E come si alletta in voi tanta tracotanza, razza perversa? Come ardite iniziare Macbeth ai misteri di morte, senza ch’io, sovrana de’ vostri malefizii, fossi interpellata per parteciparvi e porre in luce la gloria di nostr’arte? E tutto ciò per chi lo faceste? Per un ingrato tumido di fele e di rabbia, che, simile a tanti altri, v’accarezza solo perchè gli torna in bene; mentre v’abborre, e nell’intimo petto v’ha mille [p. 68 modifica]volte imprecate. Ovviate all’errore; allontanatevi; e dimani accorrete a me sulle sponde d’Acheronte. Macbeth verrà ivi per interrogarvi sul suo destino, e dovrete satisfarlo: io intanto m’alzo a volo, e riempirò la notte colle consuete arti. Una nube appunto si stacca dalla luna, e d’essa mi varrò per attorniare Macbeth di fantasimi. La rovina che l’attende non dee più aggiornarsi; e tempo è bene ch’ei l’affronti, s’ebbe il cuore per desiderarla.

(s’intende una voce per aria che canta)

Udite? È il mio piccolo Silfo, che aleggia sopra un raggio di luna, e a sè mi chiama.

(s’alza a volo)

1a Strega. Affrettiamoci, compagne, perchè non molto tarderà a ritornare.

(escono)


SCENA VI.
Una stanza del palazzo a Fores.
Entra Lenox con altro Lord.

Lenox. Le prime mie parole hanno svegliato in voi pensieri che possono vieppiù addentrarsi colle congetture. Ma solo dico, che la novella della disgrazia fu accolta in modo assai strano. In quanto al povero re, ei fu compianto, e doveva esserlo, morto com’era; ma dell’infelice Banquo, del nobile e valoroso Banquo chi ne parlò? Potreste dirmi che Fleance n’è stato l’uccisore, perchè è fuggito. Ma la nostra vecchia Scozia è ella dunque diventata la terra dei parricidi? Come reputar capaci Malcolm e Donalbano d’assassinare un misero re, un padre che tanto li amava? Ah! l’azione fu truce, e (con ironia) nobilmente la vendicò Macbeth. Sospinto dalla virtuosa sua ira, ei corse ad uccidere i due rei che posavano in sua balla assorti ancora nella voluttà del sonno. Egregio fatto, e pieno di prudenza; imperocchè ogni anima onesta avrebbe rifuggito dall’idea d’intendere que i due ribaldi a negare con impavida fronte il loro delitto. Sia lode al Cielo che questo non fu, e che i mani dell’estinto sovrano vennero esorati. — Ma corre voce che Macduff ancora, venuto in disgrazia di Sua Maestà, siasi dipartito. Sapete voi dov’egli abbia volti i passi?

Lord. Alla corte d’Inghilterra, dove il virtuoso Eduardo (1) regalmente intrattiene il primogenito di Duncano, e gli fa, per quanto è da lui, dimenticare gli oltraggi della sorte. È là che [p. 69 modifica]Macduff è ito per intercedere soccorsi, e indur quel re a risvegliare il valore de’ Britanni, onde vogliano efficacemente aiutarci, e toglierci di dosso la soma che ci ha omai schiacciati — Pare che Eduardo, commosso dalle nostre disavventure, s’appresti a bandir guerra a questo perverso tiranno.

Lenox. Possano le sue armi aver scontri favorevoli, e l’Angelo della misericordia se ne faccia il conduttore.

Lord. I miei voti e le mie preghiere accompagnano ugualmente i suoi passi.

(escono)





Note

  1. Trattasi qui di Eduardo il Confessore. Più avanti è tenuto diacono de’ suoi prodigi.