Memorie (Bentivoglio)/Libro secondo/Capitolo I

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Capitolo I

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Capitolo I.

Quel che seguisse nella corte di Roma
intorno all’universale giubileo dell’anno 1600

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Alle memorie di questo secondo libro dará principio quella dell’anno santo. È cosa nota che anticamente al fine d’ogni secolo i romani pontefici con un giubileo universale facevano godere piú largamente del solito alla cristianitá i sacri tesori dell’indulgenze per beneficio maggiore de’ fedeli; fu dall’anno centesimo poi abbreviato il tempo al cinquantesimo e poi anche da questo spazio ad un altro piú breve di ciascuno venticinquesimo. Ma in tempo di Clemente essendo caduto l’anno santo che chiudeva l’intiero secolo del 1600, perciò parve che in certa maniera questo anno venisse a portare con sé qualche prerogativa maggiore degli altri framezzati nell’ordinario corrente spazio fra un secolo e l’altro, e che in conseguenza promettesse maggior concorso di forastieri e ricercasse all’incontro maggior preparamento alle devozioni. Con tutti i prencipi cattolici della cristianitá il papa anticipatamente aveva passato offici caldissimi accioché facessero godere ogni maggior commoditá e sicurezza di strade e di ospizi a quei pellegrini, che personalmente volessero venire a participare sui propri santi luoghi di Roma l’universale giubileo. Per tutto il [p. 120 modifica] dominio ecclesiastico si erano inviati da lui ordini strettissimi per il medesimo effetto, ma specialmente in Roma aveva assegnate larghe elemosine agli ospidali che sogliono ricevere in maggior numero i pellegrini, e volendo con dimostrazioni particolari di caritá di zelo e di splendidezza fare apparire il suo affetto paterno verso le nazioni cattoliche oltramontane, aveva fatto preparare un’abitazione in borgo delle piú capaci piú commode e piú vicine al palazzo del Vaticano e alla basilica di San Pietro, per farvi alloggiare i vescovi poveri i sacerdoti vergognosi o tali altre persone che da quelle parti fussero per venire a celebrare l’anno santo nella cittá di Roma. Fatte tutte queste preparazioni e molte altre, le quali dovevano servire all’edificazione spirituale ed alla commoditá temporale de’ forastieri, che io per maggior brevitá qui tralascio di riferire, egli diede principio alla celebrazione dell’universale giubileo. Questo principio suole pigliarsi all’antecedente vigilia del santissimo natale di Cristo Signor nostro, per includere in una celebrazione tanto devota un giorno festivo tanto solenne. Ma perché il papa si trovò impedito dalla podagra, perciò da quei primi vespri fu trasferita la ceremonia dell’aprirsi la porta santa, che è la prima azione dell’universale giubileo, alla vigilia della circoncisione, la quale festa cadde appunto nel primo giorno dell’anno. Dunque nell’accennata vigilia il pontefice, accompagnato dal sacro collegio dagli ambasciatori da tutta la prelatura ecclesiastica e dal fiore di tutta la nobiltá secolare, calò in forma di processione pontificalmente nella basilica di San Pietro per celebrarvi il vespro con ogni piú solenne pompa di ceremonia. Fermossi prima nel portico, il quale maestosamente scorre da un lato all’altro di detta basilica, e dal cui primo adito si entra in essa per le principali sue porte. Quivi egli con le solite cerimonie aperse la porta santa, che nell’antecedente universale giubileo dell’anno 1575 era stata aperta e poi chiusa da Gregorio decimo terzo, e per essa entrò insieme con tutti gli altri nella basilica, ma con tanta difficultá per la moltitudine infinita del popolo innumerabile che non poco egli stesso penò a poter introdurvisi. [p. 121 modifica]

Con l’aprirsi la porta santa apertosi il tesoro delle sacre indulgenze, le quali giá sulle stampe si erano publicate per ogni parte del cristianesimo, continuossi con grandissimo concorso di genti in Roma a goderle. Ciò consisteva nel visitare le chiese, le quali erano principalmente di San Pietro San Giovanni Laterano Santa Maria Maggiore e San Paolo e le altre tre delle sette ordinarie. Come ogni dí l’esperienza dimostra, niuna cosa muove piú l’inferiore che l’esempio del capo supremo; e perciò volle il papa con quello delle sue azioni proprie tanto maggiormente eccitare la pietá e la devozione ancora nelli altri. Dunque nella prima prossima domenica egli andò personalmente a visitare le sette chiese, calò in San Pietro e con la solita esemplare devozione disse la messa privata all’altare de’ gloriosi apostoli.

Quindi fece orazione a ciascheduno de’ sette altari privilegiati, e poi uscito dal tempio si pose a cavallo d’una mula bianca decentemente guarnita. Egli non solo mai non usò carrozza ma neanche mai né chinea né altra sorte di cavallo ordinario, e si trasferí a San Paolo. In quella chiesa fece pur’anco le orazioni solite, come poi similmente in San Sebastiano e dopo in San Giovanni, facendo ivi prima in ginocchioni tutta la scala santa che è fuori del tempio. Di lá entrò in esso, e fattevi pure le consuete orazioni, si fermò poi nel contiguo palazzo apostolico fabricato da Sisto quinto, e riposatosi alquanto in certe stanze terrene pranzò in esse, e congiungendo alla liberalitá spirituale la temporale, fece dare similmente da pranzo in altre vicine camere non solo a tutte le persone del suo servizio ma a tutte le altre ancora piú considerabili che l’avevano accompagnato. Il che seguí sempre nell’istessa maniera tutte l’altre volte ch’egli in quell’anno visitò le sette o le quattro chiese. Da San Giovanni partitosi in lettica passò a Santa Croce in Gerusalemme e dopo a San Lorenzo e finalmente a Santa Maria Maggiore. In tutte le quali chiese pur fece le solite orazioni, e da Santa Maria Maggiore traversando l’abitato di Roma ritornò al Vaticano. Questa fu la sua prima uscita alle sette chiese. Di quando in quando egli poi [p. 122 modifica] reiterava la medesima devozione di tutte le sette. Ma non passò mai domenica di quell’anno santo, purché egli non fusse infermo, che non visitasse le quattro basiliche principali, nel modo tenuto la prima volta: calando prima in San Pietro e poi andando a San Paolo e dopo a San Giovanni, dove si fermava a pranzo, terminando la visita sempre in Santa Maria Maggiore. In ciascheduna chiesa egli faceva apparire la sua esemplarissima devozione, ma nel fare specialmente, quasi sempre in genocchione, la scala santa quanto egli in quell’atto pativa tanto piú edificava. E senza dubio il patimento era grandissimo rispetto alla sua podagra e chiragra, le quali nel fermar egli tutto il peso sulle genocchia e nel salire dall’uno all’altro scalino gli tenevano impedite in modo le mani ed i piedi che non poteva se non difficilmente, e con intenso e acerbo dolore, servirsene. E pure io non mi ricordo ch’egli in queste funzioni mai tralasciasse quella sorte di particolare devozione. E certo s’intenerivano i cuori di ciascuno in vedere una tanta maestá umiliarsi a quel segno, ed accompagnar quell’azione con sí vero ardor di spirito e con sí gran zelo di fede; il che specialmente appariva dalla copia di tante lagrime che dagli occhi per ciascheduno di quelli santi gradi gli uscivano secondo che le ginocchia dall’uno all’altro di mano in mano lo portavano; benché non paresse nuova tale devozione a chi l’aveva gli anni innanzi due volte veduto, poco prima di assolvere il re di Francia e di riunirlo alla Chiesa, andare di gran mattina in privatissima forma dal Quirinale a Santa Maria Maggiore con piedi nudi che erano sí debilitati dalla podagra, e con gli occhi che in tal occasione gli si disfacevano in lagrime, per implorar tanto piú intensamente il favor celeste nel doversi da lui risolvere un sí alto ed importante negozio. Compose il cardinale di Verona, quel sí raro soggetto del quale ho parlato di sopra, una sua latina operetta dell’anno santo d’allora. In essa ammira egli quasi con istupore questa particolare applicazione del papa alla visita delle chiese e tante altre sue azioni esemplari, che fecero apparire in cosí alto grado e la sua pastorale vigilantissima cura ed il suo ardente apostolico zelo. In [p. 123 modifica] quella occasione dell’universale giubileo nella quadragesima di quell’anno volle particolarmente il papa che tutte l’azioni spirituali si facessero con diligenza straordinaria e insieme con straordinario decoro. Per tutte le chiese salirono sui pulpiti i piú famosi predicatori d’Italia. In tutti gli oratori delle confraternitá principali, con ogni maggior decenza, si fecero le solite devozioni. Il papa istesso piú volte visitò gli ospedali lavando i piedi a gran numero di pellegrini, ancorché la chiragra vi repugnasse, mettendoli dopo a tavola, porgendo loro le prime vivande, e con somma caritá infine lasciando loro e larghe benedizioni e non meno larghe elemosine; al qual ministerio lo servivano sempre e l’accompagnavano diversi cardinali, ma specialmente quei di palazzo che piú d’ordinario avevano occasione di trovarsi appresso la sua persona. Oltre alle prediche solite degli altri anni che il padre Monopoli nei giorni determinati fece in palazzo, ne udí molte altre il papa nella sua privata cappella, chiamandovi ora questo ora quello predicatore de’ piú celebri che avesse quell’anno la corte; e mi ricordo ch’egli gustò particolarmente d’udire tre privati sermoni in quel modo che furono fatti dal cardinale Baronio dal cardinale Antoniano e dal cardinale Bellarmino, godendo in vedere esercitato un simile officio ancora da tali e sí eminenti persone da lui in quel grado con tanto onore suo e della Chiesa constituite.

Non passava mai settimana che di fuori non comparissero confraternitá numerose, le quali venivano a godere personalmente in Roma l’universal giubileo. Ciascuna di loro verso la sera in un cortile del palazzo si faceva vedere al papa, il quale da una fenestra, nel giro che facevano li pellegrini, dava loro piú volte la santa benedizione apostolica. Ma comparve da Fiorenza una confraternita verso la quale il papa fece varie dimostrazioni di molto affetto e di molto onore, percioché una mattina dopo l’aver di sua mano communicato ciascuno de’ fratelli, furono essi condotti nella gran galleria gregoriana dove era apparecchiata una lunghissima tavola, e quivi fu dato loro nobilmente da pranzo, comparendo il papa in persona a [p. 124 modifica] benedire la tavola e le persone ed a ministrare ancora le prime vivande al convito. Io mi trovai con gli altri camerieri del servizio a quella sorte d’azione, che fece apparire quanto il papa si pregiasse di trarre il sangue suo da Firenze e quale fusse tuttavia il suo affetto verso la nazione fiorentina.

Desiderò il papa in quell’anno che i cardinali in quel maggior numero che si potesse comparissero a palazzo nell’occasione de’ concistori e delle cappelle, con le persone e con l’accompagnamento loro a cavallo, parendoli che ciò avesse piú dell’antico e dell’ecclesiastico, e piú del nobile e del maestoso. Prima non solevano comparire a cavallo in cosí fatte occasioni se non i due cardinali Montalto e Farnese, per le commoditá che avevano l’uno e l’altro di mantenere numerose e splendide famiglie nelle loro corti, e di fare tutte quelle spese di piú che ricercava una tale azione; onde per questa difficoltá della spesa appunto poche altre persone de’ cardinali s’aggiunsero a questi due. Gli altri furono Colonna, Cesis, Sforza, e verso il fine dell’anno il cardinale Alessandro d’Este fratello del nuovo duca di Modena, che era stato promosso anch’egli fra i tredeci poco innanzi creati, e che al fine di quell’anno venne a pigliare il cappello cardinalizio per mano del papa secondo il solito. Per dar esempio il papa nel palazzo apostolico d’ogni maggior modestia e simplicitá ecclesiastica ancora in quella parte, la quale riguardava il culto e l’ornamento delle proprie sue stanze, egli volle che tutte restassero nude e spogliate di tutte le sorti di paramenti, e che in quella vece fussero vestite di varie pitture di devozione. Il che senza dubio edificava i forastieri notabilmente, e le persone nobili in particolare che da ogni lato d’Italia e da’ paesi oltramontani in gran numero si viddero venire in quell’anno in Roma, e che poi da’ cardinali o da ambasciatori o in altra forma erano introdotti a baciare in camera i piedi al papa ed a ricevere la santa benedizione apostolica. Ciò seguí frequentissimamente, né si può dire con quanta benignitá con quanto zelo e insieme con quanto decoro il papa gli raccoglieva, gli udiva e poi al fine gli licenziava. [p. 125 modifica]

Fra i pellegrini piú riguardevoli che vennero allora per devozione a Roma, ne comparve uno di altissima qualitá e fu il cardinale Andrea d’Austria, che alcuni mesi prima era tornato dal governo di Fiandra in Germania; aveva egli governate quelle provincie nel tempo che l’arciduca Alberto n’era stato assente per l’occasione del suo matrimonio con l’infanta di Spagna. Tornato poi l’arciduca in Fiandra con la sua nuova moglie, n’era partito il cardinale Andrea, e fermatosi alcuni pochi mesi in Germania, egli prese risoluzione verso il fine dell’anno di venire occultamente a Roma, per conseguire l’indulgenze del giubileo in vera forma di pellegrino e per godere insieme una breve revista di Roma stessa, dove egli era stato in altri tempi e trovatosi ancora in diversi conclavi. Penetrò il papa nondimeno la sua venuta e mandò subito il cardinale San Giorgio, (era poco innanzi partito Aldobrandini per le due legazioni di Fiorenza e di Francia, delle quali io parlerò qui appresso) a condurlo in palazzo, dove il papa lo ricevè ed alloggiò con grandezza e con ogni trattamento piú affettuoso. Finite le devozioni di Roma il cardinale si trasferí a Napoli e di li a poco tornò in Roma alquanto indisposto, ma subito restò talmente oppresso dal male che in pochi giorni lo privò irremediabilmente di vita. Visitollo piú d’una volta il papa, e mandava continuamente alcuno di noi altri camerieri segreti per intendere come stava, e finalmente quando seppe che il cardinale s’avvicinava alla morte, volle andar egli stesso a confortarlo in quel transito, e con le proprie sue mani gli ministrò non solo la benedizione apostolica ma ancora il santissimo viatico, senza abbandonarlo mai finché spirò intieramente. Io mi trovai a tutto il successo, che fu di molta edificazione; e certo non potevano dar maggior esempio il cardinale con la sua morte né il papa con la sua esortazione, tal costanza e virtú cristiana il cardinale mostrò in quell’estremo passaggio, e tal fervore di zelo santissimo e di lagrime tenerissime uscí dal papa ne’ conforti che gli diede per farlo. Sentí nondimeno il papa gran dispiacere di questo, e volle che nella chiesa nominata dell’Anima, che appartiene alla [p. 126 modifica] nazione alemanna, fossero al cardinale celebrate in ogni piú nobil forma le solite esequie cardinalizie, con farvi aggiungere di piú ancora un’orazione funebre che in ultimo fu recitata in sua lode. E meritavansi veramente dal cardinale Andrea tutte queste dimostrazioni, perché egli fu prencipe di rara pietá e dotato di molte altre singolari virtú, come le cose da me narrate in particolare nella mia Istoria di Fiandra hanno potuto fare molto chiaramente conoscere.

Nell’istesso anno santo il papa quasi finí d’ornare la chiesa di San Giovanni in quella sontuosa forma che si vede presentemente, e che ha fatto crescere tanto la devozione per l’una parte e lo splendore per l’altra in quella sí antica e famosa basilica; ed al medesimo tempo del giubileo fe’ pur’anco accelerare notabilmente nella chiesa di San Pietro il lavoro di una sontuosissima cappella che da lui si erigeva dirimpetto alla gregoriana, accioché quivi ancora, nella basilica rappresentante il suo vescovato universale del cristianesimo, restasse qualche particolare memoria di lui, come nell’altra del suo vescovato di Roma era per durarne una sí celebre e di tanta venerazione, finita l’opera, con essergli poi restato il nome di cappella Clementina; e mi sovviene che in certa solennitá ci intervenne anche una volta il papa col sacro collegio e con tutto il resto dell’accompagnamento ad una messa cantata. Fra queste azioni e diverse altre, che troppo lungo sarebbe il voler riferirle, passò tutto l’anno dell’universal giubileo.