Memorie storiche della città e del territorio di Trento/Parte seconda/Capo XXII

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CAPO XXII.

Del vario stato della Città e del Principato
di Trento dall’undecimo fino al
presente secolo.

La invasione di Ezelino da Romano, e poi quella di Mastino dalla Scala, e le lunghe guerre, che il Vescovato di Trento sostenne contro Mainardo Conte del Tirolo dovettero rendere per lungo tempo infelice e misero lo stato de’ nostri antichi padri. Le occupazioni posteriori del Marchese di Brandemburgo e dei Serenissimi Arciduchi d’Austria abbiam già osservato, che danno alcuno non recarono a’ popoli, i quali naturalmente dovevano essere da loro governati colla stessa moderazione, con cui governavano gli altri loro sudditi tirolesi. Le occupazioni poi, che la Repubblica veneta fece della città e pretura di Riva, come pur quella che fece della città e pretura di Roveredo e d’una gran parte della Val Lagarina, non furono punto funeste a’ popoli di questa parte del Principato di Trento, nè peggiorò punto la lor condizione il dominio, che vi esercitò per lungo tempo quella Repubblica; perchè il [p. 220 modifica]principio politico o la massima del Senato veneto era quella di far amare generalmente a’ popoli, che gli erano soggetti, il suo governo e le sue leggi con renderli contenti e felici. Per ciò poi che riguarda il governo de’ Principi Vescovi (tranne quel che abbiam detto del Vescovo Giorgio di Liechtenstein) fu di tutti o quasi tutti moderato e saggio, nè mai eccessive furono le gravezze o le contribuzioni pubbliche. Tutte le comunità e giurisdizioni pagavano bensì al Principe Vescovo annualmente un tributo, che in alcuni luoghi chiamavasi Colta, ed in altri il Salario, ma questo tributo non era che tenue e leggiero, come tenui eran pure le gabelle ed i dazj, che esigevansi per l’entrata, uscita, e transito delle merci e derrate nelle diverse stazioni daziali del Principato.

Quanto allo stato d’ignoranza o di lumi, in cui ne’ diversi tempi trovossi il nostro paese, abbiam già altrove veduto, che dopo l’invasione de’ Longobardi e d’altri barbari le scienze, le arti, e l’urbanità, che avevan diffuso per tutto i Romani, erano interamente sbandite, e più non ne appariva alcuna traccia. In quei tempi mal augurati, dice il celebre Robertson, non solo erano ignoti nomi quelli di filosofia e di letteratura; ma tal era la generale ignoranza e rozzezza in Europa, che legger non sapevano nè scrivere nè pure le persone del più alto affare, e molti ecclesiastici non intendevano il Breviario, che [p. 221 modifica]dovevano ogni dì recitare. I tempi infelici, che trascorsero anche finito il regno de’ Longobardi, agitati sempre da guerre continue, e da intestine turbolenze e discordie, esser non potevano punto favorevoli ai progressi dello spirito umano. È impossibile, che gli uomini prendano a coltivare le scienze e le arti, e a ringentilire i loro costumi, quando non godano d’uno stato di tranquillità e di pace. Queste però dense tenebre, in cui è stata per sì lungo tempo avvolta l’Italia con tutta l'Europa, dileguaronsi in fine, e nel decimoterzo e decimoquarto secolo comparvero que’ primi raggi di luce, che ognor più aumentandosi ne’ seguenti secoli hanno finalmente condotto il giorno chiarissimo, di cui oggi godiamo. Quindi anche fra noi dopo il risorgimento delle lettere in Italia disparve gradatamente l’antica rozzezza ed ignoranza, ed anche fra noi si coltivarono ne’ secoli decimoquinto e decimosesto le scienze e le lettere. Lo studio della giurisprudenza romana, dacchè cominciò a fiorire in Italia, fiorì pure egualmente nel nostro paese, ed essendo questo il diritto comune, secondo il quale dovevasi in tutti i tribunali amministrar la giustizia, sorsero anche fra nostri, e si segnalarono dotti giureconsulti massime nel secolo decimosesto e seguenti. Fiorirono pure nello stesso secolo eccellenti dottori in medicina, quali furono i Dottori Guarinoni e Roveretti di Trento, il Dottor Passi di Pressano, che [p. 222 modifica]pubblicarono le opere loro colle stampe, e prima di loro Giulio Alessandrini di Neustain, che fu Professor pubblico in Padova, e poi Archiatro dell’Imperial Corte di Vienna, il quale fu pei libri, che diede alla luce, riguardato come uno de’ primarj medici del suo secolo. Fiorì pure nello stesso tempo nel nostro paese l’arte poetica, come attestano le celebri poesie latine del Conte Nicolò d’Arco, quelle italiane del Consiglier Busetti, e quelle di Nicolò Inama.

Abbiamo parlato più sopra dell’Accademia letteraria intitolata degli Accesi, che fiorì in Trento nel secolo decimosettimo, e che poi cessò, e restò spenta; ma nel seguente secolo decimottavo una nuova Accademia letteraria sorse in Roveredo col nome di Accademia degli Agiati, la quale fino dalla sua nascita ebbe tra’ suoi socj dei nomi famosi, quali furono quelli del celebre Bruchero, del Barone de Sperges, e del Presidente Baron de Martini, e di molt’altri ancora, e la quale fiorisce con gloria anche oggidì. Ma passiamo ora a vedere, quale fosse ne’ differenti tempi lo stato di povertà o di ricchezza del nostro paese.

L’Italia già al tempo delle Crociate incominciato aveva a coltivare il commercio terrestre e marittimo, e crebbe sempre più ne’ seguenti secoli in civiltà ed in ricchezze. Il suo traffico, le sue manifatture, le sue arti l’avevano portata al più alto grado di [p. 223 modifica]opulenza e di ricchezza, che se non era quello, di cui ella godeva nei più bei tempi di Roma, era però tale, a cui allora non era giunta peranco alcun’altra nazione d’Europa. L’opulenza si trasse dietro il lusso, che non le va mai disunito, e ne risultò quindi più urbanità nelle maniere, e più di gentilezza e civiltà ne’ costumi. Lo stesso avvenne anche del nostro paese, il quale, se ne’ precedenti tempi fu lungamente povero, e rozzo, cangiò aspetto ne’ susseguenti. Si coltivarono anche in esso sempre più le arti, il commercio, e principalmente l’agricoltura, ch’è la madre d’ogni prosperità: la popolazione si accrebbe, ed oltre alle città sorsero molti ragguardevoli borghi, e nobili terre ripiene d’abitatori. Sei sono le città, che appartengono all’antico Stato trentino, come sono anche oggidì della Diocesi, cioè Trento, Roveredo, Bolgiano, Arco, Riva, ed Ala; ma ben considerabili sono per più titoli le città di Bolgiano e di Roveredo. In tutte ita in bando l’antica barbarie e rozzezza i nostri maggiori ritornarono gradatamente a quella civiltà di vita e di costumi, ed a quegli agi e comodi d’una più colta società, di cui ora godiamo. In tutte si alzarono insigni e sontuose fabbriche, e in tutte v’hanno in proporzione di lor grandezza molte nobili e ricche famiglie, le quali si veggon pure nei varj borghi e nelle altre terre del Principato. Quanto alla città di Trento tra le molte esimie fabbriche [p. 224 modifica]spettanti alle più nobili famiglie, ed ai molti palagi antichi e nuovi si distingue sopra tutti il palazzo detto Gallasso, ch’era dei Signori di Castelcampo, ed ora appartiene ai Conti Thunn di Boemia; ma osservabile è ancora, che le famiglie nobili e cittadine hanno quasi tutte le loro case di campagna o di villeggiatura per la stagion della state o dell’autunno nelle varie terre e villaggi, che attorniano la città di qua e di là dall’Adige, ed alcune di queste grandiose pure e magnifiche; e tale è il loro numero, che se tutte fossero unite in un sol corpo, e non disperse in tanti diversi luoghi, formerebbero una seconda città non men bella e non meno ragguardevole della prima. Il popolo in generale è presso di noi come per tutto altrove condannato al travaglio, e dee procacciarsi il vitto co’ suoi sudori; perchè, se così non fosse, niuno vi sarebbe che coltivasse le terre, ed esercitasse le arti e i mestieri necessarj agli usi ed ai comodi dell’umana vita; ma anche ne’ villaggi e nelle campagne v’hanno presso di noi tra le famiglie de’ contadini alcune di quelle, che possedono proprietà e beni di dieci, di venti, ed altre pure di trenta, quaranta, sessanta, ottanta, ed anche più mille fiorini. Il commercio delle sete ci porta gran copia di danajo annualmente, e se il nostro paese non può annoverarsi tra i più opulenti e doviziosi d’Italia, non è nè pure da porsi nel numero dei più poveri e meno agiati.

[p. 225 modifica]Sono i buoni costumi il fondamento e base della felicità interna delle famiglie non meno che della felicità e prosperità pubblica, ed il fondamento de’ costumi è la religione. La religione ed i costumi massime dopo la metà del secolo decimoquinto, e più nel secolo decimosesto e ne’ seguenti fiorirono generalmente nel nostro paese per la vigilanza e lo zelo de’ nostri Vescovi Principi, i quali ebber cura di preporre per tutto al governo delle chiese pii e dotti parrochi, che si studiarono di promuovere sempre più il rispetto alla religione, e l’incremento del divin culto. Se sventuratamente non mancano ma in ogni società de’ malvagi, il nostro popolo fu, come è pure oggidì, generalmente, e nella massima parte di probi ed onesti costumi.

Noi passeremo ora ad esaminare, quale fosse la natura della costituzione politica di Trento, e dei diritti o doveri, che avevano i Principi Vescovi, sia esternamente rapporto al loro possente Avvocato il Serenissimo Conte del Tirolo, sia internamente rapporto a’ loro sudditi, ed ai magistrati e corpi pubblici dello Stato.