Melmoth o l'uomo errante/Volume I/Capitolo II

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Volume I - Capitolo II

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Charles Robert Maturin - Melmoth o l'uomo errante (1820)
Traduzione dall'inglese di Anonimo (1842)
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CAPITOLO II.


Alcuni giorni dopo la cerimonia funebre, fu alla presenza di testimoni aperto il testamento del defunto, e Giovanni si trovò erede egli solo de’ beni di suo zio; beni, i quali poco considerevoli nella loro origine, erano in seguito per mezzo della eccessiva economia di lui divenuti importanti.

Quando il notaio ebbe ultimata la lettura del testamento rivolto a Giovanni disse: Vi sono ancora alcune [p. 43 modifica]altre parole in calce di questo documento; desse non fanno parte del testamento, nè vi figurano in forma di codicillo, e neppure sono sottoscritte dal testatore; ma io posso certificarvi che sono di sua scrittura. Le fece vedere al giovane Melmoth, che riconobbe di fatti i caratteri di suo zio, caratteri cioè perpendicolari e stretti, pieni di abbreviature, e che non lasciavano alcuno spazio vuoto nel foglio. Il giovane non senza emozione lesse quanto segue:

«Ordino a Giovanni Melmoth, mio nipote e mio erede di levar via, e di distruggere o far distruggere il ritratto marcato Io. Melmoth An. 1646, il quale è appeso nel mio gabinetto; gli ordino altresì di far ricerca di un manoscritto, che troverà, per quanto penso, nella terza cantera, vale a dire la più bassa del canterale di acajou, situato sotto il medesimo ritratto. Esso è rinserrato con alcuni altri fogli di poco o nessun valore, come sarebbero sermoni manoscritti, e parecchi opuscoli sul miglioramento dell’Irlanda; ma egli lo distinguerà [p. 44 modifica]agevolmente, per esser legato con un nastro nero, e per aver le pagine molto sudicie e scolorate. Gli permetto di leggerlo se vuole; credo però che farebbe meglio ad astenersene. In ogni caso lo scongiuro, per quel riguardo, che è dovuto ai trapassati, di bruciare il detto manoscritto.»

Finito ch’ebbe Giovanni di leggere questa nota singolare, riassunse l’affare, che formava l’oggetto di quella riunione. Il testamento del vecchio Melmoth era espresso in termini tanto chiari, ed in tanto buon ordine compilato, che incontanente fu tutto aggiustato senza che insorgesse la più piccola opposizione o difficoltà. Ciascune si ritirò e Giovanni Melmoth rimase solo.

Mi era dimenticato di dire, che i tutori di Giovanni, nominati nel testamento, giacchè esso non era ancora uscito dalla minorità, lo avevano impegnato a far ritorno al collegio, onde terminasse il più presto possibile il corso de’ suoi studi; ma Giovanni fece loro osservare, che il rispetto dovuto alla memoria del [p. - modifica]Mi armava contro di essi della stoia che mi serviva di guanciale...............

Nov. Fasc. x.

[p. 45 modifica]defunto lo obbligava di fermarsi per qualche spazio di tempo in casa. Questo peraltro non era il vero motivo della sua permanenza. La curiosità, ovvero un sentimento, che forse merita che gli sia dato un nome migliore, erasi impadronito del suo spirito. I suoi tutori, che erano le persone le più distinte di quelle vicinanze tanto pel loro stato che per la loro fortuna, ed agli occhi dei quali Giovanni aveva acquistata molta importanza, dopo che aveva ereditati i beni di suo zio, volevano, che egli andasse ad alloggiare in casa di alcuno di loro fino al suo ritorno a Dubino; egli rigettò le loro offerte con urbanità, ma con fermezza. Essi dunque fecero sellare i loro cavalli, strinsero la mano del loro pupillo, partirono e lasciarono solo il giovane Melmoth.

Egli passò tutta quella giornata immerso in riflessioni malinconiche ed inquiete. Traversava la camera di suo zio, si approssimava alla porta del gabinetto, ma incontanente se ne allontanava; si affacciava alla finestra [p. 46 modifica]per contemplare le nubi, che nascondevano il cielo, fermavasi ad ascoltare il fischio del vento, come se queste cose avessero dovuto alleggerirgli invece di accrescergli il peso, che gli opprimeva lo spirito e gli serrava il cuore. Finalmente verso la sera fece venire presso di se la vecchia governante, dalla quale sperava di ottenere qualche schiarimento intorno alle straordinarie circostanze, di cui era stata testimone dal primo momento del suo arrivo in casa dello zio. La vecchia orgogliosa dell’onore, che le veniva compartito, si portò immediatamente presso il giovane suo nuovo padrone. Ecco in che consistè appresso a poco la sua deposizione. (Noi risparmieremo ai nostri lettori la noia delle sue interminabili circonlocuzioni; delle sue frasi irlandesi, e delle frequenti interruzioni cagionate o dalla sua tabacchiera o dai bicchieri di whiskey, che il giovane Melmoth ebbe cura di farle allestire in una grossa bottiglia.) Il mio signor padrone, così ella nominava il defunto, aveva da due anni in circa [p. 47 modifica]abbandonato il gabinetto, che è situato in fondo della sua camera da letto. Alcuni ladri sapendo che il signor padrone aveva del danaro, e non dubitando che egli quivi lo nascondesse, vi erano entrati; ma non avendovi trovato che de’ fogli, si erano ritirati. Il defunto dopo d’allora era entrato in sì gran timore, che aveva fatta murare la finestra. Che in quanto a se, ella era persuasa che vi fosse sotto qualche mistero, perchè il defunto, che faceva i più alti schiamazzi quando doveva spendere una lira al di là delle spese ordinarie, non aveva fatta alcuna difficoltà per pagare i muratori che fecero quel lavoro. Più tardi, quantunque egli non avesse mai amata la lettura, fu rimarcato, che si rinchiudeva in camera sovente, e quando gli si portava il desinare, si trovava quasi sempre, che leggeva attentamente un manoscritto, che però nascondeva appena sentiva entrare qualcheduno. Si parlava ancora molto di un ritratto, che egli non voleva far vedere a nessuno. Sapendo ella, che esisteva in famiglia [p. 48 modifica]una tradizione particolare, aveva fatto tutto il possibile per conoscerne qualche cosa, e che una volta era andata a trovare Biddy Brannigan, la sibilla, della quale abbiamo parlato, per discoprire ciò che fosse, ma Biddy erasi contentata di scuotere il capo, riempiere la sua pipa, pronunziare alcune parole, ch’ella non aveva potute comprendere, e si era messa a fumare di nuovo. In questo frattempo, due giorni prima, che il signor padrone cadesse malato, egli trovavasi una sera sulla porta del cortile, quando la chiamò per farla chiudere, perchè il signor padrone amava che le porte si chiudessero presto. Ella erasi affrettata ad obbedire, quando il signor padrone con un atto d’impazienza le aveva tolta di mano la chiave bestemmiando. Ella si era un poco allontanata veggendo che il signor padrone era di mal’umore più del consueto in quella sera. Ad un tratto lo intese mandare un grande urlo e lo vide cadere supino. Tosto tutti dalla cucina accorrono per prestargli soccorso. Ella era così [p. 49 modifica]sconcertata, che non sapeva cosa fosse seguito dipoi; si ricorda ciò non ostante, che il primo segno di vita che diede il suo padrone fu di alzare le braccia e di sporgerle nella direzione del cortile. Avendo ella alzati gli occhi vide un uomo di alta statura traversare il cortile e sortire dalla porta maggiore, di che molto era rimasta stupefatta, posciachè erano molti anni che quella porta non era stata aperta, e tutti i domestici allora erano intenti a soccorrere il loro padrone. Ella avea veduta la figura dello straniero, ed osservata l’ombra di lui nella muraglia; lo aveva oltre a ciò scorto traversare lentamente il cortile, ed in mezzo al suo spavento, ella aveva gridato: Arrestatelo, ma tutti essendo occupati intorno al signor padrone, nessuno aveva fatta attenzione a ciò ch’ella diceva. Questo era tutto quello che poteva raccontare. Che del rimanente il suo giovane padrone ne sapeva quanto ella stessa; egli erasi trovato presente all’ultima malattia di suo zio; ne aveva intese le ultime parole; era stato [p. 50 modifica]testimone della di lui morte: come poteva ella saperne più di lui?

È vero, rispose Melmoth, io l’ho veduto morire; ma voi mi avete detto, esistere una particolare tradizione in famiglia: me ne sapreste dire qualche cosa? — Oh! nulla affatto; quantunque io sia già vecchia, cotesta tradizione esisteva molto tempo prima, che io venissi alla luce. Non ne dubito. Ma avete voi rimarcato mai, che mio zio fosse superstizioso, fantastico!... Melmoth fu costretto ad usare molte perifrasi per farsi intendere, ed alle fine la governante diede una risposta chiara e positiva in questi termini: No, mai, mai. Quando il defunto mio padrone e vostro zio se ne stava in tempo d’inverno in cucina per non farsi accendere il fuoco nel suo caminetto, s’impazientava al sentire i discorsi delle vecchie donnicciuole, che venivano di tempo in tempo ad accendere le loro pipe. Egli diveniva accigliato, e le buone vecchie erano costrette a fumare la loro pipa in silenzio, senza fare la più piccola allusione, anco a mezza voce, [p. 51 modifica]al bambino d’un tale, cui era stato dato mal d’occhio, o a quello d’un tal altro, il quale benchè impotente e zotico durante tutto il corso del giorno, si levava regolarmente tutte le notti per andare con la buona gente sulla sommità della vicina montagna a danzare al suono della cornamusa, che veniva la sera a chiamarlo alla porta della sua capanna.

I pensieri di Melmoth si fecero più tetri e malinconici quando ebbe sentite queste particolarità. Se suo zio non era di sua natura supertizioso, forse poteva essersi lordato in vita di qualche grave misfatto. Forse la di lui subitanea morte e lo strano avvenimento, da cui era stata preceduta, avevano relazione con qualche torto, che nella sua rapacità aveva fatto alla vedova o all’orfano. Interrogò a questo proposito la vecchia governante, sempre però in una maniera indiretta e prudente; ma la risposta che diede giustificò completamente il defunto. Egli era un uomo, disse, che aveva duri egualmente la mano ed il cuore; ma era altrettanto [p. 52 modifica]geloso de’ propri che degli altrui diritti. Avrebbe permesso che morisse di fame la metà del mondo, ma non avrebbe fatto torto di una lira a chicchessia.

A Melmoth non rimaneva che una risorsa per esser informato di ciò che desiderava sapere, ed era di farsi venire Biddy Brannigan, la quale non era ancora uscita di quella casa, e da cui sperava almeno di aver qualche lume intorno alla tradizione, che la vecchia governante gli aveva menzionata. Venne ella diffatti, e quando si trovò alla presenza di Melmoth distinguevasi negli sguardi di lei un misto di petulanza e di servilità molto curioso l’occhio dell’osservare. Questo procedeva dal genere di vita ch’essa aveva abbracciato, e che partecipava dell’abbietta miseria, e delle arroganti, ma astute imposture. Incominciò ella dal fermarsi rispettosamente all’ingresso della camera pronunziando alcune interrotte parole, le quali, secondo tutte le apparenze, erano destinate a delle benedizioni; ma cui il suo esteriore per [p. 53 modifica]e le maniere davano un colore tutto affatto contrario. Tosto che fu interrogata sul soggetto della storia, ella prese un’aria d’importanza, la fronte se le rasserenò come quella d’Aletto, che Virgilio ci dipinge ora sotto l’aspetto di una vecchia oppressa dal carico degli anni ora sotto quello di una furia. Ella traversò la stanza con un’aria arrogante, quindi si assise, o piuttosto si sdraiò sul piano del caminetto; quindi riscaldando la scarna sua mano si dondolò per qualche tempo con tutta la persona, prima di dar principio al suo racconto. Quando ella ebbe terminato di parlare, Melmoth si maravigliò della straordinaria posizione alla quale gli ultimi avvenimenti avevano ridotto il suo spirito, posciachè egli aveva potuto prestare orecchio e con sentimento d’interesse, di curiosità ed anco di terrore ad un discorso così incoerente, assurdo ed incredibile, in maniera che arrossì della sua follia. Frattanto però il resultato di tutte coteste impressioni diverse fu la risoluzione di visitare il gabinetto, e [p. 54 modifica]di esaminare il manoscritto dentro quella medesima sera.

Ciò non ostante quantunque vivissima fosse la sua impazienza, si vide forzato a porle un limite, perchè avendo dimandate delle candele alla governante, ella le disse di averle tutte consumate nel giorno antecedente intorno al cadavere del suo signor padrone. Fu spedito prontamente un giovanetto a piedi nudi per provvederne nel prossimo villaggio, cui la governante disse inoltre di trovare in prestito, se poteva, un paio di candellieri. Non ci sono dunque candellieri in casa? disse Melmoth. — Ce ne sono, rispose la governante, ma non abbiamo avuto il tempo di aprire il vecchio baule, in fondo del quale sono rinserrati i candellieri di plaque, ed in quanto a quelli d’ottone ce n’è uno, cui manca il piede ed un altro è mancante di boggiuolo. — E come fate voi per tenere accesa la candela? — Faccio un buco nel mezzo di una patata grossa, e ve la inserisco...

Intanto che il giovanetto correva [p. 55 modifica]senza prender respiro al villaggio, Melmoth ebbe tutto il campo di fare le sue riflessioni; la serata d’altronde era propizia per meditare. Il tempo era frigido ed oscuro; folte e dense nubi annunziavano che la pioggia che aveva incominciato a cadere, non avrebbe cessato così presto. Melmoth appoggiato alla conquassata finestra, che ogni colpo di vento faceva muovere, non iscorgeva al di fuori che la più malinconica prospettiva, come quella che poteva presentare il giardino di un avaro. Le muraglie cadevano in rovina, i viali erano ricoperti di erba, le piante spogliate ed inselvatichite, le spine e le ortiche rimpiazzavano per ogni dove i fiori del parterre; al guardo si sarebbe preso per la verdura di un cimitero, pel giardino della morte. Se egli abbandonava la finestra per girare lo sguardo intorno alla camera, essa non porgeva un aspetto più consolante. L’intavolato era divenuto nero dal suidiciume e tutto pieno di fessure, i ferri del focolare ricoperti di ruggine, sulle seggiole non [p. 56 modifica]si vedeva più ombra di guarnimento. Al di sopra del caminetto si vedevano per tutt’ornamento delle smoccolatoie rotte, un calendario dell’anno 1790 tutto lacero, un orologio, che per mancanza delle più indispensabili riparazioni non indicava più le ore, ed un vecchio schioppo da caccia, cui mancava il cane. Non dobbiamo pertanto maravigliarci se Melmoth amava d’immergersi ne’ suoi pensieri, piuttosto che contemplare uno spettacolo di tanta desolazione. Ricapitolò egli parola per parola la relazione della sibilla col tuono di un giudice, che fa subire un contro-interrogatorio ad un testimone, cui spera di far cadere in contradizione.

«Il primo de’ Melmoth ch’erasi stabilito in Irlanda, aveva ella detto, era un ufficiale dell’armata di Cromwell, il quale aveva ottenute delle terre confiscate ad una famiglia irlandese attaccata alla causa del re. Il fratello maggiore di cotestui aveva molto viaggiato, ed erasi per tanto spazio di tempo fermato nel continente, che la famiglia ne aveva [p. 57 modifica]quasi perduta la rimembranza. Nulla d’altronde obbliga i suoi congiunti a far ricerca di lui. I racconti più straordinari correvano sul conto del viaggiatore. Egli aveva, come diceva taluno, appresi i più terribili segreti. Convien riflettere, che a quell’epoca era molto invalsa la credenza nell’astrologia e nella magia, e questa credulità andò estendendosi fino sotto il regno di Carlo II. Checchè ne sia, assicurano, che verso il fine della vita del primo Melmoth stabilitosi in Irlanda, il viaggiatore andò a fargli una visita, e che tutta la famiglia rimase assai stupefatta nel vedere lui non esser punto invecchiato dalla ultima volta, che veduto lo avevano. Cortissima fu quella visita, desso non parlò nè del passato tempo nè dell’avvenire, ed i suoi congiunti non gli fecero alcuna interrogazione, perchè, a quanto si dice, la di lui presenza cagionava loro un certo terrore di cui non si sapevan rendere ragione. Nel partire esso lasciò loro il suo ritratto, quel medesimo che Giovanni aveva veduto nel gabinetto con [p. 58 modifica]la data del 1646, nè più era ricomparso. Alcuni anni dopo arrivò in Inghilterra una persona, la quale si recò presso il signor Melmoth dimostrando la più viva sollecitudine di aver notizie del viaggiatore. Non fu possibile dargliene di sorta veruna, onde egli dopo alquanti giorni di indagini e di inquietudini riparti, lasciando o per negligenza e a bella posta un manoscritto, che conteneva una relazione molto straordinaria delle circostanze, che avevano accompagnato la conoscenza fra lui e Giovanni Melmoth, che comunemente veniva chiamato il viaggiatore. Il manoscritto ed il ritratto erano stati conservati, e se conveniva prestar fede ad una voce molto divulgata, l’originale era tuttora in vita, ed era stato veduto molte volte in Irlanda, anco dopo la fine del passato secolo; ma non lasciavasi vedere se non quando qualche membro della famiglia era prossimo a morte, principalmente quando la vita di questo tale fosse stata lordata da delitti. Dietro tuttociò il futuro destino del [p. 59 modifica]defunto non lasciava di ispirare dei terrori a motivo della visita, che cotesto straordinario personaggio gli aveva o sembrava che fatta avesse.»

Tale fu la relazione di Biddy Brannigan, alla quale ella aggiunse, che secondo la sua personale opinione Giovanni, Melmoth, il viaggiatore, esisteva tuttora, senza che il tempo avesse avuto il potere di cambiare un cappello del capo o un muscolo della fisonomia di lui; ch’ella conosceva delle persone, che veduto lo avevano, e che pronte erano ad attestare ciò con giuramento, se fosse stato necessario; che nessuno avevalo mai sentito parlare e che egli non nutrivasi di di alcun cibo, nè alloggiava in altre case, se non in quella della sua famiglia; che finalmente ella era convinta, che la sua recente apparizione nulla di bene presagisse nè ai viventi nè a’ trapassati.

Giovanni era tuttora immerso nella considerazione del discorso tenutogli da Biddy Brannigan quando gli furono portate le candele; e senza porre mente al volto pallido, o al [p. 60 modifica]tacito e prudente bisbigliare dei suoi domestici, entrò temerariamente nel gabinetto, del quale rinchiuse dietro di sè l’uscio, e si mise a ricercare il manoscritto. Suo zio glielo aveva così bene indicato, che il giovane non durò gran fatica a rinvenirlo. Cotesto manoscritto, antico, sdrucito e scolorato fu tratto fuori dal luogo, nel quale l’aggiunta fatta dal vecchio al testamento indicava, che trovato si sarebbe. Le mani di Melmoth quando si mise a svolgerne le pagine erano fredde al pari di quelle di suo zio già collocato entro il sepolcro. Ne intraprese la lettura; un profondo silenzio dominava in tutta la casa. Melmoth guardava le accese candele con una tal quale interna inquietudine; le smoccolò, e non potè reprimersi dal pensare che la loro luce era d’un inusitato color di azzurro; e vi fu qualche istante, tanta è la forza della immaginazione, che quantunque ardessero, gli sembrava non tramandassero luce. Mutò più volte di posizione, ed avrebbe cambiata seggiola, se in quel luogo ce ne fosse stata un’altra. [p. 61 modifica]

Per alcuni istanti egli obbliò tutto ciò, che lo attorniava, quando ad un tratto lo squillo della campana, che suonava mezza notte lo fece trasalire. Era quello il primo rumore che sentito avesse da parecchie ore; il suono prodotto dagli enti inanimati, allorchè tutti i viventi sono come morti, produce un effetto molto tristo, particolarmente in tempo di notte. Giovanni con un poco di ripugnanza contemplava il fatal manoscritto; l’apri, si arresto alle prime linee; e perchè, il vento sibilava dentro quell’appartamento deserto e la pioggia cadeva con impeto sulla mezzo-rovinata finestra, egli desiderava.... Che mai poteva egli desiderare? Ahimè! non così agevol cosa gli sarebbe stata ad esprimerlo. Avrebbe voluto, che il sibilo del vento fosse men triste e meno monotono il cader della pioggia. Bisogna compatirlo: era la mezza notte passata, e nel giro di tre leghe non era chi vegliasse con lui!