Memorie inutili/Proemio

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Proemio

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Ai suoi amati concittadini Parte prima
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PROEMIO

Se credessi d’essere un uomo la di cui vita contenesse delle imprese considerabili, da gran santo, da gran soldato, da gran giurisconsulto, da gran filosofo e in fine da gran letterato, non averei certamente la folle ambizione di scrivere di mio pugno delle memorie intorno a quella e di pubblicarle.

Lascierei quest’uffizio a’ romanzieri, che cercano di far maravigliare de’ lettori, o a de’ zelanti che proccurano di dare degli utili specchi d’esempio alle posteritá.

Ho veduti troppi uomini, non privi affatto di qualche buon attributo, rendersi ridicoli, perdere ogni merito, e tirarsi addosso delle sciagure per una stolta gigantesca presunzione che hanno di loro medesimi.

Costoro, accecati dalla superbia, si vestono d’un comico noli me tangere, che gli fa aombrare come puledri viziosi.

Se per avventura si degnano di credersi in necessitá di fare a se stessi un’apologia, non sanno farla che col dipingersi semidei, col chiamare due terzi del mondo invidiosi della lor gloria sognata, e con delle velenose invettive e degli infami scellerati libelli, suggeriti da una fantasia riscaldata, che gli fa travedere contro al prossimo, il quale non cade bocconi prostrato a terra innanzi al faceto loro: noli me tangere. Gli elogi che hanno la clemenza di fare a qualche persona sono pochi, perché poche furono le persone degne de’ lor panegirici; e sono quasi sempre diretti a’ sciocchi, che gli ammirarono, e a’ vigliacchi che gli adularono.

Lo studio maggiore ch’io abbia fatto fu quello di formare un processo continuo a me stesso, di rintuzzare quel petulante [p. 22 modifica]amor proprio, che fa dire a parecchi coll’andatura, coll’aspetto e collo sguardo: — Guardatemi, contemplatemi, ammiratemi, riveritemi, temetemi.

Trovai de’ gran benefizi da questo mio studio, e do alcune memorie della mia vita famigliare, morale, viaggiatrice e di picciola letteratura, col solo accennato desiderio d’umiliazione.

Conosceranno in queste, coloro che si contentano d’annoiarsi leggendo, che il corso della mia vita sino all’etá in cui sono non si merita né panegirici da chi vuol bene, né inonesti libelli da chi non mi ama. Ringrazierò sempre i primi dell’onore che avessero avuto la volontá di farmi, e non odierò mai i secondi che avessero avuto la sete di screditarmi.

Chi vive ha degli amici e de’ nimici. La sola simpatia e la sola antipatia a un aspetto, a un’effigie, a un favellare flemmatico o rapido, prolissio o laconico, a un temperamento diverso, senza esaminare il costume e le azioni d’un uomo, può cagionarne.

Le leggi, che proibiscono d’offendere e minacciano castighi all’offensore, furono necessarie anche per questo solo principio.

Potrei essermi guadagnato delle avversioni anche per tali cause innocenti, e darò un pontuale ritratto del mio esterno, perché si possa formare un diritto giudizio da questa parte da chi volesse divertirsi a formarlo.

Darò pure un ritratto originale del mio cuore, de’ modi del mio pensare e del mio temperamento, perché gli animi avvelenati e ingegnosi, che volessero spassarsi a fare di me qualche maligna pittura, possano farla senza allontanarsi dal vero, e per non ricevere delle mentite.

Abbiamo tutti una spezie di lente ottica nell’intelletto, che col suo riverbero ci presenta gli oggetti di questo mondo.

Se ho qualche particella di filosofia, inclino piú a Democrito che ad Eraclito a’ riverberi di questa lente.

Bench’io non abbia mai presi di mira particolarmente senonché gli oggetti che presero di mira me, e sempre con de’ sali moderati e non rodenti la reputazione, risi e feci ridere indistintamente con degli scherzi sulle infinite semine impresse nel mio cerebro dalla lente accennata. [p. 23 modifica]

Siccome l’impostura e la vera ipocrisia furono, tra gli altri oggetti, i maggiori bersagli de’ scherzi miei, posso avermi acquistati molti nimici.

Non mi sono scordata, nel mio perpetuo scherzare e ridere, quella sentenza d’un buon filosofo: «Co’ vostri scherzi e co’ vostri sali satirici eccitate le risa, ma non vi guadagnate de’ cuori».

Questi tali nimici sono ingiustissimi, com’è ingiusto colui che si determina ad odiare per de’ puri sospetti. Senza lusingarmi che si disarmino nel vedermi trovare argomenti di scherzare e di ridere sino sulle mie proprie disgrazie, non li curo; e do un compendio sincero della mia vita, appunto perché possano ridere a loro talento di me.