Memorie storiche della città e marchesato di Ceva/Capo XX - Vescovi del secolo XVII e XVIII.

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Capo XX - Vescovi del secolo XVII e XVIII.

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Capo XIX - Vescovi del XV e XVI secolo. Capo XXI - Cevesi illustri per pietà e per dottrina in materie ecclesiastiche.
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CAPO XX.


Vescovi del secolo XVII e XVIII.


1° Giuseppe figlio di Filiberto de’ Marchesi di Ceva, consignori di Garessio, fu eletto e preconizzato il 12 maggio 1614 Vescovo della Diocesi d’Ivrea. Tenne due Sinodi, l’uno nel 1618 e l’altro nel 1622 stampati unitamente a varii editti, Taurini apud Ubertinum Merulam typographum archiepiscopalem MDCXXII.

Ristorò il vescovile archivio abbruciato, abbellì il palazzo episcopale, e nella sala fece dipingere le immagini de’ suoi predecessori. Morì in ottobre del 1633, forse nel dì 18 o 19, poichè fu eletto il vicario generale capitolare il dì 21, [p. 102 modifica]come si ha dalla storia manoscritta d’Ivrea del P. Benvenuti. Fu sepolto nella cattedrale, dove hassi il suo busto in marmo, colla seguente epigrafe:


D.O.M.


Josepho ex Marchionibus Cevae

Civi Cuneensi

In ea provin. olim priori S. Benigni

Caroli Em. I. et Vict. Amed. Sab. Ducum magno eleemosinario

Ab anno MDCXIV. ad MDCXXXIII, Episcopo

Et comite

Genere moribus gestis clariss.

Lud. Ant. Vitalis Cevae pronepos

Ex march. Cevae et ex comit. Genoliae

Ut ne minus tanto Praesuli extra patriam deferret

Quam in avito Sacello Philiberto patri et Andreae fratri

Cunei adjectaeque Provinciae Gubernatoribus

Hoc paris observantiae suae monum.

ponebat.


I suddetti cenni li ha avuti il T.A. Bosio dalla squisita gentilezza dell’esimio ed erudito vescovo d’Ivrea mons. D. Luigi Moreno.


2° Francesco Adriano cardinale.

Nel teatro Pedemontano si legge che nel 1538, era governatore d’Ormea il marchese Garzillasco Ceva consignore di Monasterolo. Seguì il partito di Francesco I re di Francia contro gl’imperiali. Fatto padrone d’Ormea si dice che l’abbia fabbricata (si vorrà dire fortificata) a proprie spese; quantunque il Francesco Adriano si dica figlio di Garzillasco, non si può però supporre, che sia figlio di questo perchè vissero i medesimi in epoche troppo lontane, e non può essere che il cardinale creato nel 1643, possa essere figlio del Garzillasco governatore nel 1538. Sarà più probabile che [p. 103 modifica]da un suo figlio o nipote dello stesso nome sia nato Francesco Adriano che ebbe per madre Antonina Vegnaben delle signore di Clavesana.

Nel 1619 abitando in Ormea fu investito del Beneficio semplice di S. Catterina eretto dalla famiglia Damiano nella chiesa parrocchiale di quel luogo: dopo lui l’ebbe l’abate Lascaris. Fu segretaro del Card. Matteo Barberini: ebbe una pensione sull’arcipretura di Bene.

Nel 1632 Nunzio straordinario presso il re cristianissimo Luigi XIII, e richiamato a Roma il 20 ottobre del 1634, fu proposto alla sede patriarcale d’Antiochia, che ricusò: eletto prelato domestico e segretario dei negozii di stato e dei Principi da Urbano VIII. Nel 1631 era stato creato priore de’ Ss. Pietro ed Orso d’Aosta, ora Collegiata. Nel 1636 fu investito del feudo d’Ormea. Ebbe un canonicato in S. Giovanni in Laterano, fu segretario dei Memoriali, Maestro di camera del Papa e Notaio apostolico. Nel 1643, poi ai 3 luglio fu creato cardinale prete di s. Prisca.

Vivendo parchissimamente sino ad estrema vecchiaia lasciò un ingente patrimonio. Morì ai 12 ottobre del 1655, fu sepolto in s. Giovanni di Laterano e nella cappella di S. Andrea con statua e colle due iscrizioni seguenti:


I.


Francisco Adriano e Caesarea Cevae Marchionum progenie, quem Roma primo Urb. VIII, pont. max. intimum cubicularium a supplicibus libellis, et cubiculi deinde praefectum, Lutetiae postmodum ad Ludov. XIII Galliarum regem pacis christianos inter principes restaurandae nuntium extraordinarium laetanter excepit prael. insuper domest. ac status apud eundem pont. et principum a secretis, demum S. R. E. cardinalem Cevam, summo omnium plausu renunciatum Roma eadem suspexit. Huius sacrosanctae Lateran. Basilicae olim [p. 104 modifica]canonico et multis de eadem nominibus oplime merito capitulum, et canon. adhuc viventi aeternum amoris gratique animi monumentum PP. anno Jubilaei MDCL.


II.


D.O.M.

Hadriano Cevae S. R. E. princ. card. e Caesarea Alderamni Montisferr. march. prosapia oriundo, quod peringentes et diuturnos labores, egregia suorum imitatus exempla maiorum Thetii, Bonifacii, Anselmi, Nani, Gargilasci, in aula tum Romana tum gallica summ. princip. Urbani VIII. pont. max. et cristianissimi galliarum regis Ludov. XIII, in administrato rei ecclesiasticae munere gratiam et laudem sibi comparavit sacraque purpura cum omnium plausu decoratus posteritati suae illustri cum fama praefulserit uberumque exemplorum materiae ipsi reliquerit ad quorum imitationem similia pontificiae beneficentiae ornamenta sibi promereatur. Aeternae memoriae dignissimo patruo totius Cevae familiae nomine Franc. Hadrianus utriusque signaturae referendarius gratissimus nepos et haeres in perpetui argumentum amoris, monumentum hoc ex testamento ponendum praescripsit.

Monsignor Paolo Brizio nel suo Sinodo quarto istorico del 1658, fa due volte onorevole menzione di questo cardinale, la prima nell’articolo intitolato congregatio Cevae dove dice: «Haec (civitas): Marchionum faecundissima parens, pietate in Deum, fide in principem, commendabilis, cognominem habet Franciscum Adrianum Vaticani firmamenti sidus, eundem aliquando ut solem veneratura

La seconda parlando della congregazione di Ormea, così si esprime:

«Ex hoc Ulmeto firmissima Ulmus prodiit Tiriis Vaticani cedris adscripta Franciscus Adrianus, dignus cui vitis in molis Adrianae solo consita aliquando maritetur[p. 105 modifica]Credo poi prezzo dell’opera il portare qui l’iscrizione posta nella cappella suddetta al nipote citato dissopra, il Referendario Francesco Adriano, tanto più che parla di diverse persone di quell’illustre famiglia.

D. O. M.

Franciscus Hadrianus ex marchionibus Cevae utriusque signaturae SS. D. Papae Referendarius et Contradictarum auditor etc. Cum et vetustissimae suae familiae illibato candori perpetuum duraturo consuleret totum ingentem assem haereditarium in masculum e familia Marchionum Cevae ex Pedemontio a Celsitudine Caroli Emanuelis II. Ducis Sabaudiae nominandum ex testamento trasferendum reliquerit suae pietatis erga Deiparam Virginem et grati sui animi Eminentissimum Patruum ostensurus monumentum octoginta scuta pro sacro quotidiano aliaque viginti annuatim excipienda e multiplico secundae geniturae pro maiorum defunctorum anniversario perpetuo et in huius ornatum Sacelli Sanctae Virgini in fonte dicati quatuor millia scuta semel danda legavit. Comes Octavius ex iisdem Marchionibus Cevae Nucetti et Battifolli anno MDCLXXII a praedicto Carolo Em. Pedemontii Principe invictissimo in concursu omnium de eadem sua familia ad munus haereditatis capessendum nominatus ut mentem piissimi testatoris impleret: huius vestigia sequtus Hortentius Monasterioli Marchio Sacri Ordinis mililaris Ss. Mauritii et Lazzari magnae crucis Eques et in urbe receptor ac Visitator Germanus frater et haeres immatura morte praeventus. Prudentia Butii Marchionissa Cevae Aledramni Cajetani et Francisci Adriani filiorum tutrix opus inchoalum absolvit anno Domini CIƆIƆCLXXXIX.

Vedi Ciacconius, Vitae et res gestae Pontif. et Cardin. etc. Romae 1677, Tom. 4, col. 630, Storia di Mondovì; estratto fatto dal P. Clemente Doglio M. O. dal manoscritto di Mons. Carlo Morozzo vescovo di Saluzzo, posseduto dal T. A. Bosio a p. 248, e le Inscriptiones Pedemontanae infimi Aevi Romae [p. 106 modifica]extantes opera D. Petri Galletti Rom. O. S. Bened. Congr. Casin. Romae MDCCLXVI.


3° Carlo Francesco Ceva.

Di quest’illustre Prelato si trovano importanti notizie negli atti della chiesa Tortonese, statimi gentilmente communicati li 18 giugno 1857, dall’esimio signor avvocato Carnevale presidente onorario del tribunale di Tortona, ed eruditissimo cultore di storia patria, a richiesta del nostro dotto Cevese Giovanni Gatti, colà segretario della tipografia Rossi: Eccone le precise parole:

«Il vescovo Carlo Francesco Ceva, nacque nel 1635, ed era d’ingegno acuto, di bella presenza e magnanimo. Vestì egli giovinetto l’abito chiericale, fece i suoi studi in Roma, ove con lode conseguì il serto dottorale nel dritto Civile e Canonico, e quindi in Teologia, che insegnò poi per alcuni anni nella romana Sapienza.

Fu vicario generale di due arcivescovi milanesi, ed alla morte di monsignor Settala, occorsa in Roma nel 1682, Innocenzo XI, nell’anno susseguente il destinava a succedergli nell’Episcopato di Tortona.

Incominciò egli il suo Episcopato con molte riforme che diedero alto concetto del suo amore all’ordine.

Pubblicò diverse pastorali contro gli scritti dello Spagnuolo Molines, che aveva concepito una dottrina di quietismo stata condannata dalla Chiesa.

Abbiamo di questo Vescovo molti panegirici dati alla stampa in Roma ed in Milano.

Impiegò una gran parte delle sue entrate nell’adornare il vetusto Episcopio, e l’antica cattedrale, come pure a far dipingere da valenti artisti le chiese di S. Maria di Fervesano, di S. Eusebio e di S. Epifania.

Universalmente compianto veniva a morte alli 29 luglio del 1700, a cui gli successe poi il Milanese Giulio Resta.»

Quantunque questo Vescovo voglia da taluno qualificarsi [p. 107 modifica]Milanese, risulta però da autentici documenti che appartiene alla nobile famiglia Ceva, e deve perciò figurare nel numero dei vescovi Cevesi, come sempre ve lo fecero figurare gli scrittori di memorie Cebane.


4° Giuseppe Tommaso Derossi.

Nacque Giuseppe Tommaso Derossi, nella città di Ceva li 25 maggio 1708, dai nobili coniugi cavaliere Carlo e Maria Lucchinetto 1, fece in Torino il corso dei suoi studii e terminata filosofia per provar la sua vocazione allo stato ecclesiastico, intraprese il corso di teologia ancora laico, e come di lui si disse dal vicario generale Chenna Alessandrino: «diede il nuovo e forse unico esempio d’un nobile Cavaliere di secolari panni vestito e cinto di spada, misto [p. 108 modifica]e confuso fra chierici, lezioni ricevere di sacra facoltà. » Conseguita la laurea dottorale, fu promosso agli ordini sacri e chiamato da monsignor Ignazio della Chiesa di Roddi vescovo di Casale a suo vicario generale, sostenne con decoro a bene della diocesi questa luminosa carica pel corso di 10 anni. Fu in intima relazione col conte Riccardi Spirito, guardasigilli di S. M., col conte Costanzo Celebrini, presidente del Senato di Torino, col cardinale Alberto Guidoboni Cavalchini, con monsignor Francesco Felice Amadei, uditore in Roma della S. Ruota, e col padre Lorenzo Ganganelli, minor conventuale di S. Francesco che insegnò teologia in Milano, e che esaltato al sommo pontificato sotto il nome di Clemente XIV, continuava a chiamar suo amico monsignor Derossi.

Per parte del sullodato cardinale Cavalchini gli fu offerto il vescovado di Novara che rifiutò, dovette però cedere alle instanze del re Carlo Emmanuele III, ed accettare nel 1757 il vescovado d’Alessandria.

Governò con somma prudenza e zelo infaticabile quella cospicua diocesi per lo spazio di circa 30 anni essendo morto li 21 maggio del 1786, e molte opere insigni ricordano tuttora la di lui generosità.

Ristorò ed arricchì di sacri arredi la chiesa collegiale di S. Perpetuo di Solero, le chiese parrocchiali di Lobbi, di Cassina grossa, della Valle delle grazie, della Spinetta, di Casal Cermelli, di Carentino, e della Valle di S. Bartolomeo, per le quali impiegò del proprio ingenti somme.

Eresse la nuova collegiata dedicata a Maria santissima ed impiegò del proprio lire diecimila nella fabbrica e dipintura di quella Chiesa.

Ampliò il Seminario, v’istituì l’opera pia degli esercizi spirituali pei quali fece un fondo di ll. 4400.

Nel 1773 in seguito della soppressione dei Gesuiti ottenne dal re Vittorio Amedeo III, che la copiosa libreria di cui erano al possesso in Alessandria fosse unita a quella del Seminario, ed affinchè l’una e l’altra fossero fatte di [p. 109 modifica]pubblica ragione, loro fece dono di ll. cinquemila pel trattenimento d’un bibliotecario.

Per mancanza di fondi erasi sospeso in quella città la fabbrica del Collegio delle vergini di S. Orsola, monsignor Derossi la fece portare a compimento mediante lo sborso di ll. seimila.

Eresse prebende teologali nelle insigni Collegiate di S. Maria della neve, S. Maria della corte in Alessandria, di S. Dalmazio in Quargnento, e di S. Perpetuo in Solero.

Fece un sinodo ricco di saggie e prudenti leggi pel buon andamento della disciplina ecclesiastica, che gode tuttora credito e stima presso il clero Alessandrino.

Questo illustre prelato cessò di vivere, come si disse, nel mese di maggio del 1786, lasciando un nome ed una fama in Alessandria, pari a quella che lasciò in Mondovì monsignor Casati suo contemporaneo nell’episcopato essendo stato questi eletto nel 1754, e resosi defunto nel 1782. Si dice che monsignor Derossi sia morto leggendo la lettera pontificia, in cui veniva nominato Cardinale di S. Chiesa.

Nei suoi solenni funerali, il già citato D. Giuseppe Antonio Chenna Primicerio della cattedrale, già suo Vicario generale lesse alla presenza di monsignor Pejretti Vescovo di Tortona, una dotta e commoventissima orazione funebre stampata nello stesso anno 1786, da cui si ricavarono in gran parte le memorie di cui si compone questa biografia.

In prova della venerazione che tuttor si professa in Alessandria alla memoria di questo gran vescovo, citeremo un brano della pastorale diramata alla sua Diocesi da monsignor Pasio, testè defunto, alli 3 agosto 1840 del tenore seguente:

« Per non ripetere a tutti i nomi notissimi dei Mugiasca di Gattinara, e lasciati sotto silenzio i recenti che sono ancora innanzi agli occhi e nel cuore di tutti, io accennerò al solo Giuseppe Tommaso Derossi, il quale siccome nella lunga sua amministrazione di questa Diocesi niuna [p. 110 modifica]parte mai pretermise, che all’episcopale ministero appartenesse; così pure una ebdomadaria istruzione istituì ai poveri e mendici espressamente destinata.

Essendo a lui in questa cattedra succeduti, noi abbiamo fissato in quel grande esemplare i nostri sguardi, e poichè egli di quattro oggetti siasi precipuamente adoperato, il seminario, la ristaurazione delle chiese, lo stabilimento delle vergini Orsoline, e l’istruzione dei poveri, a questi abbiamo noi pure le nostre cure rivolte ecc. »

Il signor Carlo Novellis nelle sue notizie storiche sulla civica biblioteca di Alessandria, così si esprime:

« Monsignore Giuseppe Derossi vescovo di Alessandria, uomo superiore ad ogni encomio, fu il primo a cui, già tempo, nacque il pensiero d’instituire nella città che spiritualmente reggeva una pubblica biblioteca. Con tale scopo allorquando nel 1773 veniva abolito il Collegio di S. Ignazio ecc. »

Merita particolare menzione il suo testamento, monumento non perituro del cuor benefico e sommamente religioso di così illustre mitrato.

Questo testamento fu presentato sigillato al notaio Villavecchia li 6 luglio 1779, ed aperto la sera a notte delli 21 maggio 1786 poche ore dopo il decesso. Esordisce come segue; « Chi legge tuttodì le divine scritture incontra ad ogni tratto salutevoli avvisi della certezza della morte, cui ogni uomo per legge inviolabile dee soggiacere, e della fragilità della vita, sottoposta a tanti pericoli, per cui si rende incerta affatto l’ora, nella quale dovrà terminarsi la mortale carriera di ciascheduno. Tanto a me infrascritto addiviene al pari d’ogni altro; per lo che facendo io soventi sopra tali incontrastabili verità seria considerazione... e non essendo conveniente di differire agli estremi del viver mio le ultime disposizioni, mentre deve allora un uomo cristiano, e tanto più un ministro di Dio, essere sciolto da ogni pensiero di cose terrene per attendere di [p. 111 modifica]proposito a quelle dell’anima, ed a prepararsi al gran passaggio che si deve fare dal tempo all’eternità, perciò io sottoscritto Giuseppe Tommaso Derossi, figlio del fu signor cavaliere D. Carlo dei marchesi di Ceva, Vescovo di Alessandria sano la Dio mercè di mente ecc. »

Previe le sue proteste di voler morire nella fede Cattolica Apostolica e Romana divide il prelato i suoi averi, in beni che possiede a Ceva di retaggio paterno, ed in Alessandria di proprietà sua come vescovo.

Gli averi di Ceva li lega all’Orfanotrofio di questa città come si dirà parlando delle opere pie; quelli d’Alessandria vengono impiegati in tanti legati pii, ed opere di beneficenza.

Legò alla sacristia della Cattedrale d’Alessandria le argenterie e sacri arredi del Pontificale.

All’Ospizio di carità di S. Giuseppe della stessa città lire mille; altre lire mille all’Orfanotrofio di S. Maria, ed altre lire mille a quell’Ospedale degli infermi; la libreria al Seminario e la sua croce preziosa vescovile vuole che sia appesa al collo della statua della B. Vergine della Salve nella sua cattedrale. Lega alla Collegiata di S. Maria della neve per formare una massa di distribuzione lire diciassettemila. Finalmente incarica i suoi esecutori testamentarii di liquidare la sua eredità, e di convertire il residuo nella erezione d’un’opera destinata all’istruzione dei poverelli, fissandosi in una Chiesa d’Alessandria un catechismo settimanale colla limosina d’un soldo per caduno a tutti i poveri che v’interverranno. Lascia erede l’anima sua. Monsignor Derossi usava per arma lo stemma dei marchesi di Ceva a cui apparteneva per via di donne.

Il Chenna suddetto gli dedicò la sua opera: Del Vescovato, de’ Vescovi e delle Chiese della Città e Diocesi di Alessandria libri quattro. Alessandria MDCCLXXXV. Tipografia d’Ignazio Vimercati, in 4°. Gli fu anche dedicato il libro: La Divozione verso Gesù Cristo. Torino MDCCLXVII, in 12. Il [p. 112 modifica]canonico Gio. Sereno recitò anche l’orazione funebre nella Collegiata dei Ss. Pietro e Dalmazzo di Alessandria, della quale era monsignor Derossi Abbate, fatta e stampata nel 1787. (A. B.)


5. Giovanni Ignazio Gautieri dotto teologo, e canonico di Mondovì, fu ivi consecrato Vescovo d’Iglesias in Sardegna ai 4 ottobre 1772. Morì ai 19 di novembre 1775, essendo nato alli 11 marzo 1726.


6. Monsignor Bertieri.

Chiuderemo questo elenco di vescovi con un nome che merita anch’esso d’essere tramandato alla posterità, e che grandemente onora la città di Ceva, da cui trasse i suoi natali.

Dir vogliamo di monsignor Bertieri Vescovo di Pavia.

Giuseppe Francesco Antonio Bertieri nacque in Ceva addì 9 novembre 1734 dal medico Ludovico, e Bianca Maria Bocca giugali Bertieri, e fu tenuto al sacro fonte dal signor Pietro Francesco Bocca, e dalla signora marchesa Eleonora Ceva.

Abbracciò ancor giovinetto lo stato monastico, e fu educato nel convento degli Agostiniani di Ceva. Fece negli studii rapidi progressi, e non tardò ad acquistare fama di profondo teologo.

Fu spedito ad insegnare teologia a Pisa, quindi a Parma dove ebbe per collega il Benedittino padre Barnaba Chiaramonti che fu poi Pio VII Sommo Pontefice.

Da Parma fu chiamato ad insegnare teologia dogmatica nell’Università di Vienna dall’Imperatrice Maria Teresa a cui fu molto caro, come lo fu al di lei figlio Giuseppe II che d’accordo colla madre lo nominò consigliere imperiale. La vastità di sua dottrina, dice il professore Casalis, e soprattutto i suoi prudentissimi consigli, poterono impedire uno scisma che ai suoi dì era per nascere nella Boemia.

Nel 1790 fu nominato Vescovo di Como, e due anni dopo, cioè li 11 maggio 1792 fu traslato al vescovado di Pavia, coll’annesso titolo di Arcivescovo di Amasia in partibus.

[p. 113 modifica]Fece anch’esso parte della consulta convocata in Lione dal primo console Napoleone Bonaparte nel mese di gennaio del 1802, composta di 452 cisalpini, i quali dovevano stabilire d’accordo le basi di una costituzione a foggia di repubblica che appellata si sarebbe cisalpina.

Questa consulta era composta di vescovi, di curati, di deputati dei tribunali, delle accademie, delle università degli studii, della guardia nazionale, dei reggimenti della truppa soldata, dei notabili dei dipartimenti e delle Camere di commercio.

Figuravano in questo gran congresso in un con monsignor Bertieri, l’arcivescovo di Milano, l’arcivescovo di Ravenna, il vescovo di Cesena, il vescovo di Bergamo ecc. ecc.

Da quest’epoca in poi volsero tristi i tempi, e questo dotto prelato dopo due anni colto da violenta malattia, cessò di vivere alle ore undici e mezzo di mattina del 15 luglio 1804 in età d’anni 70. Li 23 stesso mese se gli fecero le solenni esequie, e le sue ceneri riposano nell’oscurolo della sua cattedrale di Pavia.

Lasciò dei trattati di teologia molto pregiati dagli intelligenti, fra i quali si distingue quello De Sacramentis in genere, baptismo et confirmatione ad usum suorum auditorum, un volume in 8° di 800 e più pagine, stampato in Vienna nel 1774.

Allorchè monsignor Bertieri prese possesso della sede vescovile di Pavia, il signor Vincenzo Malacarne di Saluzzo, professore d’istituzioni chirurgiche nell’Università di Padova stampò un opuscolo intitolato: Elogium Cebae, scritto in istile assai elevato, dove fa una concisa descrizione di Ceva, degli uomini che l’illustrarono e parlando di questo insigne prelato, cosi si esprime: « Josephus Ludovici F. Bertierius Cebanus ord. ff. eremitanor. D. Augustini iam Novocomensium episcopus ab Iosepho II imp. modo Ticinensium pastor, et Amasien. archiepiscopi ab Leopoldo II designatus ab Pio VI pont. max. Francisco Hungar. et Bohemiae rege annuente dictus, ad apicem ecclesiasticae dignitatis religione duce comite virtute et doctrina etc. »

[p. 114 modifica]Mons. Bertieri innalzava per arma gentilizia uno scudo copato superiormente d’oro a tre berte passanti di nero: sotto di nero ad un leone rampante d’oro.

Note

  1. La famiglia Derossi aveva titoli di nobiltà sul marchesato di Ceva come si rileva da una pergamena che si conserva in questo archivio parrocchiale riguardante il cav. Carlo padre di monsignor Derossi di cui si parla, e del tenore seguente:

    VITTORIO AMEDEO II.
    per grazia di Dio Duca di Savoia, Principe di Piemonte,
    Signore del Marchesato di Ceva, Re di Cipro ecc. ecc.


    Ad ognuno sia manifesto siccome hoggi avanti di Noi è comparso e personalmente costituito il ben diletto Giovanni Antonio Ferrari ecc. in qualità di procuratore e al nome del vassallo nostro carissimo il cav. della Sacra Religione e Milizia de’ Ss. Maurizio e Lazzaro D. Carlo Derossi figliuolo del fu anco cav. dell’istessa religione cons. Referendario (vivendo) nella città e provincia nostra di Ceva D. Francesco Derossi,... il quale ci ha umilmente supplicati, che per la morte di detto Referendario D. Francesco Derossi d’investire l’istesso suo figliuolo D. Carlo in persona sua di punti due della giurisdizione del capitaneato di Ceva del quartiere di S. Michele con suo territorio, finaggio e pertinenze feudali, col mero e misto impero omnimoda giurisdizione, possanza del castello, dignità marchionale prima e seconda, cognizione di tutte le cause civili e criminali, huomaggio, fedeltà, acque, acquaggi, di corsi d’acqua, ripe, ripaggi, pescaggioni, censi, redditi, dritti, emolumenti, e con tutte le preminenze, prerogative, dipendenze, beni e ragioni feudali, spettanti alli detti due punti: insieme d’investirlo di stara due di levata di Molino e Battandero, e di emine tre di levata di Lezza, con stara due di pedaggio della medesima città, quali due punti ecc. Quest’investitura porta la data delli 19 gennaio 170O, e si pagarono per essa due scuti d’oro a L. 7,5.