Macbeth (Shakespeare-Rusconi)/Atto primo

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Atto primo

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William Shakespeare - Macbeth (1605-1608)
Traduzione dall'inglese di Carlo Rusconi (1858)
Atto primo
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MACBETH




ATTO PRIMO




SCENA I.

Una vasta e sterile pianura.

Fra gli scrosci del tuono e al chiarore dei lampi compariscono tre Streghe.

1a Strega. In qual dì, o compagne, ci uniremo? In dì di pioggia, di folgori, o di tuono?

2a Strega. Allorchè un tal tumulto (1) non sarà più inteso, e la battaglia perduta sarà guadagnata.

3a Strega. Ciò accadrà prima che tramonti il sole.

1a Strega. E in qual luogo?

2a Strega. Nelle vicinanze del bosco.

3a Strega. Voliamo adunque incontro a Macbeth.

(s’ode una voce che le chiama)

1a Strega. Vengo, vengo, Grimalkin! (2).

Tutte le Streghe in una volta. Padocke (3) chiama: eccoci; andiamo. La bellezza è orrenda per noi, la deformità amabile (4); innalziamoci fra la nebbia e l’aria agli uomini mortale.

(le Streghe scompaiono)

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SCENA II.

Campo militare appresso Fores.


Un tamburo batte l’allarme, al suono di cui entra Duncano re, Malcolm, Donalbano, Lenox, e altri signori sorreggenti un soldato ferito.

Duncano. Chi è quel guerriero tutto lurido di strage? Lo stato in cui lo vediamo ci fa credere che abbia fresche notizie dei ribelli da comunicarci.

Malcolm. È il sergente che combattè con tanto valore per salvarmi dalla prigionia. Salve, generoso amico; narra al re come seguì la zuffa e come la lasciasti.

Sold. Incerto per lungo tempo ne fu l’esito, come incerto si mostra fra due nuotatori rivali, che lottando di fronte contro le onde, esauriscono per molt’ora le forze senza superarsi. Lo spietato Macdonal (degno invero di divenir ribelle per tutti i vizi di cui natura il fornì) avea ricevuto dalle isole di Ovest un presidio di Kernes e di Gallow-Glasser (5); e la fortuna sorridendo alla sua fratricida rivolta, sembrava volergli prostituire. Tutto però fu vano contro il valore di Macbeth. Questo glorioso generale (che tanto bene meritò oggi il nome che porta), disprezzando la fortuna e brandendo la sua spada fumante di sangue, come il figlio prediletto del Valore, s’aprì una via fino all’odioso Macdonal; con esso incominciò da forte a combattere, nè più se ne divise, finchè, mozzatogli il capo, non l’ebbe inalberato su di una lancia, orrendo trofeo all’invilita sua gente.

Duncano. Oh cugino valoroso! oh degno cavaliere!

Sold. In quella guisa che veggonsi condensar le tempeste e i più violenti uragani là dove il sole prima s’innalza, e di lieta luce rallegra e ammanta la natura(6); così l’infortunio generossi là dove appunto speravamo salvezza. Attendi, o re di Scozia, al fine del mio racconto. Non appena la giustizia armata di valore avea costretti que’ Kernes a darsi alla fuga, che il generale norvegio, vedendo irreparabile la disfatta, corre con nuova schiera a rinfrescar la battaglia.

[p. 37 modifica]Duncano. E questi nuovi nemici non misero sgomento nei nostri duci?

Sold. Sì, come gli uccelletti ne mettono nelle aquile, o come la timida gazzella ne trasfonde nel leone. E, valga nondimeno il vero, essi rassomigliavano a folgori di guerra. Avresti detto, veggendoli, che il voto omicida fosse uscito dai loro cuori di tuffarsi insino alla bocca nel sangue, o di montar sublimi al cielo sopra un monte di cadaveri (7). Nè io potrei narrarti..... ma la debolezza mi vince, le mie ferite mi costringono a chiederti riposo.

Duncano. Le tue parole e le tue ferite te chiariscono del pari uomo d’onore. Ite con lui, soldati, e ch’ei sia custodito con ogni cura.                                    (entra Rosse)

Duncano. Chi è quell’uomo che s’avanza?

Malcolm. Il degno Thane di Rosse (8).

Lenox. Qual buio ne’ suoi occhi! Forse ei ne arreca importanti novelle.

Rosse. Dio salvi il re!

Duncano. Di dove vieni tu, degno e nobile Thane?

Rosse. Da Fife, gran re, dove la moltitudine dei vessilli norvegi insulta al cielo, e tiene assorti i nostri soldati in un freddo silenzio. Norvay, alla testa di formidabile esercito, e secondato in segreto dal più sleale dei traditori, il Thane di Cawdor, ha attaccato un combattimento feroce. Ma infine il nostro eroe, il diletto figlio di Bellona, rattenendo con infaticabile lena la fuga dei ribelli, e ferro a ferro, braccio a braccio, petto a petto opponendo, ha fiaccato l’ardire e la nemica rabbia. Per conchiudere in breve, la vittoria e rimasta a noi.

Duncano. Oh lieto evento!

Rosse. Ora il re norvegio Sveno chiede la pace, sbattuto in guisa, che dovette contarci 10,000 scudi per ottenere licenza di seppellire i suoi morti.

Duncano. Non più all’avvenire questo Thane di Cawdor tradirà i nostri interessi e la nostra fiducia. Olà, signori, proferite il suo decreto di morte, e investite de’ suoi titoli il nostro fido Macbeth.

Rosse. Corro ad eseguire i vostri ordini.

Duncano. Quel che il vile ha perduto, fu bene da Macbeth utilmente guadagnato.                                   (escono) [p. 38 modifica]

SCENA III.

Un bosco.

Accompagnate dal rombo del tuono entrano le tre Streghe.


1a Strega. Ove sei tu stata, sorella?

2a Strega. Ad offrire in olocausto un cinghiale (9).

3a Strega. Sorella, e dove tu?

1a Strega. Dalla moglie d’un pescatore, che avea il grembiule pieno di noccioli, e canticchiando li rodeva, e rodendogli canticchiava. Dàmmene, le diss’io. Al diavolo la strega, rispose. — Ma suo marito salpò per Aleppo, e monta il Tigri. Io ’l seguirò; io con più lieve vela in breve gli sarò sopra, e farò della sua barca un topo senza coda (10).

2a Strega. Io ti darò uno dei venti.

1a Strega. Sei gentile, sorella.

3a Strega. Io pure darottene uno.

1a Strega. E ’l resto il farò da me; ch’io sola presiedo al loro corso, e con essi tutto posso sconvolgere. Vo’ render suo marito adusto come l’erba appassita dei prati; nè dì nè notte il sonno più non iscenderà per ricreare le sue stanche pupille; vivrà come un maladetto, turbato ognora da visioni funeste, e bestemmiando la vita, la vita in lenta agonia consumerà; se il suo naviglio poi non potrà esser sepolto nei profondi gorghi del mare, sarà almeno senza posa infestato dai venti e dalle tempeste. — Vedete voi qual talismano io tengo?

2a Strega. Mostra, mostra.

1a Strega. È il pollice d’un piloto che fe’ naufragio rientrando nella baia.                                   (s’ode un tamburo)

3a Strega. Il tamburo, il tamburo; è Macbeth che viene a questa volta.

Tutte le Streghe cantando e danzando. Così le sorelle (11) [p. 39 modifica]messaggiere della terra e dei mari, a cui aperto è l’avvenire, circolano impalmate, e in coro innalzano la voce: tre cerchi a te, tre per me, tre altri ancora per completare l’incanto. — Fermiamoci ora, sorelle, che il portento è già operato.

(entrano Macbeth e Banquo)

Macbeth. Non mai vidi giorno sì fiero, e in un sì bello.

Banquo. Qual distanza v’ha ancora di qui a Fores....? Ma che veggo io....? Chi son costoro che ne riguardano con piglio minaccioso, e di cui gli orridi visi e gli strani vestiti le fan tanto diverse dagli abitanti della terra, sulla quale pur camminano? Olà! siete voi creature di questo globo? o vivete invece in una sfera, a cui non sia lecito all’uomo di penetrare? Voi sembrate intendermi; e quelle scarne dita, che tutte ad una volta ponete sulle vostre livide labbra, me ne assicurano: ben vorrei credervi donne; ma le sordide barbe che vi deturpano le gote non mei consentono.

Macbeth. Parlate, se il potete: chi siete voi?

1a Strega. Salve, Macbeth! salve, o Thane di Glamis!

2a Strega. Salve, Macbeth! salve, o Thane di Cawdor!

3a Strega. Salve, Macbeth! che in breve sarai re!

Banquo. Nobile signore, perchè tremate? Perchè temete avvenimenti che si annunziano così giocondi? — In nome della verità, rispondetemi (alle Streghe): siete voi visioni fantastiche, o vestite veracemente la decrepita forma sotto cui ci apparite? L’illustre mio collega fu da voi salutato con titoli d’ogni onore, e con isperanze di trono che il profondarono, come vedete, in meditazioni; e a me voi non parlate? Se realmente potete legger nei decreti dell’avvenire, e scernere nel germe delle vicissitudini umane quelle che debbono prosperare e quelle che debbono invanire, parlate anche a me, parlate libere; ch’io nè mendico i vostri favori, nè pavento i vostri odii.

1a Strega. Salve!

2a Strega. Salve!

3a Strega. Salve!


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1a Strega. Sarai minore di Macbeth, e in un dì lui più grande.

2a Strega. Non quanto lui felice, ma molto più felice di lui.

3a Strega. Creerai i re senza esserlo. Vivano Macbeth e Banquo.

1a Strega. Banquo, Banquo e Macbeth!

Macbeth. Fermatevi, oscure profetesse; spiegatemi gl’ingegni vostri. Io ben conosco che per la morte di Sinel son fatto Thane di Glamis; ma come poss’io divenirlo di Cawdor? Vive, e di fiorente vita, vive il Thane di Cawdor: or come io subentrargli? Ch’io poi al regno giunga, in qual guisa il penserei? Dite aperto, ditelo: a che in tal credenza v’induceste? donde tali novelle vi pervennero? e perchè in quest’orrido bosco con tai profezie ne intrattenete.....? Parlate, ve lo impongo (le streghe scompariscono).

Banquo. La terra e l’acqua hanno vapori che lenti s’elevano, e che un soffio disperde. Quanto vedemmo fu immagine vana.

Macbeth. E in aria svanì. Le larve, che prendemmo per corpi umani, si dileguarono come lo spiro de’ venti. Oh perchè non rimasero qualche altro istante con noi!

Banquo. Le visioni, con cui favellammo, erano dunque del tutto vane? ovvero abbiasi noi assaggiato della fatal radice, che inebbria il prigioniero, e lo priva dell’intelletto?

Macbeth. I tuoi figli sederanno sul trono dei re!

Banquo. Tu re sarai fatto!

Macbeth. E Thane di Cawdor: non suonò ella così la profezia?

Banquo. Tali furono le parole..... ma chi viene?

(entrano Rosse e Angus)

Rosse. Macbeth, il re ha ricevuto con gioia le novelle delle tue vittorie; e la sua ammirazione per te è giunta al colmo, udendo i pericoli a’ quali ti sei esposto. Gli allori che in questo gran giorno mietesti rinverdiranno perenni in questa vecchia patria di Albione, e faranno perpetuamente benedire la memoria del glorioso difenditore di questo regno.

Angus. Il re a te c’invia per renderti grazie solenni, e per condurti innanzi a lui.

Rosse. E per primo pegno di sua riconoscenza volle ti salutassimo Thane di Cawdor. Sia dunque o nobile Thane; poichè chi mai più di te meritò un tal titolo?

Banquo. Dio! può il vero dunque uscire ancora dall’inferno?

Macbeth. Il Thane di Cawdor vive, e vive di lieta vita: or perchè volete rivestirmi d’una dignità che ad altri appartiene?

Angus. Quegli che fu Thane di Cawdor vive ancora, è vero: ma un decreto reale il priverà in breve di quegli onori e di quella [p. 41 modifica]vita ch’era indegno di conservare. Ch’ei mantenesse intelligenze coi ribelli, o soccorresse nascosamente Norvegio, ben non saprei dire; ma che tramasse la ruina del tuo paese, non v’ha più alcuno che lo ignori, e il delitto capitale sarà con pena capitale scontato.

Macbeth (fra sè). Thane di Glamis e di Cawdor! Poi... (rimane alcuni istanti assorto in profonda meditazione, quindi si volge ad Angus e a Rosse) Grazie, signori, della vostra imbasciata. (a Banquo con voce sommessa) Non credete voi ora che i vostri figli diverranno re? Le stesse donne che me salutarono Thane di Cawdor, promisero a’ vostri figli un trono.

Banquo. La dignità che v’è conferita, può infiammare le vostre speranze, ed elevarle sino alla corona; ma riflettete assai in prima al nostro incontro strano. Spesso, per condurne al precipizio, i figli delle tenebre ci allettano con qualche verità, e ne abbandonano poscia sulla lubrica via scornati e maledetti. (a Rosse e ad Angus) Cugini, una parola.

Macbeth (invasato ne’ suoi pensieri). Già due vaticinii compiuti, due... e un terzo che seguir dee, vaticinio d’un trono. Questa istigazione soprannaturale da qual potenza mi venne essa? Questa soprannaturale profezia è ella rea, o innocente? Se rea, perchè darmene ad arra una predizione che dopo sì brevi istanti si compie? Se innocente, perchè, ad essa abbandonandomi, mi si dirizzano i capelli sulla testa, e il cuore mi batte con tanta feroce violenza? L’infame azione stessa al momento di attuarla è meno orribile, che spaventoso non ne sia il disegno all’atterrita immaginativa. Il pensier mio, che solo spazia fra gli orrori d’un omicidio ideale, ha commosso con tal forza tutto il mio essere, che ogni facoltà è soffocata sotto un peso che non esiste... e che forse mai non esisterà.

Banquo (come sopra). Mirate in qual meditazione è assorto il mio compagno!

Macbeth (come sopra). No, no: se la fortuna vuol farmi re, che essa mi coroni... ma io non le muoverò incontro; io non farò un passo.

Banquo (come sopra). I lieti onori, di cui fu rivestito, furon simili a vestimenti nuovi, che bene non s’adattano alla persona che col trascorrer del tempo.

Macbeth. Avvenga che può: la vita scorrerà egualmente rapida anche nel giorno del dolore.

Banquo. Prode Macbeth, aspettiamo gli ordini vostri.

Macbeth. Valgami il vostro favore: i miei pensieri erravano fra cose terribili, che omai sono dimenticate. Onorandi signori, i [p. 42 modifica]servigi vostri son notati (additando il proprio petto) in parte ov’io ogni giorno leggerò; e saprò esserne riconoscente. Andiamo intanto incontro al re; e voi, Banquo (sommessamente), pensate a quello che ne accadde, ed apprestatevi ad aprirmi il vostro cuore.

Banquo. Di buon grado lo farò.

Macbeth. E sia debito onorato. — Signori partiamo.

(partono)


SCENA IV.

Una sala del regio palazzo.

S’ode un clangore di trombe, da cui accompagnati entrano Duncano, Malcolm, Donalbano, Lenox, e alcuni del seguito.


Duncano. Cawdor ha egli poi subita la meritata pena? Coloro ch’io inviai ad intimargliene, non sono essi ancora ritornati?

Malcolm. Sire, nol sono ancora; ma io parlai con tale che lo vidde morire; e narrò come il misero, venuto in tanto estremo, confessasse il suo tradimento, e implorasse, pentito, il vostro perdono. Alcun atto della vita non mai l’onorò tanto quanto l’eroico modo con cui la vita abbandonò. Egli morì com’uomo che da lungo s’era preparato all’idea del suo fine, e che imparato avea a gittare questo maggiore dei beni come il più inutile balocco.

Duncano. Non saravvi adunque mai un’arte che insegni a conoscere le anime dai lineamenti del viso? Cawdor fu un gentiluomo, su di cui riposi un tempo tutta la mia fiducia.

(entrano Macbeth, Banquo, Rosse e Angus)

O leale e prode Macbeth, in tempo giungi. L’ingratitudine d’un suddito che tanto amai, cominciava a gravarmi sull’anima. Sentiva il bisogno di premiarti; ma sei tant’alto salito, che l’ala più rapida della riconoscenza non potrebbe raggiungerti. O mio Macbeth, vorrei che meno tu avessi fatto per me, onde potertene compensare; ma nella cima a cui poggi solo mi rimane a dirti che all’opere tue non è alcuno guiderdone umano.

Macbeth. Buon re, i servigi e la fedeltà che a voi si competono, hanno in loro stessi degna ricompensa. Vostra maestà non debbe compiere altra parte, che quella di ricevere un’obbedienza che, come onesti vassalli e come sudditi fedeli, vi dobbiamo.

Duncano. Sii avventuroso alla nostra corte, Macbeth; io te ne darò modo. L’arboscello che pianteranno le mie mani, sarà da me con cura coltivato, e si coronerà di frutti. Nobile e valoroso [p. 43 modifica]Banquo, tu non meno hai meritato della benevolenza nostra: vieni fra le mie braccia; qui contro al mio cuore.

Banquo. Se le azioni mie regnano in questo cuore, qual messo di lieti eventi non raccoglierò io?

Duncano. La mia gioia è al colmo, e invano presagi funesti insorgerebbero per intenebrarla. Figli, amici, valorosi Thani, e voi che sedete qui dappresso al mio trono, sappiate ch’è nostro intendimento il trasmettere fin d’oggi la nostra corona a Malcolm, il primo nato mio, che riguarderete di qui innanzi come principe di Cumberlandia. Nè questo titolo sarà il solo che oggi accordiamo; onde siatene lieti voi tutti, che ben meritaste della patria. (a Macbeth) Ora, Macbeth, partiamo per Inverness, ove i nodi dell’amistà nostra vieppiù si stringeranno.

Macbeth. Il riposo è fatica per me, quando io non servo la Maestà Vostra; sarò io stesso quindi il messaggiero che arrecherà alla mia sposa la lieta novella della vostra venuta... Permettetemi che vi preceda.

Duncano. Mio degno Cawdor!

Macbeth (a parte). Malcolm principe di Cumberlandia! Nuovo re terribile intoppo che varcar convienmi, o morire, poichè sulla mia via egli sta. Stelle, nascondete i vostri fuochi! la luce vostra non risplenda sugli orridi e ineluttabili miei desiri! gli occhi miei non veggano le mie mani....! Ma si compia (con crescente forza), si compia l’atto che i miei occhi fremerebbero di contemplare.                                    (esce)

Duncano. È vero, mio Banquo; colui è un guerriero d’un valore straordinario; e l’anima mia è lieta di encomiarlo. Andiamo sulle sue orme; andiamo a godere delle feste che questo generoso parente, che questo suddito fedele ci apparecchia.

(suon di trombe; escono)


SCENA V.

Inverness. — Una camera nel castello di Macbeth.

Entra lady Macbeth leggendo una lettera.


Lady Macb. «...Esse mi si fecero incontro il giorno stesso della mia vittoria, ed ho scoperto dipoi, che v’hanno in loro soprannaturali potenze. Mentre io ardeva del desiderio di vieppiù interrogarle, svanivanmi davanti. Mentre stava ancora compreso di meraviglia per le udite cose, vennero nunzii regi che mi salutarono Thane di Cawdor; col cui nome poco prima le nere Streghe mi [p. 44 modifica]avevano incontrato, aggiungendo che un tempo sarebbe giunto, in cui sarei fatto re. Questo ho stimato bene dirti, o dolce compagna dei miei onori, per non frustrarti della tua porzione di gioia, lasciandoti ignorare le grandezze che mi attendono. Racchiudi questo segreto nel cuore. Addio».

Sei Thane di Glamis e di Cawdor...... e ascenderai in breve all’altezza predetta. — Ma nondimeno io temo il tuo carattere, troppo informato alle umane debolezze, per estimarti atto ad imprendere la più breve via. Non iscevro d’ambizione, aspirerai alla grandezza; ma l’energia ti verrà meno nei triboli della strada. Il cammino degli onori è tutto lubrico di delitti; e guai a colui che vi s’addentra senza la forza di compierli! Nobile Glamis, tu intendi a possedere un bene, per cui t’è mestieri eseguire un’opera dalla quale non abborrisci, purchè non compita da te. — Vieni, affrettati; io ti tendo le braccia; fra queste braccia attignerai le forze necessarie all’impresa che un trono ti promette, e che messaggeri di un’altra natura vennero ad annunziarti. (entra un domestico) Quali novelle?

Domestico. Il re passerà in questo castello la prossima notte.

Lady Macb. La tua notizia è insensata. Macbeth non è egli seco? Or, se tu il vero dicessi, non m’avrebbe egli ammonita perchè mi apprestassi ad una tanta accoglienza?

Domestico. Così vi piaccia credere, come vero è, che il nostro signore viene a questa volta, e che da un domestico che il precesse, io seppi quanto vi ho raccontato.

Lady Macb. Ordina allora ai famigli di star pronti (il domestico esce). Sì, piena di letizia sarebbe la voce del corvo stesso, che co’ suoi funesti lai fosse venuto ad annunziarmi l’arrivo di Duncano. Venite ora, venite tutti, o spiriti d’inferno, che incuorate all’omicidio i mortali; venite, e colmatemi la testa e il cuore d’una crudeltà tutta limpida, e senza mistura d’alcun pietoso affetto; come lava ardente mi scorra il sangue per le vene, e obbliare mi faccia che femmina nacqui; sia chiuso in me ogni accesso al rimorso, ogni accesso alla compassione, ogni accesso a qualsiasi più mite sentimento di natura. Entrate nel mio petto e trasmutatevi il mio latte in veleno, o ministri d’inferno; accorrete da tutte parti, o fantasmi invisibili che vegliate sui delitti del genere umano. E tu, notte fatale, cadi, e avviluppane col più denso fumo d’inferno, affinchè il mio pugnale non vegga la ferita che sta per infliggere, nè resti spiro di cielo per benedirmi fra le tenebre, e arrestarmi per via.                         (entra Macbeth)

Illustre Glamis, degno Cawdor! più illustre e più degno ancora [p. 45 modifica]pei tìtoli che l’avvenire ti serbai! La tua lettera m’empiè di gioia e di speranze.

Macbeth. Mio amore, Duncano verrà qui questa notte.

Lady Macb. E quando ne partirà egli?

Macbeth. Dimani... è suo divisamento...

Lady Macb. Ah non mai, non mai splenderà il sole su questo dimani! Il tuo volto, mio amico, è simile ad un libro, ove ognuno potrebbe leggere cose fatali. Per illudere altrui assumi contegno meglio conforme alle circostanze, e fa che ne’ tuoi occhi, nei gesti, nelle parole traspiri la gioia. Somiglievole in tutto all’innocente fiore, sotto cui s’appiatta il serpe, ilarizza del tuo aspetto l’incauto che ti riguarda. Provvedi ai destini dell’ospite che attendi, ed affida a me l’alta impresa che rimane da compiersi. Cotesta impresa ti farà arbitro del potere supremo, e ne assicura per tutto l’avvenire le gioie del regno.

Macbeth. Con maggior uopo ne terremo discorso.

Lady Macb. Pensa intanto a sgombrare dalla tua fronte le nubi che vi si addensano, e commetti a me la cura del resto.

(escono)


SCENA VI.

Una landa posta dinanzi al castello di Macbeth.

Entrano Duncano, Malcolm, Donalbano, Banquo, Lenox, Macduff, Rosse, Angus, e seguaci al suono di campestri cornamuse, propizianti l’arrivo del re.

Duncano. Questo castello è deliziosamente posto: l’aere dolce e leggiero che vi spira, è pregno delle più soavi fragranze.

Banquo. La rondinella, ospite estiva, abitatrice dei templi, ci aveva già annunciato, fermando qui la sua dimora, una natura mite e serena. Non evvi fregio in questo castello, non cornice, non angolo ove quell’amabile augelletto non abbia intrecciati i suoi nidi.

(entra lady Macbeth)

Duncano. Ecco, onorate l’ospite nostra che s’avanza. Signora, (andando a lei) l’amicizia che ne viene dimostrata, ci cagiona qualche volta fastidi, che sono di sovente sopportati con riconoscenza, come contrassegni d’affetto. V’avremo noi per tanto cortese da non saperci mal grado per le noie di cui vi caricherà la nostra presenza?

Lady Macb. I nostri servigi, fossero anche centuplicati all’infinito, sarebbero nulli comparati coll’onore che piace alla Maestà Vostra d’impartirci in questo felice giorno. Per gratitudine [p. 46 modifica]degli antichi e nuovi benefizii che ci prodigate, possiamo solo formar voti e innalzare preghiere al cielo.

Duncano. Dov’è il Thane di Cawdor? Seguimmo dappresso le sue orme, volonterosi d’annunciarvi noi stessi l’arrivo di lui; ma l’eccellente cavaliere, punto dall’ago irresistibile dell’amore, ci prevenne. Bella e nobile Lady, il vostro tetto ci accoglierà dunque per questa notte.

Lady Macb. Gli umili servi vostri, ponendo in vostra potestà quanto posseggono, altro non fanno senonchè rendervi ciò ch’ebbero da voi.

Duncano. Porgetemi la mano, mia amabile ospite, e andiamo a rivedere Macbeth, che tanto alto è già posto nella nostra grazia.

(escono)

(Una sala del castello. Servi che con faci accese e istrumenti la traversano, recando vasellami e biancherie per uso di tavola. Macbeth solo nel davanti della scena).

Macbeth. Se, compiuto il delitto, tutto cessasse, qui presto commetterlo meglio sarebbe. Se l’assassinio in sè acchiudesse ogni sua conseguenza... se un colpo solo... e poi fosse tutto obbliato... almeno in terra... dalle prode di questo mondo, da questa riva del tempo, rischiarci potremmo d’un salto alle spiaggie dell’eternità. Ma diversa è la bisogna che qui ancora ne incoglie; e dando agli umani una lezione di sangue, il precetto di sovente ricade sul suo autore, che amaramente lo sconta colla propria rovina. — Egli è qui (guardando le regie stanze), e fidente riposa!.... fidente, e n’ha ben donde. Legato a lui con triplice vincolo di parentela, d’ospitalità, di sudditanza, a me spetterebbe il difenderlo dagli omicidi, anzichè barbaramente immergergli un pugnale nel seno. Poi, a questo mite re vien forse apposta alcuna nota? Ah! le sue virtù, come altrettanti angeli dalla voce di bronzo, grideranno eternamente vendetta contro lo spietato suo uccisore; la Pietà, come un tenero fanciulletto di latte portata sull’ale infaticabili dei venti, come un cherubino celeste equitante sugl’invisibili corridori dell’aere, esporrà per tutto la pittura dell’orrido fatto, e farà versare da tutti gli occhi torrenti di lagrime. — No, sento che non v’ha altro stimolo che a ciò mi spinga, fuor quello dell’ambizione, che di cima in cima s’avventa finchè trabocca nel baratro infernale. (entra lady Macbeth) Quali novelle recate?

Lady Macbeth. Il banchetto reale sta per cessare: perchè lo disertaste, Macbeth?

[p. 47 modifica]

Macbeth. Chiese forse il re di me?

Lady Macb. Perchè fingete ignorarlo?

Macbeth. Non inoltriamo di più nei nostri divisamenti. Gli onori di cui ei m’ha colmato, le mie vittorie, che si splendida fama m’acquistarono, m’impongono di rinunziare ad un’azione che offuscherebbe per sempre il fulgido raggio della mia gloria.

Lady Macb. Che dici? e l’allegra speranza, in cui l’anima tua si piacque, non fu dunque che una folle larva che svanì col sonno? E dinanzi all’idea che con tanto amore carezzasti, non ti risvegli tu oggi che per impallidire e tremare? Temi tu dunque di mostrar coll’azione e col coraggio di compierla, quella forza che pur è nei tuoi desiderii? e da un bene, a cui aneli come all’ornamento più splendido della vita, potrai ritrarti, invilendoti innanzi agli occhi tuoi stessi, e ripetendo l’eterno adagio: vorrei, ma non oso?

Macbeth. Desisti, te ne scongiuro: io oso fare tutto quello che ad un uomo s’addice; ma chi di più far vuole, cessa d’esser tale.

Lady Macb. Qual fu dunque la stupida belva che v’indusse a confidarmi un tal disegno? Allorchè questo osaste concepire, è allora che eravate uomo; e intendendo alla maggiore delle grandezze, vi mostraste degno di pervenirvi. Nè mezzi, nè occasione alcuna vi si parava allora davanti; e nondimeno non vi sgomentaste, e a crearveli gli uni e l’altra v’accingeste. Oggi essi s’offrono a voi; e l’offerta benigna della fortuna tanto vi atterrisce? Ho allattato col mio seno, e so quanto sia dolce l’amare il bambino che si nutre col proprio latte; ma nondimeno strapperei le mammelle dalle rosee labbra della sua bocca nell’istante stesso in cui mi sorridesse, e gli frangerei il capo contro le pareti, se avessi fatto sacramento quale voi avevate profferito.

Macbeth. Se l’impresa ci fallisse...

Lady Macb. Fallirci?.... non tremate, e ciò sarà impossibile. Allorchè il re sia sepolto nel sonno profondo, in cui le fatiche di questo giorno l’immergeranno, sarà mia cura l’apprestar tal vino a’ suoi ciambellani, che la loro memoria ne svanisca come vapore d’ebbrezza. Caduti costoro ancora in un sonno di morte, che non potremo noi eseguire sull’indifeso Duncano? Che imputar non potrem noi ai suoi ebbri ufficiali, su cui tutta l’onta riverserassi del nostro delitto?

Macbeth. Donna fatale e terribile... oh! non escano mai dal tuo fianco fuorchè uomini; che l’indomita tua tempra mal s’addirebbe ad altra femmina. E in vero: chi non crederà, lordati che avremo di sangue gli addormiti ufficiali delle sue stanze, e [p. 48 modifica]ucciso Duncano coi loro stessi pugnali, chi non crederà costoro colpevoli del tradimento?

Lady Macb. E se alcuno pur osasse in sè accogliere diverse credenze, vorrà egli mantenerle quando ci udirà a gemere e a singhiozzare sull’estinto?

Macbeth. Sia dunque, e apprestiamo tutte le forze dell’anima per questa terribile opera. Ora dividiamoci; e velando sotto le sembianze più miti i nostri atroci disegni, mascheri un falso volto i segreti di cui un falso cuore si pasce.

(escono)


Note

  1. Allude alla guerra che guerreggiavano allora Macbeth e Banquo generali di Duncano re di Scozia, contro una fazione nemica a questo re. Vedi per ciò lo scozzese cronista Ettore Boezio.
  2. Nome di vecchio gatto grigio, di cui la superstizione degli Scozzesi avea fatto un genio.
  3. Accenna a rospo di schifosa grossezza, pure soggettato ad apoteosi.
  4. Il testo ha: Fair is foul, and foul is fair.
  5. I Kernes a i Gallow-Glasser eran due specie di truppe, che l’una dall’altra differivano nell’armatura.
  6. Il movimento naturale e costante dell’Oceano è dall’Est all’Ovest: la è pure, generalmente parlando, la direzione dei venti in mare; e da ciò credesi proceda, che le tempeste nascenti nell’Est sono le più forti.
  7. Nel testo leggesi: Or memorise another Golgotha: cioè a dire, o rinnovellare le nefandità del Golgota.
  8. Thane, voce sassone, che val Barone.
  9. Il testo legge killing swine, uccidere un porco.
  10. Shakspeare ha qui seguite le tradizioni del vulgo sulle streghe di Lapponia, da cui i marinai inglesi credevano dipendessero i venti.
  11. Weyward sisters, sorelle profetiche. Queste tre suore, Streghe o Furie che fossero, avevano gran fama nel Nord; erano le Parche delle nazioni settentrionali, dette anche Walkire, o Vergini d’Odino, da cui si crederà fossero mandate in tutti i suoi combattimenti. Gunna, Rota e Skulda presiedono alle vittorie, e decretano la morte degli uomini. Esse traversano continuamente le terre e i mari per iscegliere le vittime e ordinare le stragi. (Bartholin, Sulle cagioni che facevano disprezzare la morte ai Danesi ancora pagani). Ecco perchè Shakspeare impiega tre Furie, e le noma messaggiere della terra e dei mari, e le pinge senza posa intente a far il male, e a ricercare la morte e la sventura. Da un lato per innalzare questa parte della sua opera e darle più nobiltà, egli mesce insieme le superstizioni greche e romane, e fa presieder Ecate agl’incantesimi di queste tre sorelle; dall’altro, per restare a contatto della sua nazione e del suo secolo, colorisce colle superstizioni del suo paese le Streghe sue, e non dimentica nè le loro barbe, nè i loro gatti, nè le loro eleganti scope. Nelle operazioni magiche poi, che da esse si praticano, fa entrare tutti gl’ingredienti più ripugnanti del mondo fisico; come compone il loro carattere con quanto v’ha di più nero ed odioso nel mondo morale.

    (Pope).