Minuto colla leggenda IANVA • Q • D • P •

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Giuseppe Ruggero

1888 Indice:Rivista italiana di numismatica 1888.djvu Rivista italiana di numismatica 1888/Annotazioni numismatiche genovesi

Annotazioni numismatiche genovesi

Minuto colla leggenda IANVA • Q • D • P • Intestazione 30 dicembre 2012 75% Numismatica

Questo testo fa parte della rivista Rivista italiana di numismatica 1888
Questo testo fa parte della serie Annotazioni numismatiche genovesi

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ANNOTAZIONI NUMISMATICHE GENOVESI




XI.

MINUTO COLLA LEGGENDA IANVA • Q • D • P •


Fig. 1.


Non pareva fino ad oggi, che la serie dei minuti colla croce che prolunga le sue braccia all’orlo della moneta tagliando la leggenda, potesse risalire oltre il tempo di Carlo VI, al quale spettano i primi che si conoscevano, cioè quelli del Governatore Antoniotto Adorno, 1396-971. E tanto meno si era disposti a supporne di anteriori ai Dogi, per l’abbondanza straordinaria degli antichi denari al tipo ianva col castello e la croce in un cerchio di perline, di pesi e titoli sempre decrescenti: tipo usato ancora dal primo Doge, col solo cambiamento della leggenda in dvx ianve al dritto2. Ma l’acquisto da me fatto in questi ultimi tempi di una pregievole monetina, ci pone nella condizione di doverci ricredere di tale opinione. È un minuto di bella conservazione al solito tipo.

[p. 456 modifica] Peso gr. 0,65.

D/ — IANVA : Q : D : P : . . . .
Castello che taglia il cerchio di perline inferiormente.

R/ — CO NR AD VS.
Croce che divide la leggenda in 4 parti.

(Vedi Fig. N. 1).

Sul dritto, dopo i due ultimi puntini resta lo spazio per 2 lettere che forse erano di zecchieri ma che non rimasero impresse. Il tipo è precisamente quello dei tempi di Carlo VI, colla leggenda che comincia da sinistra.

Tanto credo bastare, per stabilire che questa forma di minuti abbia cominciato da tempo anteriore al Dogato, e poiché la leggenda non lascia in proposito alcun dubbio, assegneremo questa moneta alla serie delle altre con eguale leggenda, cioè il genovino d’oro il grosso ed il grossetto.

Secondo le diverse pubblicazioni del chiar. Desimoni e specialmente l’ultima dotta sua dissertazione sulle prime monete d’argento Genovesi3, sembra oramai accertato che questa leggenda siasi introdotta sulle monete, qualche tempo prima della fine del secolo XIII. Egli prova con un documento del 1288, la esistenza in quell’anno di un grosso genovese del valore del soldo effettivo, al peso di gr. 2,923, alla bontà di 958, e quindi al fine di gr. 2.801: grosso che non può essere che questo colla nuova leggenda, come l’unico che corrisponda a quella legge, poiché quello del 1252 col civitas oltre all’essere inferiore, non può aver avuto che una effimera durata. La nuova leggenda deve quindi aver continuato per più di 51 anni cioè sino al primo doge, il quale l’ha usata pure per qualche tempo, modificandola in dvx ianve q . d . p .

[p. 457 modifica] Il genovino d’oro corrispondente, conservando sempre lo stesso tipo, non presenta che le varianti di lettere o segni di zecca, più alcuni simboli allusivi alla preponderanza dei partiti, come il leoncino per il governo del re Roberto, 1318-1333, e l’aquiletta per il seguente governo ghibellino. Il grosso invece ha due varianti ben distinte: la prima, edita dal Promis al N. 4 Tav. I4, è quella che porta 8 trifogli agli angoli di 8 segmenti di circolo, adoperata pure nei grossi dei dogi I, IV, V, VII, VIII, X, di Antoniotto Adorno governatore, e del Doge XIX; l’altra è quella del Gandolfi5 che ha soli 6 segmenti e senza trifogli, usata poi dal Doge XVII, da F. M. Visconti, dal Doge XXI, e con qualche variante dal Doge III. Quale sia stata tra queste due forme del grosso coll’ianva q . d . p . quella che ha preceduto l’altra, non è facile determinare. Tutt’al più, si potrebbe avvicinare per analogia quella dei trifogli ai grossi del primo Doge, avendo comuni con questi, i trifogli ed il conradvs rex, mentre quella senza trifogli, aggiunge il romanorvm come nei genovini con questa leggenda ed in quelli Dogali.

Altra moneta di questa serie che si conosce nei medaglieri è il grossetto da mezzo soldo, edito dal Promis al Num. 5 Tav. I. Ha il tipo del grosso senza trifogli, e l’Autore ne dà il peso in 1,65, giudicandone la bontà ad 800, ciò che farebbe un fine di gr. 1,32 che viene ad approssimarsi all’epoca del grosso. Lo scrivente ne ha un esemplare di egual peso, ma di titolo che sul paragone non supera i 600, con un fine perciò di 0,99 che corrisponderebbe circa alla lira genovese del 1335, e da assegnarsi per questo ad epoca [p. 458 modifica]molto vicina al Dogato. Quello invece del 1288, se pur fu coniato, doveva aver di fine circa 1,4006.

Mentre il grossetto peggiorava continuamente di taglio e titolo per mantenersi al valore di 6 denari e lo stesso doveva avvenire per il ducato, il grosso non variava, a quanto pare sensibilmente nella legge ma ne aumentava necessariamente il valore. Il Desimoni ne ha potuto stabilire con documenti due valutazioni, nel 1288 e nel 1363, rispettivamente in soldi uno e soldi due. Tra questi estremi mancando i documenti diretti, vi supplì con altre fonti, trovando valori intermedi nel 1305-6, 1327 e 1335, a s. 1. 2, 1. 3, 1. 4: e fissò in s. 1. e d. 8 il valore del grosso all’epoca del primo Doge, data la legge invariata, ciò che corrisponderebbe ad una lira di gr. 33.70 di fine.

Passiamo ora ai minuti, i quali alla creazione del nuovo grosso, dovevano avere gr. 0,233 di fine: sotto il primo Doge, non poteano aver più di 0.14. Il nostro minuto toccato al paragone nell’Uffizio del Saggio Governativo, ci diede una bontà che non può passarci 150 millesimi, per cui sul peso di 0,65, viene al fine di 0,0975, e la lira corrispondente, fatti i debiti aumenti, potrebbe avvicinarsi anche a 25 gr. e ci troveremmo sbalzati al principio del Sec. XV. Ma poiché la leggenda ci costringe a tenerci al di là del 1339, dobbiamo supporre che questo minuto sia stato coniato in data immediatamente vicina a quell’anno, e corrisponda perciò ai valori correnti alla istituzione del Dogato. Supposizione che pare accettabile, ripugnandoci di assegnare a questi minuti nuovi una origine contemporanea al grosso del 1288, mentre si [p. 459 modifica]hanno denari d’antico tipo ma scaduti di peso e titolo al punto, da rappresentare un valore tale da combinare col grosso di quell’anno, ed altri con valori che li avvicinano maggiormente al Dogato.

Rimane tuttavia la differenza troppo forte nel fino del minuto nostro, che non ci lascia troppo tranquilli sulla nostra ipotesi. In ragione della lira del 1339, fatte le debite diminuzioni, il minuto dovrebbe venire a circa 0,13 di fino, mentre si limita nel nostro a soli 0,0975, dunque la deficienza deve stare nel peso.

Sappiamo per pratica che i pesi effettivi di simili monetine son sempre molto differenti tra i vari esemplari, non corrispondono mai al peso legale, e talvolta ne differiscono di quantità maggiori di quella che possa spiegarsi colla perdita nella circolazione. Si deve credere che non sempre si controllassero in Zecca i pesi d’ogni singola monetina, limitandosi a verificare il taglio per l’unità di peso portato dall’ordine di battitura. In conseguenza il nostro minuto, quantunque di tale conservazione da ritenere ancora l’imbiancatura esterna originale, può benissimo esser inferiore di molto al peso legale. Ritenendo questo fatto, e tenuto calcolo della diminuzione di valore per le monete basse, le quali dovevano sopportare la massima parte delle spese e delle perdite, non credo di allontanarmi troppo dal verosimile, fissando a circa 0,90 il peso minimo che competerebbe al presente denarino, il quale verrebbe allora a 0,135 di fino. Questo farebbe pensare che i primi denarini di tipo nuovo, coniati forse qualche anno prima, potessero avere il peso legale di 1,099, rappresentando, salvo il titolo, una vera restituzione in peso del denaro antico.

La stessa mancanza nel peso delle monetine di bassa lega si verifica e meglio nelle frazioni minori quali sono i quartari. Il titolo di questi quartari, foni [p. 460 modifica]clapucini coniati nel 1328, risulta corrispondente a m. 21 in una dichiarazione degli Uffiziali di Zecca nel luglio dello stesso anno7, nella quale però non si accenna al peso. La lira del 1328 avendo di fine 43,18, teoricamente ne deriva un peso per i griffoni di quell’epoca di circa gr. 2,10: orbene, il peso di un griffone eccezionalmente ben conservato non supera i gr. 1,01 al massimo, mentre se no hanno molti ben conservati di 0,84 e qualcuno di 0,70.

Altra e ben maggiore difficoltà ci troviamo di fronte, in seguito alla scoperta di questo minuto. Poco tempo dopo di questa rinnovazione nel tipo del denaro, che è probabilmente una restituzione in peso dell’antico, il Boccanegra fa ritorno al tipo vecchio col denarino del quale si è dato il disegno alla annotazione m, N. 3 della Tavola. Toccato al saggio, dimostra una bontà di 225: è di ottima conservazione e pesa gr. 0,52; ha dunque un fino di 0,117, che si avvicina di molto al valore ragguagliato alla lira dell’epoca.

Constato il fatto, ma non mi trovo in grado di dame una spiegazione soddisfacente. Che si coniassero contemporaneamente i due tipi non è ammissibile, perchè volendo conservare l’antico, cessava il bisogno di crearne un nuovo. Che il nuovo non avesse allora che un valore inferiore al danaro per aumentarlo poi sotto i Dogi, sebbene possa sembrar probabile per il basso titolo, ci ripugna il crederlo: infatti le monete basse, come il soldino, sesino, denaro e quartaro, conservavano sempre un valore costante, al contrario di ciò che avveniva per quelle d’oro e d’argento fino.

Preferisco di ammettere, fino a prova in contrario, che [p. 461 modifica]il ritorno all’antico sia stata necessaria conseguenza del poco favore dimostrato dal pubblico al nuovo minuto. Intanto speriamo in altre scoperte, perchè da quest’epoca fino al 1396 non conosciamo per ora alcun denarino, nè del primo nè del secondo tipo.



Note

  1. Vedi Annot. X, Gazzetta Numismatica, Como 1885.
  2. Vedi Annot. III. Pag. 19, e N. 8 della tavola. Palermo 1881.
  3. Atti della Società Ligure di Storia patria. Vol. XIX. Fasc. II.
  4. Dell’origine della zecca di Genova ecc. Torino 1871.
  5. Della moneta antica di Genova, Genova 1841. N. 7 e 8 della tav. I.
  6. Senz’altre citazioni, per tutto ciò ohe è valutazione, mi attengo agli scritti del Desimoni.
  7. Desimoni. Sui quarti di denaro genovese, etc. nel Periodico del M.se Strozzi. Anno VI. Fasc. V.