Memorie di Carlo Goldoni/Parte terza/VI

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Carlo Goldoni - Memorie (1787)
Traduzione dal francese di Francesco Costero (1888)
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CAPITOLO VI.

Vo per la prima volta all’Opera Francese. — Mio entusiasmo per l’insieme di questo spettacolo. — Tratto di mia imprudenza. — Castore e Polluce mi riconcilia coll’Opera Francese. — Alcune parole sopra il Rameau, il Gluk, il Piccini e il facchini.

Eccomi finalmente a quello spettacolo, che molti avrebbero voluto che io vedessi prima d’ogni altro, e che non avrei forse veduto così presto, se l’occasione non mi ci avesse condotto. L’attrice, ammessa già nella nostra confraternita, salì subito al suo palchetto in compagnia di tre de’ nostri soci, ed io con due altri andai a prender posto nell’anfiteatro. Questo recinto, che occupa in Francia una parte della platea teatrale, resta in faccia al palco scenico in figura semicircolare, disposto a comodissimi e ben ornati gradini. Questo è il posto più felice per veder tutto e sentir bene; contento dunque del mio luogo, avevo compassione della gente della platea, che stava in piedi calcata dalla folla, e con tutta ragione dovea impazientirsi. Alla prima mossa dell’orchestra trovo l’accordo e l’insieme degl’istrumenti di un merito singolare e d’una esecuzione esattissima; mi comparisce bensì fredda e languente la sinfonia, che non era per certo del Rameau; poteva starne sicuro per aver già sentito in Italia più volte le sinfonie e la musica da ballo di questo compositore. L’azione incomincia: ma che! quantunque io avessi un buonissimo posto, non intendo una parola. Pazienza: aspettavo dunque le arie, la cui musica mi avrebbe se non altro divertito. Tutto ad un tratto ecco fuori i ballerini; io che credo finito l’atto senza verun’aria ne fo parola al mio vicino, egli si ride di me, e mi assicura che ve ne erano già state sei nelle diverse scene da me udite. — Come! (ripresi allora immantinente) io non son sordo, gl’istrumenti hanno pur sempre accompagnato le voci, ora un po’ più forte, ora un po’ più piano, onde ho presa tutta questa continuazione per un recitativo. — Su via, state attento, state attento adesso (egli soggiunge), osservate il Vestris: questi è il ballerino più bello, meglio formato, e più valente d’Europa. — Difatti vedo in quel ballo campestre, che il pastore dell’Arno oltrepassava in merito tutti i pastori della Senna. Due minuti dopo ecco di nuovo tre personaggi, che cantano tutti in una volta; questo era un trio, da me al solito confuso con un recitativo, e in questa guisa finì il primo atto. Siccome non vi è l’uso nell’Opere francesi di fare tra atto e atto qualche cosa, così non si tardò molto a dar principio all’atto secondo, sempre però con l’istessa musica, sempre con l’istessa noia. Lascio però affatto di occuparmi del dramma e del suo accompagnamento, e fisso la mia attenzione sull’insieme di quello spettacolo; e, per vero dire, lo trovo maraviglioso: vedo i primi ballerini e le prime ballerine di una perfezione stupenda, numerosissimo ed elegante il loro seguito: la musica dei cori comparisce anche più piacevole di quella del dramma, e vi riconosco i salmi del Corelli, del Biffi e del Clari, Sontuose le decorazioni: a maraviglia ordinate ed a perfezione eseguite le macchine; abiti ricchissimi, gente infinita sul palco scenico. Insomma, tutto era bello, grande, magnifico, eccetto la musica. Al termine del dramma altro non vi fu che una Ciaccona, cantata da un’attrice che non era del numero dei personaggi del dramma, coll’accompagnamento della musica dei cori, e qualche danza. Tale [p. 280 modifica] divertimento inaspettato avrebbe potuto ravvivare molto lo spettacolo, ma questo poteva piuttosto dirsi un inno, che un’arietta. Calato il sipario, tutte le persone di mia conoscenza mi domandavano come avevo trovato l’opera; m’esce di bocca colla velocità del lampo questa risposta: È un paradiso per gli occhi, un inferno per gli orecchi. — Questa risposta insolente e irriflessiva muove taluni a ridere, ad altri fa digrignare i denti. Due persone della cappella del re la trovano eccellente. Per combinazione l’autore della musica non era troppo lontano dal posto in cui mi trovavo, e forse mi aveva udito, onde io era nella massima agitazione: era un brav’uomo... requiescat in pace.

Pochi giorni dopo vidi Castore e Polluce. Questo dramma perfettamente scritto, e stupendamente decorato, mi riconciliò un poco l’animo coll’Opera francese, riconoscendo allora la differenza che correva fra la musica del Rameau e l’altra che non mi era in modo alcuno piaciuta. Amico intimo di questo celebre compositore, avevo anche la più alta stima della sua scienza e del suo ingegno. Convien per altro dire il vero: il Rameau si era reso celebre, ed aveva prodotto in Francia, relativamente alla musica stromentale, una fortunata rivoluzione: con tutto questo non aveva fatti cangiamenti essenziali nella musica vocale. Si credeva che la lingua francese non fosse atta a prestarsi al nuovo gusto che volevasi introdurre nel canto; Gian Giacomo Rousseau era pure di tal parere, onde egli istesso restò maravigliato, allora quando gli parve di vedere il contrario nella musica del cavaliere Gluk. Ma questo abilissimo compositore tedesco non aveva fatto altro che accennare da lungi il recente gusto della musica italiana, essendo riserbata ai signori Piccini e Sacchini la gloria di recar a perfezione quella riforma, che ora gustasi dai francesi un giorno più dell’altro. Mi sono esteso in questa piccola digressione senz’accorgermene. Io non sono dell’arte, ma amo la musica per solo genio; onde se un’aria mi tocca il cuore, se mi diverte, la sento certamente con piacere, nè sto poi ad esaminare se la musica sia francese o italiana. In quanto a me, sono di sentimento che non ve ne sia che una sola.