Meditazioni sull'Italia/Terza parte/II

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II

Dialogo sul progresso1

In questo strano universo anche gli stupidi hanno la loro funzione.

E gli intelligenti forse non hanno creato che perchè gli stupidi ve li hanno costretti.

— In verità, caro amico, tu non ti sei ancora accorto, che il problema su cui è imperniata la storia della nostra civiltà è quello degli stupidi.

— Come sarebbe a dire?

— Gli stupidi, vedi, sono il maggior guaio che si sia potuto inventare, e l’interrogativo più duro a risolvere. Perchè non c’è nessun delinquente di genio o nessun malvagio o nessun furbo che possa nuocere agli altri come uno stupido. Tu dirai che anzi se uno è stupido è anche stupidamente malvagio e nocivo; e che quindi, rivelando facilmente il suo gioco, sarà meno pericoloso d’un malvagio che ha la [p. 176 modifica]scaltrezza di non farsi cogliere. Ma io ti dico questo: un malvagio d’ingegno non vuol fare, salvo certe eccezioni che rientrano nel campo delle gigantesche assurdità balzachiane, che il proprio interesse; e non nuoce al prossimo che in quanto se ne può giovare. Ma sia mille volte benedetto costui! Cosí almeno si conosce il pericolo! Il nostro sarà il rischio che si corre quando si inciampa nelle rotaie di un tranvai; fuori di quel binario siamo tranquilli, perfettamente tranquilli, e ti par poco?

— Va bene. Continua.

— Uno stupido, invece, non è legato da nessun vincolo, perchè non ha idea del proprio interesse; i danni che può fare son dunque infiniti, poiché mi convinco sempre di più che l’interesse è ancora il più sicuro regolatore delle male passioni umane.

— Uno stupido! Uno stupido! Ma che maniera di parlare è la tua? Di stupidi ce ne sono infinite varietà. C’è lo stupido buono e lo stupido cattivo, lo stupido serio e lo stupido allegro, lo stupido furbo e lo stupido ingenuo. Come puoi mettermi in un fascio tutte queste dissimili stupidità?

— D’accordo. Ma hanno tutte un carattere comune: la mancanza d’immaginazione. Gli stupidi non riescono a immaginarsi che cosa sentiranno quelli a cui fanno del male. E perciò si trovano nella situazione di un essere ipotetico, che non abbia mai avuto sensibilità fisica, e che dia delle [p. 177 modifica]bastonate; costui sarà quanto mai feroce, perchè non potrà intuire il patimento dell’uomo, che le riceve. E, inoltre gli stupidi si dividono in due fondamentali categorie, che sono una più pericolosa dell’altra: la categoria di quelli che sono influenzati e la categoria di quelli che influenzano.

Perchè ci sono, disgraziatamente, anche questi ultimi. Tu vedi che cosa ne viene al mondo. I primi sono come dei bicchieri vuoti, che ti puoi trovar da un momento all’altro colmi dei liquidi più vari, tanto che mentre t’aspettavi vino hai da bere olio, e mentre t’aspettavi olio hai da bere acqua. E allora come ti conviene vivere con costoro? Come ti riesce di difenderti? Su che cosa puoi contare? Come puoi essere sicuro, che se la mattina quella persona t’amava, la sera non t’odï, che se la sera, per farle piacere, dovevi essere a un modo, la mattina non devi essere tutto mutato?

Per i secondi poi non c’è gran che bisogno di dire, perchè siano detestabili e funesti. Senza sapere, dirigono. E dirigono con una forza, che nessun uomo intelligente possiede; poiché non vedendo gli inciampi, e non riuscendo a capire nessun ragionamento, che s’opponga alla loro formula, hanno la fermezza invincibile degli dèi; e oltre a questa sicumera, che per convincere gli uomini vai più della ragione e a una vanità che è come una auto-investitura, a cui tutti s’inchinano, essi hanno il facile e universale successo della banalità. Tu sai che ogni [p. 178 modifica]verità profonda è sempre paradossale, appunto perchè le verità correnti sono superficiali (e con questo intendiamoci, non voglio dire che ogni paradosso sia una verità profonda). Questa verità dà dunque una scossa che non dà una banalità, la quale, per essere stata cento volte pensata da tutti, ha l’aria d’esser cento volte più vera. Chi predica una banalità ha dunque molto più facilmente successo di chi predica una verità profonda.

— Sí, caro, tutte queste, son cose che si sanno da molto tempo. Veniamo alla conclusione.

— La mia conclusione è questa: che data l’abbondanza e la forza nociva degli stupidi, la civiltà, sviluppandosi, non ha dovuto pensare che a loro; in modo che tutte le manifestazioni, che tu vedi, di questa civiltà, non sono che ripieghi e parafulmini, per risolvere il problema degli stupidi. Degli intelligenti, in ogni maniera se la sarebbero cavata, in modo da fare il proprio vantaggio senza fare del danno al prossimo, che sarebbe poi stato un danno a loro, per riflesso. Ma io dico questo. Che ora, per difendersi dagli stupidi, inquadrandoli, ha finito per dar loro tanta potenza che essi finiranno per distruggere tutti gli intelligenti, o, almeno per metterli nell'impossibilità di operare intelligentemente. Per questo io grido all’arme! Guarda. Da questa finestra puoi vedere un pezzo di città, con delle colline dietro, e l’una e l’altre ti mandano, in questo misterioso fragore di mare che fanno le moltitudini [p. 179 modifica]lontane, le voci di migliaia e migliaia di stupidi. Ma non ti spaventa l’idea della loro onnipresenza e del loro peso?

Dovunque: nei giornali, nella critica, nella letteratura gli stupidi trionfano, volteggiano, ingrassano come nel clima più propizio alla loro salute indiscutibile; e l’opinione pubblica, questa sintesi di stupidi, questa stupidità fatta Dio, li incorona, li riconosce per suoi, li nutre e li arricchisce. Pensa invece a quei pochi intelligenti, derisi e poveri, che girano umilmente tra quei grassi sovrani del mondo, rifugiandosi nell'arida consolazione di un sorriso ironico, e dimmi se veramente non è il caso di temere una tempesta, che a corta scadenza seppellirà tutti quanti.

— Hai torto. Che gli stupidi siano ormai troppo potenti, puó esser vero; ma tu non gli serbi nemmeno quel poco di riconoscenza, che devono avere, coloro che hanno fatto progredire il mondo. Tu stesso dicevi, che tutte le manifestazioni della nostra civiltà che si vedono, non sono che ripieghi e parafulmini per difendersi dagli stupidi. Ma che vuol dire questo? Saranno stati creati come difesa degli stupidi; ma intanto sono stati creati, e ne godono ormai gli uni e gli altri. E la critica, per che ragione è stata inventata, se non per illuminare gli stupidi, che senza un aiuto non avrebbero capito? E i giornali sarebbero stati fatti, se non c’erano degli stupidi a cui bisognava dar delle idee? [p. 180 modifica]

La stessa arte, scommetterei che è stata, in origine, lo studio di trovar delle formule così potenti, da persuadere gli stupidi di certe idee, o nozioni che, dette semplicemente, non li avrebbero nemmeno tocchi. Il problema è complesso. Ma in questo strano universo anche gli stupidi hanno la loro funzione. E gli intelligenti, forse, non hanno creato, che perchè gli stupidi ce li hanno costretti. Anche delle cellule intelligenti, come le cellule nervose, non possono operare che sulla base inerte ma generale del tessuto connettivo.

— Ma io non sono mica uno stupido. Ti dispenso, quindi di durar tanta fatica, per farmene l’elogio.

  1. Dal « Baretti » — Torino, Nov. Dic. 1927.