Marmi e lapidi di Milano nella Villa Antona-Traversi di Desio

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Diego Sant'Ambrogio

1900 Marmi e lapidi di Milano nella Villa Antona-Traversi di Desio Intestazione 7 dicembre 2015 25% Da definire

Già si ebbe occasione di render conto ai lettori dell’ Archivio Storico Lombardo, nel r.° fascicolo trimestrale del 1856, de! rinvenimento di cinque lapidi funerarie e di alcuni frammenti marmorei dispersi della nostra città nella Villa e nel giardino degli Uboldi in Cernusco sul Naviglio, fra cui annoveravasi come scultura di singoiar importanza, di Giovan Giacomo Della Porta, l’elegante sarcofago del x3. 44, che adornava un giorno la chiesa di Santa Maria della Pace, in ricordanza dello spagnuolo Gian Lupo Soria.

Una messe altrettanto copiosa e di non minore pregio era a sperarsi s: ottenesse dall’ispezione, cortesemente acconsentita dagli attuali possessori della principesca Villa Antona-Traversi di Desio (O, per quanto concerne ì numerosi cippi, stemmi, bassorilievi e marmi con iscrizioni che si sapevano da tempo esìstenti a scopo ornamentale nella base delia torre gotica che, coll’anr.es-


(1) Rendo grazie in ispecial modo all’ Ill.-mo sig. Comm. Tommaso Tittoni, marito di Donna Bice Antona-Traversi , che si compiacque , sulla richiesta fattagli, di accordarmi cortesemente il permesso di visitare la villa ed i marmi e le iscrizioni di Desio, aggiungendovi poscia la facoltà di farne eseguire le fotografie.



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sovi fabbricato ciell’egual stile» veniva costrutta ad abbellimento del giardino nel 1844 sopra disegno del celebre pittore bolognese Palagi Pelagio (vedasi l’allegata tavola).


Non c dunque che da quest’ ultima data , relativamente recente, che tutti quei frammenti scuìtorii cd epigrafici furono ar- tisticamente disposti con senso decorativo nella fantasiosa costruzione del Palagi, ma una gran parte di essi già esisteva in Desio, cd anzi a poca distanza dal luogo attuale, nell’ antica villa dei Marchesi Cusani, cui si sostituiva nel 1844 da Giovali Battista Traversi l' attuale edificio di maestoso aspetto c d’ una suntuosità quasi reale.

Tutto induce quindi a ritenere che l’acquisto di quei diversi pezzi abbia avuto luogo fino dai primi anni del XIX secolo, al- lorché, colla soppressione delle sepolture nell’ interno delle chiese e, in molti casi, delle chiese stesse, andarono venduti all’incanto bassorilievi e marmi scritti d’ogni sorta , con uno sperpero ed una dispersione tali da ricscìr difficile oggidì il rendersi conto anche approssimativamente di quel che sia avvenuto pur dei più conosciuti fra di essi.

Degli ottanta e più frammenti della torre di Desio, uno solo ricorda la patrizia progenie dei Cusani che ebbe in Milano tombe c ricordi diversi, cosicché é a ritenersi che la collezione di quelle anticaglie, disparatissime fra di loro, sia stata originata in parte da ricuperi di quella famiglia ed in parte, altresì, da acquisti se- parati stati fatti qua c là nell’intento più che altro di procu- rarsi artistici ricordi.

Eppure, nonostante che quei vero ripostiglio archeologico di tanto interesse, esistesse a poca distanza da Milano cd in una re- sidenza, parecchie voìte visitata da artisti e letterati, di famiglia che ha in Milano stessa un grandioso palazzo, nessuna notizia venne fin qui data di quei reliquati, se non quella generica con- tenuta nel primo volume Illustrazione del Lombardo- Veneto , in cui accennava*! sulle generali ad una sola delle molte lastre e scolture tombali raccoltevi, e cioè a quella di un De Guzman, perito in giovane età all’ assalto di Lodi nel * 528 .



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E, senza qui esimermi dall* osservare che ciò avvenne anche pei marmi e per le epigrafi di Cernusco sul Naviglio che erano pure in vista di tutti in un pubblico giardino, non riescirà discaro di avere intanto una preliminare notizia di quel tesoretto arti- stico ed epigrafico che trovasi raccolto ed inesplorato nella villa di Desio, e che offrirà per molto tempo materia di studio cd os- servazione proficua a quanti si dilettano della storia dell’arte lombarda.

Come già s’ è detto, essendo i rilievi marmorei di cui discor- riamo, riuniti unicamente a titolo decorativo, nessun ordine os- servasi nella disposizione loro : una serie di stemmi ed alcuni busti con qualche medaglione di buon carattere adorna la parte supe- riore del fianco della finta chiesa attigua alla gran torre pirami- dale del Palagi, e più in basso stanno, quali in nicchie, quali su piedestalli, statue grandi c piccole, e più vicino a terra, frontali d’avello e le epigrafi funerarie.

Sul lato della torre in cui s’ apre la porta d’ accesso, con co- lonne dai vaghi capitelli e statuette tolte esse pure ad antichi monumenti, vediamo anche due frontali di camino, l’uno di essi assai guasto della seconda metà del XVI secolo, con una cornice a mensoleue bugnate e puttini raffiguranti le diverse stagioni, ma l’ altro in buon essere ancora e del più gaio ed elegante stile del rinascimento con putti ignudi tenenti fra loro ghirlande sormontate da aquiiette e nel mezzo lo scudo dei Casati, colla torre recinta dalle due treccie di Santa Giustina.

E venendo ora a discorrere innanzi tutto delie varie lastre tombali ed epigrafiche, e ira di esse, di quella già ricordata allo spagnuolo De Guzman, noteremo che è dessa dell’altezza di m. a. 3 o, compresavi la sottostante iscrizione, e di una larghezza di cent. 80.

Com’ è accennato sotto il n. 472 del III volume delle Iscri- zioni milanesi, trovavasi questa lapide originariamente nel pavi- mento sotto il grande arco davanti all’ aitar maggiore di Santa Maria delle Grazie, e solo più tardi fu porrata nel piccolo chio- stro, recentemente restaurato, davanti alla sagrestia di quel tem- pio, da dove venne asportata con altri marmi, taluno dei quali

Ardi. Star. Latiti. — » Anco XXVit. — Fmc. XXVII.


fcultu


SELLA VILLA ANTON A-T «AVERSI III DESIO


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ni rinvenuto, anni or sono, con diverse lapidi della Pace, nel brolo attiguo all’antico convento domenicano.

La collocazione sua precitata nel pavimento spiega i guasti lievi ma più l’erosione del marmo nei punti salienti della statua supina del Ramircz De Guzman, raffigurato in pieno assetto di guerra, con armatura intera a parti snodate, corazza, bracciali, cosciali ed il morione ai piedi sul iato destro della persona, men- tre dal lato sinistro vi sta un libro chiuso.

Il capo ricoperto da un berretto con lunga piuma, riposa su due cuscini: porta il defunto baffi e barba incera accuratamente arrotondata quale usava l’ imperatore Carlo V, c mentre, la mano sinistra riposa sull’ elsa delta lunga spada stesa sulla sua persona, la destra pare accarezzi nervosamente il pugnale o stocco cne gli pende al «anco.

In una specie d’attico all’estremità superiore di questa lastra tombale dovevano essere riprodotti gli stemmi di questo capitano dei fanti, morto valorosamente di 35 anni all* assalto di Lodi nel )5aS, e che vantava la discendenza sua dalla illustre famiglia dei De Guzman di Spagna; essi andarono però scalpellati all* epoca della Cisalpina, come abrase andarono pure le lettere in corsivo della epigrafe che qui appresso si riproduce, per le discordanze- che offre nella disposizione e in alcune parole, fra cui in quella di mestissimi invece di merìtissimi, col testo dell’Allegranza.

L* icrizionc è la seguente :


DIEGO RAMIREZ DE GVZMAN RAMIRI NVGXEZ DE GVZMAN FlLIO

genere ab Hispaniae regibus in genio qdem divino atq

IPSIS MORTaLIBVS GRA?jfSS * Q DVM IX L. IV DENSI EXPVGNa TIONE DA' RI SS * CAB * COHORTlS DYCTOU 1NTER PRJMOS SIN GVJ.ARI VIRTVTE VOLITaRET AD MVROS JCTV TORRENTI FE JJ V R TRANSFIXVS MORTESI SVaE INCLITE FAStiLlE DEBITA M NEC NON tXGKNTIS ANIMI SVI ARDORI PAREM OCCVBVIT PROPINAVI AMICIQ. FORTIS IV VENI COHlitìq DVLCJSSO AMICO . MEST1SS * POSYERE MDXXVJII TTIO KAL ’ IVLU * VDfJT ANN. XXXV.




Non appare da questa lapide di Desio che vi sia stato ag- giunto, come vorrebbe il Valeri, il verso seguente:

qv-OD FORT VX A XEGAS ARS OPEROSA DAB1T

la qual sentenza sarebbe rimasta ad attestare altresì della eccel- lenza dell’opera d’arte che dava ai posteri l’effigie per intero del guerriero che i fati avevano rapito ; in ogni medo, e benché trattandosi di persona di cospicua famiglia venuta a mancare sì tragicamente nel óeS, allorché fiorivano in Milano come scul- tori egregi il Busti, il Solari ed il Cristoforo Lombardi, detto il Lombardino, è alle scuole di questi egregi artisti che par deb- bisi quel simulacro attribuire, i guasti sofferti da quel marmo non permettono di mettere innanzi alcuno dì quei nomi gloriosi dell’arte lombarda, e il lavoro r.on esce apparentemente dalla media dei ricordi tumulari consimili, poco essendovi a notare di lodevole anche neila trascrizione epigrafica cui si dava invece grande importanza nei lavori di qualche conto.

Di ben maggiore considerazione sono, vicino a questa lapide del De Guzman, due statuette delia Forza colla colonna ira le mani, e presumibilmente della Giustizia cui manca però l’attri- buto della bilancia, le quali, collocate su due pilastrini aventi fra di loro in mezzo un medaglione di 60 centimetri di diametro col soggetto della Sacra Famiglia, si manifestano opera egregia di Agostino Busti detto il Bambaja, e potrebbero anche essere le due statue tuttora mancanti a compiere il numero di sci, vedute dal Vasari nel sarcofago dei Birago di San Francesco Grande.

Tali statue sono anzi deile stesse dimensioni (ad un dipresso ó 5 cent, d’altezza), e dell’egual valore tecnico di quelle delle Virtù predisposte dal Busti pei monumento a Gastone di Foix, e di una statua affine a quella della Forza colla colonna ira mani, il calco fa bella mostra di sé nel Musco Archeologico al disopra dello scaffale a vetri vicino alla statua tumulare del defunto eroe.

Avvertasi ad ogni modo che un’altra statuetta nello stile del Busti che, dal puttino che tiene col braccio sinistro si qualinchc-


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rcbbc come la personificazione dello Carità, vedesi nella torre di Desio, sul terrazzo che guida alla camera gotica superiore, deco- rata, convè noto, col gruppo di Fausto e Margherita dellantar- dini, e coi mirabili vetri tedeschi del 1607, del io 83 e del i< 38 <> che vanno fra i miglior; che sì conoscano di quei l’arte.

Quanto al medaglione, benché in assenza d’ogni data non riesca possibile lo stabilire la provenienza sua anche approssimati- vamente, c solo leggasi al basso in una cartella ad orecchiette nello stile del rinascimento la scritta: Ecce Agnus Dei , ecce qui tollil peccata mundi , lo stile del Busti riesce oltremodo perspicuo nella grazia della Vergine dinanzi ai cui piedi stanno sollazzandosi il bambino Gesù e San Giovanni. Nello sfondo angeli oranti e te- stine alate di divini messaggeri e sul lato destro la figura barbuta di San Giuseppe: più importante sul Iato sinistro una persona con larga giubba e dalla copiosa zazzera sforzesca in cui direbbesi effigiato lo stesso Duca Lodovico il Moro.

£ accenniamo alla scuola del Busti cui si collega pure quella del Briosco e che fu prodiga fra di noi di tanti lavori nella prima metà del XVI secolo, inquantoché al X\ secolo c così chiaramente alla scuola deIl’Omodeo si appalesa invece ascrivibile altro medaglione, press’a poco delle eguali dimensioni e in candido marmo di Carrara, collocato a poca distanza esso pure dalla tomba De Guzman, e che rappresenta il giovinetto Cristo nella Sinagoga ritto in piedi su una specie di soppalco a gradinate, e cui stanno ascoltando, volgendo le spalle agli osservatori, come usò di frequente l’Omodeo nei suoi bassorilievi, parecchi dottori della Si- nagoga drappeggiati all’orientale e con abiti dalle pieghe cartacee.

Poco più in alto altro medaglione ma di terracotta, con busto racchiuso in una specie di conchiglia, rivela esso pure l’arte purissima ed degente del XV secolo, e ricordano l’acconciatura del capo e lo sparato dell’abito i costumi delle gentildonne italiane di quei l’epoca.

Sulla bellezza artistica e sull’importanza di questi medaglioni si insiste anzi, nonostante i guasti loro arrecati dal tempo, inquantoché, fatta eccezione di un disco coll'effigie di Filippo Maria



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Visconti, di una medaglia con profilo di donna dalle sigle B. L., e di altra consimile in bianco marmo con un cavalicro irrom- pente contro nemici da lui atterrati, la qual ultima vedesi presso la scala d’accesso alla torre, le altre medaglie d’arenaria incluse nell’edificio a scopo ornamentale furono eseguite verso la metà del XIX secolo e sono tolte dai calchi fatti alla Certosa di Pavia dalia Ditta Picrotti-Perabò dei duchi e delle duchesse di Casa Visconti e degli Sforza.

Ed ora, venendo a discorrere di altra lastra tombale che tro- vasi disposta sotto una specie di edicoìetta posticcia costruita da frammenti disparati, a pochi passi appena da quella del De Guz- man, abbiamo sott’occhi in essa un esemplare cospicuo dell’arte nostrana del principio del XIV secolo, mirabile non solo per le sculture ad altorilievo di cui va fregiata, ma altresì per la bel- lezza e nitidezza dei caratteri epigrafici iti puro gotico dell’ iscri- zione (Vedasi l’annessa tavola, che comprende anche le due sta- tuette del Busti e il medaglione testé citato).

È un frontale d’avello, delle dimensioni di m. 2.20 di lun- ghezza per un’ altezza di cent. 80, ir. cui vedonsi scolpiti con alto magistero e a tutto rilievo ia Vergine col divino infante in braccio, fra Sant’ Agostino a sinistra e San Marco a destra, iì qual ultimo le presenta il tumulato vestito in abito talare e colle mani ds- votamente giunte in atto di supplicazione.

Grande è ia perizia dello scalpello negii abiti vescovili di Sant’ Agostino e in quelli a larghe pieghe dell’apostolo San Marco, i cui nomi appajono scritti in gotico sull’orlo superiore, cd anche neli’atteggiamento della Vergine e del Bambino e piu nei visi di questi diversi personaggi vi è un forte sapore di realismo e pregi grandi di sentimento. La devozione ed una confidente aspetta- zione traspirano veramente dalle fattezze dei defunto ginocchioni, di cui sappiamo, dall’iscrizione gotica che leggesi sui lato destro, che mori nel i3io, e che era giusto e pio e largo di soccorsi ai bisognosi i quali sostentava non solo, ma colmava di elemosine.

Questo frontale d’avello è pertanto disposto nei modo gra- fico e coll’iscrizione seguente:


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Anno tnilìeno deno dominiquc '■ triccno

Nona dies me bri s dal gaudi :

a ttise novtmbris \ cum jusfo noe Mirani de Becha J loe

Qui pitis (ih ws futi alone be nignus egenis hos sttstintando ncc non etimo j

nia dando.


R a pp presentando poi la scultura un agostiniano presentato alla Vergine da San Marco, tu facile l’arguire la provenienza di questo davanzale di avello dalla chiesa di S. Marco in Milano, e intatti troviamo segnato questo sepolcreto fra i dispersi di quella chiesa a pag. 204 del voi. IV delle Iscrizioni milanesi del Cav. For- cella.

il felice rinvenimento suo viene per altro a rettificare riscri- zione quale era stata data dal Forcella sulle traccio dello Schrader, del prof. Luigi Torelli e dell* Errerà, avvertendo che mentre del secondo capoverso si dà la versione seguente, e cioè : Nona dies membris dat gaudi a mense novembris nomine cum maritar Mirani de Bcchqloe, essa va rettificata dopo la parola novem- bris, secondo quanto aveva scritto il Pulcinelli, cum justo no- mine, ccc.

E aggiungasi che questo vetusto documento marmoreo è ora ricuperato per sempre e lascierà comodo di maggiori studii e di controllo agli epigrafisti. Esso trovava*! in passato nel chiostro




dei morti del convento agostiniano di San Marco milanese, ma ignoravasi ciò che vi avesse raffigurato lo scalpello dell’ ignoto artista (1), indicandosi solo che v’erano riprodotte alcune ligure di religiosi in abito eremitano e niun cenno facendosi dello stemma inquartato che pure vi si vede.

Un altro frontale d’avello, proveniente esso pure da Milano, a cui parrebbe riferirsi il cartello colla scritta: « Anguigcrae gloria gentis » posto al disopra della lastra tombale testé citata, è quello che vedesi nella parte di mezzo del tìnto edificio medioevale di Desio e delle dimensioni esso pure di circa due metri di larghezza per un’altezza di cen. qo con due stemmi viscontei, aventi la bi- scia nella prima partizione c la croce nella seconda, disposti sim- metricamente intorno ad una testa scolpita di leone.

Si -potrebbe pensare che siamo qui di fronte a qualcuna delle tombe viscontee, fra cui quella della prima Beatrice d’Este, esi- stenti a San Francesco Grande, e la supposizione prenderebbe parvenza dalle diverse statue nello stile del trecento che sopra- vanzano qua e là in questo edificio di stile gotico di Desio, quali a poca distanza un simulacro di guerriero appoggiato alla spada intorno alla quale è avvolta a fitte ripiegature la cintola, e cui fa simmetria un San Francesco in umiie atteggiamento, c sopra il frontale stesso in questione, tre statue delle dimensioni di novo minori del vero, raffiguranti San Pietro a sinistra, un Vescovo con pallio e lunga stola sul petto e il pastorale nella destra, e in- fine un guerriero a destra colla spada dalla cintola avvolta in- torno alla guaina essa pure.

Manca per altro qualsiasi indicazione scritta o contrassegno alcuno per dedurre al riguardo sicure conseguenze.

Altrettanto deve dirsi pel bel frontale di sepolcro che \edesi nel basamento della torre a poca altezza da terra, scolpito con perizia ed accuratezza in marmo di Carrara e delle dimensioni consuete di ro. 1.70 per un’altezza di cent. 65 .


li; Dallo stile si appalesa lo stesso Ugo da Campione cu. il Go.- ihold Mcycr ascrive il sarcofago Suardi, del i3o£, già in S. Stefano di Bergamo.


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Il pallio è diviso in tre scompartì coi Santi Giorgio e Vit- tore, designati in caratteri’ gotici nei due lati estremi e nel mezzo la scena tipica di siffatti sarcoiagi del defunto presentato alla Vergine col bambino in grembo da Santa Caterina d’Alessandria, contraddistinta dalla ruota de! martirio.

Che poi il tumulato fosse un guerriero, lo indica chiaramente il lacco che lo ricopre con larga cintura al disopra da cui pende il pugnale al fianco, e il vedersi ai lari i due santi guerrieri per eccellenza, di San Giorgio in atto di trapassare colla lancia il temuto drago, e di San Vittore con larga bandiera tripartita nella mano destra ; ma niuna traccia assolutamente del nome suo e della provenienza almeno di questa bell’arca del XIV secolo.

L’egual scena di San Giorgio che uccide il mostro, questa volta alla presenza della vergine . da lui liberata, la quale sta poco lungi ginocchioni, la scorgiamo pure a Desio in un frammento di lastrone ornamentale in pietra amfibolica di color azzurrino, cui pare si colleghi altro lastrone con un putto fra due draghi d’un bel carattere del Rinascimento. Anche per tali sculture nessun dato di riferimento benché nel bassorilievo di San Giorgio si ab- biano sott'occhi due stemmi con fascia a fusi accostati e drago alato in cimiero, quale hanno i Foscarini di Venezia, ed era assegnato nell’ antica araldica milanese alla poco nota famiglia dei Capi- zucchi, e, con qualche variante, agli Osio.

Due volte vediamo invece ripetuto lo scudo dei Mandclli coi tre leoni passanti, in questi rilievi marmorei, e solo in uno di essi foggiato con qualche ricercatezza a forma di quadrilobo con fiorami ai quattro lati ed un mostro dalle lunghe orecchie tese e dalla bocca spalancata al disopra dell’elmo pentolare, vediamo inscritte le iniziali di P. E. che accennerebbero al nome di un


Pietro Mandeìli.

Ritenuto che la stirpe patrizia dei Mandeìli, fregiata del di- stintivo dei tre leoni d* Inghilterra, oìtre le tombe di Santa Maria della Passione, aveva un marmo con pomposa iscrizione al disopra della porta dei SS. Cosma e Damiano, ia qual chiesa fu poi adi- bita ad uso di teatro dei Filodrammatici, e sorgeva un giorno



itcultur


NULLA VILLA AXTONA-TRAVERSI DI DESIO


sull’area delle vetuste case di quel ceppo avito, è a questo edifi- cio per l’appunto che sarebbe da ascriversi la dispersione di quei due scudi araldici.

Naturalmente, più dei marmi figurati, ma mancanti dì chiara iscrizione, riesce facile il reperimento del luogo d’origine c il com- pletamento delle epigrafi, per le lapidi di qualsiasi genere pur se frammentarie, e infatti riesci agevole il ridurre aita sua inte- grale dizione la lastra marmorea ridotta alla sola metà di destra, di cui diamo qui appresso il testo integrale, segnando in carattere corsivo la parte di essa che manca a Desio.

Divae Apoi — loniae capvt ex Transylv — ania divini nvminis benignitate dep — ortatvm et hvic religiosi tempio — a krasc. caldaio no summa cum pi — etate oblatvm in hoc loco — opera francisci Cusani hujii — s templi canon ici inlegerri — mi asseryatvr ili Kaì. a. — vcv • m • dui.


11 nome dei Cusani, cui apparteneva in origine la Villa An- tona-Traversi di Desìo, appare qui per la prima volta nella parte mancante di questa lapide dell’anno i55z che esisteva un giorno nelh. Basilica di S. Nazaro Maggiore, al dir del Torre, sotto il pulpito ove legge-vasi ii Vangelo.

La parte ritrovata consentiva intanto di rettificare in Cal- darino il nome di Caldcrino letto dal Puccinelii, ma più valse a far sospettare che dalla egual chiesa di San Nazaro -Maggiore provenissero col tramite del Cusani le altre lapidi di cui diremo qui appresso, come infatti ne fu contermato dal loro riscontro colla collezione del Forcella.

Una di esse che trascriviamo integralmente per la differenza di data che offre con quella segnata nelle Iscrizioni milanesi del 1593 (voi. 1, 626), c per la diversa disposizione epigrafica, è quella che il Puccinelii lesse un giorno presso la Cappella di S. Ulderico in S. Nazaro Maggiore e trascrisse come se datata dal iCi3.


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MARMI E LAPIDI DI


V^yw.InttrnétculturtU


villa amtoka-traversi di desio


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Essa è Li seguente:


D. VLDF.lt ICO PONT t-IVIVS A«AE PRAESIDI

KYERON1MVS T.ATVADA CANONI CORVM NaTV MAXSMVS VT TANTVM NV.MEN KT CINERES HaC ARA CONDITI RLLJtìlOSJVS COLA NT VR

VECTIGaLIBVS SACERDOTI AD REM DIVINAMI QVOTIDIE FACIENDAM ET PSALMODJAM JN ODKO REC1TANDAM ATTUI BVT13



JVKE FASQVF. LEGEXDI SACERDOTE QVAMD1V V1X.ER1T RF.CEPTO VB1 DECESSEIUT CANON1CIS REL3CTO ANNO MDCXV VSVENS P.

Akre due iscrizioni provengono infatti dalla basilica di San Na- zaro Maggiore e furono presumibilmente ritirate dai Cusani in- sieme a quella più sopra citata di loro pertinenza, e ci vediamo indotti a qui riprodurle entrambe per intero, attese le varianti che presentano nella grafìa se non nelle date, con quelle ripro- dotte dal Cav. Forcella.

La prima di esse (voi. V, 55 $), si riferisce alla famiglia de Cor- des, ed esisteva un giorno in San Xazaro nella parete destra delia cappella del Rosario che è la terza a destra della chiesa.

Essa è del seguente tenore, con varianti in ispecial modo nei nomi esteri che vi figurano :

d. o. M.

PRAENOB. IV VENI IO JaCOBO DE CORDES



MCOBERGAE DXO

l'ATftE NATO UNO io. CAROLO DE CORDES EQV1TE WiCHELAE CRUSCA li PI RETHVE WAERLOSAE ET TOPARCHA E1‘ DNA ISABELLA DE ROB1AXO STIRP1BVS NOB.' 5 * 4 ET ANTIQ,. vl! * ORIVNDIS E NERVIIS 1LLE HAEC MEDIOLANI^

QVI DVM ROMAE OBTENTO JUBII.AEO PATRIA COuITAT VARIOLIS IN HAC VRBE MORITVR DIE 23 DKC. A. 1Ó5C.


Si tratta dunque di un nobile De Cordes morto a Milano dì vajuolo di ritorno dal Giubileo del i 65 o indetto da Papa Inno- cenzo X, come è pure di altro nobile straniero, certo Giovan Enrico De Elven l’altra lapide funeraria di Desio delle dimensioni di cent. 50 di larghezza per un’altezza di m. j .35 che ha pure varianti colla epigrafe riprodotta colla erronea data del 1022 nella Raccolta Forcella Voi. I, N. 633 , come dal testo che segue.

i>. o. M.

JOaXXES henricvs ab elven Q.VKM V1RTVS ATQVK NOBILJTAS GOMITI SALMAK GVL3ELMO SALENTI NO PRO R£GE CATH. BELLICA!-: REI CON SI LI A RIO

AC DVARVM EQVITVM PED1TVMQVF.

GLR MANICAR Vii LEGIONEM IN JNSVB1UA DVCTOR1 ITA COMJIEKDARVKT

VT EVM DOMVS SVAE PKAF.FECTVM D1XER1T AC POST VF.RVAE OBSIDJONE.M EQV1TVM CATAPKRACTORVM TVRMAK IMPOSVFRIT IMMATVRA MORTE PRAEBtAPTVS POST KVNVS MILITARI POMPA DVCTVM EADEM HERILI BKN1GNITATE HVNC TVMVLI HONOREM ACCLPIT

KAL. SEPT. aNX. MDCXXVi.

Ascrivibile presumibilmente alla Chiesa di San Xazaro Mag- giore essa pure per la vicinanza col gruppo delle altre tre lapidi testé riportate, piuttostochè a disperso marmo della chiesuola di San Nazaro c Celso alla Barona, fuori di Porta Ticinese, ed in ogni modo epigrafe non compresa nella Raccolta Forcella nè tra- scritta iìn qui dagli autori milanesi, e come tale di maggior in- teresse storico, è la iscrizione del 1624 che segue su lastra di marmo


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ISO




delle dimensioni di cent. yS^di larghezza per un’ altezza dì cent. 8; e che fa menzione di un membro delia famiglia Spinola.


». o. m.

tK HV1VS» SACELLI RBBCTIOXE

AI> PECVLURBM DIVI NAZARI ET CELSI CVLTV ALAONlS spi ny la e civ. jaxvens. eam legaxtis

COMKNUA PIETATEM

CVM AVTEM V1DER1S SACERDOTVX P. V. CAP.' 1 ELI. 0 '”'* Al> ISTVD ALTARE QVOT/ CELEB. m AC IN HOC l»SAI . M

STATI M AC A vero REUDITV EX PROVEXT ' ElVS LOCOR 6AXCIS S. GEORGI JaNVaE CONGRVENS MKKCES VT 1LLE HAXC COXSTITVTA RESPOXBSltl VALEAT COMKNDATIS ET RELIGIONE**

1>. D. PROP. KY CaN. 04 UVIVS INSIGNE BASILICA CRAY.... P. I». AN. SAL MDCLIV.


Altre due lapidi infine, cd una di esse di qualche importanza storicamente, riscontriamo inoltre nell’ inesplorato ripostiglio dì Desio, le quali non figurano fin qui nella Raccolta Forcella, ben- ché provenienti manifestamente esse pure da Milano.

Sono di data relativamente recente ed una d esse iu tolta in- dubbiamente non già, come poteva supporsi, da San Francesco Grande ove gii Anguissola, oriundi di Piacenza, avevano una se- poltura con vetusta iscrizione del secolo XV riprodotta dal For- cella sotto il N. 1 t$ del IV volume delle Iscrizioni, ma bensì dalla Chiesa di Sant* Eustorgio, ove esisteva nel pavimento deila navata maggiore fra il 4. 0 e il 5 .° pilone.

L’epigrafe, riprodotta a pag. 143 del volume II delle Iscri- zioni milanesi, venne fatta apporre nel 1772 dai conte Carlo Antonio Anguissola, il quale vi aggiunse la delineazione dello stemma poco prima approvato dall’ apposita Consulta araldica, e le ultime cinque linee.

Essa è la seguente :



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, 4 ?


tcltur


NEI-LA VILLA ASTON'A-TRAVEKSJ DI DESIO


e passato poscia aci altro tempio, della quale epigrafe parimenti non è cenno nella collezione delle Iscrizioni milanesi (i), e in- nanzi ultimare questa breve rivista archeologica, preteriamo ri- chiamare l’attenzione su qualche altro marmo di carattere artì- stico inhsso del pari a scopo ornamentale nella torre e nel fabbri- cato a sesto acuto dei giardino di Desio.

L’estendersi al riguardo sull’ importanza loro, in. mancanza delle fotograne tutte che valgano a darne una idea adeguata riesce arfatto superrìuo, e solo la riproduzione, ad esempio, delle varie statuette (cinque almeno) di angeli suonanti tube, arpe t cimballi varrebbe a far apprezzare questi sperperati avanzi dell’ arte scul- toria lombarda della seconda metà del XV secolo, nello stile dei Mantegazza e dell’Omodeo, cui ben si associano altri angeli oranti ginocchioni, più piccoli ma delì’egual scuola di quelli della Ca- gnola ultimamente acquistati dal Museo archeologico.

Squisita d’esecuzione anche una Madonna col bambino in un’an- conetta a ventaglio benché semplice lavoro di figulina, e di mag- gior pregio ancora ed altresì di maggiori dimensioni altra Madonna col putto Gesù ritto in piedi sulle sue ginocchia, scultura egregia in marmo della metà del XIV secolo, c che ha nell’ingenua grazia della composizione c nelle sobrie pieghe dell’abito la maestà ieratica delie Madonne di Giovanni da Campione.

Sempre fra le cose minori notiamo pure una lastrina di marmo


(i) !1 testo dell’epigrafe è il seguente:


IO. BAPTIST A REPOSSIVS ECCLESJAE PRIMVM S. SEPVLCRI DEH INC HV1VS BASILICA* PRAEPOS1TVS OBLATOS CONTRATREs C A NO X 1 C O S COUKGAS . HDE4.ES VNIVERSOS VT S1BI PREC A NT VR A ETERNA M R E Q V I E M HiC IACKXS ROC \T OlìlJT IV NON. APRILI S ANNO SAL. MDCCXI.UI.



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MARMI E LAPIDI DI MILANO



rw.lnttrn


romboidale colla voce PAX sormontata da una corona e il motto in una cartella più in basso, proprio della famiglia dei Uescalli di Disce pati , senza che si possa asserire che pervenga dalla sop- pressa chiesa di Milano divenuta ora il salone Porosi.

Bella assai anche una targhetta coll* aquila sorante dell’aral- dica arcaica.

Deperite invece tino al punto da riescire illeggibili le iscri- zioni, sono varie lastre tombali; una di esse, di m. i per lato, porta lo stemma apparentemente dei Mantegazza ma con sirena alata in cimiero spiegante un vessillo, e ai lati le lettere G. Z. t. f. , un’altra di 2 metri di lunghezza per 1 di altezza, ha il leone con una stella nello scudo, il cervo in cimiero e la sigla G. V. ed un’ ultima delle eguali dimensioni all’ incirca, vlallo scudo irrico- noscibile e con una figura femminile in cimiero tenente un filat- tero spiegato nella destra ed una spada snudata ed in palo nella sinistra.

Una targa ovoidale, coll’aquila nel mezzo, por^a scritto il nome della famiglia Caldera.

Notevoli anche una specie di dossale di marmo di G a n doglia in due pezzi con accurate riquadrature, c delle dimensioni di m. i.$o di larghezza per \ metro d’altezza, e due mezze statue al naturale delle sibille Coreana e Frigia, di buona lavorazione e colle iscrizioni relative nei cartelli che tengono spiegati ira mani, e i motti di Virginis a partii sacci a beata Jluent nell’ una, e di Virginis in corpus voluit dhnitterc coelo ipse deus prolem .

Ma, su tutti questi lavori di scultura c su aitri parecchi di cui si tace per brevità, ha la preminenza la bella statua di Ma- donna col bambino seduto se non meglio adagiato in grembo, delle dimensioni quasi al naturale, che vedesi con sottostante ele- gantissimo piedestallo a piedi quasi della gran torre.

L,a testa va recinta di corona ducale c l’impresa viscontea della colomba in raggiante scorgesi pure sui disco che serve di gancio al manto deila Vergine sul dinanzi del petto, cosicché di- rebbesi questa statua eseguita un giorno, e apparentemente nei primi anni del XV secolo, da artista alla dipendenza della Fab- brica del Duomo.



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SELU VILLA ANTON A-TRA VERSI DI DESIO


Ciò vien tradito anche dal sottostante piedestallo con puttini che tengono festoni fra mano, secondo l’usanza del nuovo stile del Rinascimento in Toscana dapprima e poscia fra di noi, non scpza osservare che il garbo toscano si manifesta in genere da molti particolari di questa statua, fra cui dalle pieghe ricadenti simme- tricamente sul Piedestallo dell’abito della Vergine, quali imitò Jaeopino da Tradatc nella statua di Martino V, ma è precipua caratteristica dello stile di Nicolò d’ Arezzo, e, fra V altre opere sue, della statua del San Luca testé rivendicatagli da C. von Fa- briczy ed oggidì nel cortile del Bargello.

È dunque a questo artista che lavorò nei primi anni del XV secolo anche per la Cattedrale di Milano, più che non a Jaeopino da Tradate che ricorre il pensiero per l’assegnazione di questa vaghissima statua della Vergine che ha in tutto un sapor schietto e le doti mirabili dell’arte toscana del protorinascimento.

Coll’augurio pertanto che un più maturo studio abbia ad accertare siffatte conclusioni che tornerebbero ad alto onore del- l’arte lombarda e toscana dai primordii del XV secolo, poniamo ripe a questi brevi cenni illustrativi, reputando, dopo il già detto, inopportuno il sofifermarsì pel momento su altri marmi minori, fra cui due grandi lastre con stemmi ben delineati ma con iscrizioni obliterate, e così pure su certa colonna a spirale di scaglia rossa, collocata presso la scala d’accesso alla torre, e che ha un capitello ed un piedestallo figurati di grande interesse.

Vi sarà tempo ai caso più tardi per questa messe secondaria, a dir vero, ubi majora nitcnt, e devesi frattanto giudicare una ben fortunata riconquista per l’epigrafia e per l’arte milanese la ricomparsa quasi fra di noi di questo manipolo di epigrafi e di marmi della città di Milano che era quasi follia lo sperare di veder conservato fino a noi dopo lo sperpero avvenuto di tutto quanto costituiva il patrimonio storico ed artistico della città dell’Olona.

Diego Sant’ Ambrogio.