Memorie storiche della città e marchesato di Ceva/Capo IV - Origine del marchesato.

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Capo IV - Origine del marchesato.

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Capo III - Ceva moderna. Capo V - Aleramo in Ferrania.
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CAPO IV.


Origine del Marchesato.


Non si può parlare dell’origine del Marchesato di Ceva senza risalire al celebre Aleramo, sul di cui conto tanto si disputò, tanto si scrisse e tanto hassi ancor luogo a far ricerche. Sono non poco discordanti gli autori che vollero indagare l’origine di questo celebre personaggio, e sarebbe difficile nell’oscurità del Medio Evo, di trovar documenti atti a rischiarar questo tratto di storia patria.

L’abate Gasparo Sclavo di Lesegno infaticabile archeologo non la perdonò a profondi studii e lunghi viaggi, e gravi spese per far tesoro di notizie riguardanti quest’Eroe, i suoi antenati, i discendenti. Scrutinò i R. Archivii di Torino, mentre era professore nell’Accademia militare, quelli d’Asti, di Brera in Milano, di Albenga, della Provenza, e di molti altri delle più antiche e nobili famiglie del Piemonte, e lasciò preziosi manoscritti che in gran parte trovansi a mie mani.

Questo scrittore fu molto stimato dal Moriondo, dal Grassi, e dall’abate Gazzera, e da tanti altri scrittori di storia Patria, che lo citarono con lode nelle loro opere e diedero alle stampe, non pochi dei documenti da esso raccolti.

Fra gli altri suoi manoscritti, trovasi un albero genealogico sulla famiglia di Aleramo, che merita d’esser qui fedelmente riportato.

Lo stipite di questo nobile casato, secondo monsignor Brizio, è un certo Guidone che si rese celebre in Italia, combattendo [p. 26 modifica]contro i Saraceni, ai tempi del Pontefice Gregorio IV. Di questo Guidone fa menzione il Muratori nei suoi annali d’Italia all’anno 843, e lo fa marchese di Spoleto, a differenza del Brizio, che lo fa marchese d’Ivrea, dicendo:

«Italiae a Saracenorum colluvie vindicatae fama conspicuus, avitis ditionibus quas amplissimas in Insubria, et in Subalpinis possidebat, omnium primus Eporediae marchionatus adiecit insignia.»

Da questo Guidone che diremo primo, vennero Anscario e Guidone II. Nella convenzione stipulata da questo Guidone e Berengario, toccò a quest’ultimo Verona, a Guidone Pavia, e ad Anscario Ivrea.

Da Anscario nacque Guidone III, da questo Guglielmo I, che fu il genitore di Aleramo.

Qui è dove incominciano le leggende, le novelle, e le favole sulle strepitose vicende di questo gran personaggio. I suoi amori con Adelasia figliuola dell’imperatore Ottone, la loro fuga dalla corte imperiale, la loro vita nascosta e stentata, la loro scoperta e riconciliazione coll’Imperatore, formarono per molto tempo la delizia dei novellieri, dei trovatori, e delle popolari leggende di quei tempi.

Vi fu pur anche chi raccontò in modo prodigioso la nascita dello stesso Aleramo, dicendo che sua madre a cui si dà da alcuni Ildebrando principe tedesco per marito, e da altri Vitichindo re di Sassonia, essendo sterile fece voto di far il pellegrinaggio di S. Giacomo di Galizia, ed ottenne la grazia d’aver un figlio, ed adempì al fatto voto.

«Saxoniae dux cum prole careret una cum uxore sua divum Jacobum Apostolum sibi in praecipuum advocatum elegerunt, voveruntque eidem si filium aut filiam impetrare dignaretur, quod sanctas ipsius reliquias in Hispania visitarent» Jacop Philip. Bergom. 1.

[p. 27 modifica]Fra Giacomo d’Acqui raccontò che l’anno del Signore 934, essendo imperatore romano Ottone VI, un personaggio Alemanno, venne in Italia in compagnia di sua moglie incinta, e si avviarono verso Roma per visitar divotamente la città santa, volentes Romam ire devotionis causa.

Giunti a Sezadio di Lombardia, diocesi d’Acqui, dove si trovavano nobili personaggi padroni di quel paese ed anche di Spigno, la moglie di questo nobile teutone diede colà alla luce un figlio bellissimo (filium masculum pulcherrimum). Fu tenuto al battesimo dai signori di quel paese, e gli fu imposto il nome di Aleramo. Affidato ad una nutrice teutonica anch’essa, continuano i genitori il loro viaggio per Roma, vi cadono infermi, e vi lasciano la vita amendue. I signori di Sezadio, prendono cura dell’orfano bambino. Fatto grandicello lo istruiscono nelle armi.

Rivoltatasi Brescia al suo imperatore, allestisce costui un grand’esercito, chiede soccorso a quei di Sezadio, ed uno fra i suoi signori si prende per iscudiere Aleramo e va alla guerra. Appena il vide l’Imperatore restò preso dal suo nobile aspetto, dall’aria marziale, e dalla sua facondia, l’interrogò chi fosse. Rispose con franchezza Aleramo, di sangue son Teutonico, ma nato ed allevato in Lombardia. Entrò nella grazia dell’Imperatore Teutonico anch’esso, lo volle alla sua corte, lo fece suo soldato e suo coppiere. Et factus est Aleramus miles, et pincerna imperatoris Ottonis istius nominis VI Romanorum.

Si passa quindi a narrare gli amori di Aleramo con Adelasia figlia dell’Imperatore, loro fuga dalla corte imperiale, et cum duobus equis uno albo et alio rubeo fugientes, giungono alle Alpi dal Contado d’Albenga. Si ricoverano in una caverna detta Pietra Ardena sull’alto di una montagna. Il [p. 28 modifica]marito è costretto a fare il carbone, che porta a vendere al vescovo d’Albenga. Questo nascondiglio dei profughi amanti viene poeticamente descritto da Antonio Astesano, compreso dal Muratori fra gli scrittori delle cose d’Italia. (Lib. II, cap. X, Tom. XIV, col. 1032) 2.

Per comodo di chi non conosce molto il latino, si dà qui dei citati versi una semplice e letterale traduzione.

Avvi una parte dell’Apennino chiamata pietra Ardena, ardua selvaggia sassosa ed acconcia per le fiere; alta così che pare voglia toccar le nuvole. La vidi cogli occhi miei e posso attestarlo, alla radice di questo monte, gli alberi di castagna somministrano l’alimento a quei montanari. Vicino a questa giace al dì d’oggi il castello di Garessio di cui è signore la nobile casa Ceva della stirpe anch’essa d’Aleramo il forte (non vi era ancora Garessio in quel tempo). Verso la sommità della pietra Ardena v’è una caverna, ed in essa [p. 29 modifica]una specie di casa fatta nel sasso. Qui visse lungo tempo Aleramo colla sua cara consorte, come in luogo di sicurezza. Vi si mise a far carbone portandolo a vendere in Albenga a molte persone, ma specialmente al cuoco del Vescovo di questa Citta, con cui contrasse amicizia. Generarono così molti figliuoli pel corso di molti anni, e gli allevarono colà con gran timore, sempre paventando l’ira di Cesare nel caso che avesse avuto sentore che essi in quel luogo nascosti si tenevano.

Tornando a Fra Giacomo, continua la sua cronaca con dire che si riaccese guerra tra l’imperatore ed i Bresciani; che calato di nuovo Ottone in Italia chiese aiuto dai suoi alleati fra i quali si trovava il Vescovo di Albenga.

Il cuoco di questo Vescovo inteso con Aleramo risolse di andar anch’esso a combattere. Si fabbricò una bandiera, in cui erano dipinti istrumenti di cucina in campo bianco.

Ottone primogenito di Aleramo fu preso dal Vescovo per suo scudiere. Si distinse Aleramo e suoi compagni sotto le mura di Brescia, rinfrancò la fortuna vacillante dell’Imperatore, fece prodigi di valore e si attirò l’ammirazione dell’Imperatore medesimo e de’ suoi guerrieri. Volle Ottone saperne il nome. Il Vescovo d’Albenga sentite da Aleramo le strane vicende che lo allontanarono dalla corte imperiale tutto confidò all’Imperatore, e fatta venire da Garessio Adelasia, coi tre figli che si era colà ritenuti, fu presentata alla corte. Ottone pianse di consolazione, dimenticò il passato, si fecero grandi feste e colmò d’onori Aleramo, Adelasia ed i suoi quattro figli, per nome Ottone, Bonifacio, Guglielmo e Tete.

Lasciando ora Fra Giacomo d’Acqui, e la pietra Ardena, portiamoci in Ferrania, dove un elegante moderno scrittore fissò il nascondiglio dei fuggitivi Aleramo ed Adelasia, e la loro riconciliazione colà coll’Imperatore.


Note

  1. Autori citati da Benvenuto S. Giorgio che scrissero le vicende di Aleramo ed Adelasia: Frate Giacomo d’Acqui ― Frate Giacomo Filippo Bergomense ― Marco Antonio Sabellico ― Il Biondo ― Raffaello Volterrano e Giorgio Merula Alessandrino; ne scrissero anche Gasparo Bugati ed il poeta Antonio Astesano.
  2. Pars Apennini est, quae petra Ardena vocatur
         Ardua Silvestris, saxea et apta feris.
    Tamque alta, ut credas illam contingere nubes
         Quam vidi his oculis, testis et esse queo.
    In radice tamen montis nunc arbor abundat
         Castaneæ victum quæ dare sæpe solunt.
    Iuxta hanc Garessii jacet hoc in tempore castrum
         Cui domina ex Cevæ nobilis illa domus.
    Fortis Aledrami paritur de semine nata
         (Nondum Garessium tempus in illud erat).
    Est locus Ardenæ prope summa cacumina petræ
         Concaves, inque antro saxea facta domus.
    Hic, ut Aledramus chara cum conjuge tutus
         Ire queat, vitam ducit uterque diu.
    Carbonemque facit, venalem fert et ad urbem
         Albingam, multis vendit ibique viris.
    Præcipueque cocuo memoratæ praesulis urbis,
         Cui fuit Aledramus junctus amicitia.
    Sic multos natos, multos genuere per annos
         Illic cum magno quos aluere metu.
    Semper enim magni mutuebant Cæsaris iram
         Si sentiret eos hoc latitare loco