Mirra (Alfieri, 1946)/Atto secondo

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Atto secondo

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ATTO SECONDO

SCENA PRIMA

Ciniro, Pereo.

Pereo Eccomi a’ cenni tuoi. Lontana molto,

spero, o re, non è l’ora, in cui chiamarti
padre amato potrò...
Ciniro   Peréo, m’ascolta. —
Se te stesso conosci, assai convinto
esser tu dei, quanta e qual gioja arrechi
a un padre amante d’unica sua figlia
genero averti. Infra i rivali illustri,
che gareggiavan teco, ove uno sposo
voluto avessi a Mirra io stesso scerre,
senza pur dubitar, te scelto avria.
Quindi, eletto da lei, se caro io t’abbia
doppiamente, tu il pensa. Eri tu il primo
di tutti in tutto, a senno altrui; ma al mio,
piú che pel sangue e pel paterno regno,
primo eri, e il sei, per le ben altre doti
tue veramente, onde maggior saresti
d’ogni re sempre, anco privato...
Pereo   Ah! padre...
(giá d’appellarti di un tal nome io godo)
padre, il piú grande, anzi il mio pregio solo,
è di piacerti. I detti tuoi mi attento

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troncar; perdona: ma mie laudi tante,

pria di mertarle, udir non posso. Al core
degno sprone sarammi il parlar tuo,
per farmi io quale or tu mi credi, o brami.
Sposo a Mirra, e tuo genero, d’ogni alto
senso dovizia aver degg’io: ne accetto
da te l’augurio.
Ciniro   Ah! qual tu sei, favelli. —
E perché tal tu sei, quasi a mio figlio
io parlarti ardirò. — Di vera fiamma
ardi, il veggo, per Mirra; e oltraggio grave
ti farei, dubitandone. Ma,... dimmi;...
se indiscreto il mio chieder non è troppo,...
sei parimente riamato?
Pereo   ... Io nulla
celar ti debbo. — Ah! riamarmi, forse
Mirra il vorrebbe, e par nol possa. In petto
giá n’ebbi io speme; e ancor lo spero; o almeno,
io men lusingo. Inesplicabil cosa,
certo, è il contegno, in ch’ella a me si mostra.
Ciniro, tu, benché sii padre, ancora
vivi ne’ tuoi verdi anni, e amor rimembri:
or sappi, ch’ella a me sempre tremante
viene, ed a stento a me si accosta; in volto
d’alto pallor si pinge; de’ begli occhi
dono a me mai non fa; dubbj, interrotti,
e pochi accenti in mortal gelo involti
muove; nel suolo le pupille, sempre
di pianto pregne, affigge; in doglia orrenda
sepolta è l’alma; illanguidito il fiore
di sua beltá divina: — ecco il suo stato.
Pur, di nozze ella parla; ed or diresti,
ch’ella stessa le brama, or che le abborre
piú assai che morte; or ne assegna ella il giorno,
or lo allontana. S’io ragion le chieggo
di sua tristezza, il labro suo la niega;

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ma di dolor pieno, e di morte, il viso

disperata la mostra. Ella mi accerta,
e rinnuova ogni dí, che sposo vuolmi;
ch’ella m’ami, nol dice; alto, sublime,
finger non sa il suo core. Udirne il vero
io bramo e temo a un tempo: io ’l pianto affreno;
ardo, mi struggo, e dir non l’oso. Or voglio
di sua mal data fede io stesso sciorla;
or vo’ morir, che perder non la posso;
né, senza averne il core, io possederla
vorrei... Me lasso!... ah! non so ben s’io viva,
o muoja omai. — Cosí, racchiusi entrambi,
e di dolor, benché diverso, uguale
ripieni l’alma, al dí fatal siam giunti,
che irrevocabil oggi ella pur volle
all’imenéo prefiggere... Deh! fossi
vittima almen di dolor tanto io solo!
Ciniro Pietá mi fai, quanto la figlia... Il tuo
franco e caldo parlare un’alma svela
umana ed alta: io ti credea ben tale;
quindi men franco non mi udrai parlarti. —
Per la mia figlia io tremo. Il duol d’amante
divido io teco; ah! prence, il duol di padre
meco dividi tu. S’ella infelice
per mia cagion mai fosse!... È ver, che scelto
ella t’ha sola; è ver, che niun l’astringe...
Ma, se pur onta, o timor di donzella...
se Mirra, in somma, a torto or si pentisse?...
Pereo Non piú; t’intendo. Ad amator, qual sono,
appresentar puoi tu l’amato oggetto
infelice per lui? ch’io me pur stimi
cagion, benché innocente, de’ suoi danni,
e ch’io non muoja di dolore? — Ah! Mirra
di me, del mio destino, omai sentenza
piena pronunzi: e s’or Peréo le incresce,
senza temenza il dica: io non pentito

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sarò perciò di amarla. Oh! lieta almeno

del mio pianger foss’ella!... A me fia dolce
anco il morir, pur ch’ella sia felice.
Ciniro Peréo, chi udirti senza pianger puote?...
Cor, né il piú fido, né in piú fiamma acceso
del tuo, non v’ha. Deh! come a me l’apristi,
cosí il dischiudi anco alla figlia: udirti,
e non ti aprire anch’ella il cor, son certo
che nol potrá. Non la cred’io pentita;
(chi il fora, conoscendoti?) ma trarle
potrai dal petto la cagion tu forse
del nascosto suo male. — Ecco, ella viene;
ch’io appellarla giá fea. Con lei lasciarti
voglio; ritegno al favellar d’amanti
fia sempre un padre. Or, prence, appien le svela
l’alto tuo cor che ad ogni cor fa forza.


SCENA SECONDA

Mirra, Pereo.

Mirra Ei con Peréo mi lascia?... Oh rio cimento!

Vieppiú il cor mi si squarcia...
Pereo   È sorto, o Mirra,
quel giorno al fin, quel che per sempre appieno
far mi dovria felice, ove tu il fossi.
Di nuzíal corona ornata il crine,
lieto ammanto pomposo, è ver, ti veggo:
ma il tuo volto, e i tuoi sguardi, e i passi, e ogni atto,
mestizia è in te. Chi della propria vita
t’ama piú assai, non può mirarti, o Mirra,
a nodo indissolubile venirne
in tale aspetto. È questa l’ora, è questa,
che a te non lice piú ingannar te stessa,
né altrui. Del tuo martír (qual ch’ella sia)
o la cagion dei dirmi, o almen dei dirmi,

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che in me non hai fidanza niuna; e ch’io

mal rispondo a tua scelta, e che pentita
tu in cor ne sei. Non io di ciò terrommi
offeso, no; ben di mortal cordoglio
pieno ne andrò. Ma, che ti cale in somma
il disperato duol d’uom che niente ami,
e poco estimi? A me rileva or troppo
il non farti infelice. — Ardita, e franca
parlami, dunque. — Ma, tu immobil taci?...
Disdegno e morte il tuo silenzio spira...
Chiara è risposta il tuo tacer: mi abborri;
e dir non l’osi... Or, la tua fe riprendi
dunque: dagli occhi tuoi per sempre a tormi
tosto mi appresto, poiché oggetto io sono
d’orror per te... Ma, s’io pur dianzi l’era,
come mertai tua scelta? e s’io il divenni
dopo, deh! dimmi; in che ti spiacqui?
Mirra   ... Oh prence!...
L’amor tuo troppo il mio dolor ti pinge
fero piú assai, ch’egli non è. L’accesa
tua fantasia ti spigne oltre ai confini
del vero. Io taccio al tuo parlar novello;
qual maraviglia? inaspettate cose
odo, e non grate; e, dirò piú, non vere:
che risponder poss’io? — Questo alle nozze
è il convenuto giorno; io presta vengo
a compierle; e di me dubita intanto
il da me scelto sposo? È ver, ch’io forse
lieta non son, quanto il dovria chi raro
sposo ottiene, qual sei: ma, spesse volte
la mestizia è natura; e mal potrebbe
darne ragion chi in se l’acchiude: e spesso
quell’ostinato interrogar d’altrui,
senza chiarirne il fonte, in noi l’addoppia.
Pereo T’incresco; il veggo a espressi segni. Amarmi,
io sapea che nol puoi; lusinga stolta

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nell’infermo mio core entrata m’era,

che tu almen non mi odiassi: in tempo ancora,
per la tua pace e per la mia, mi avveggio
ch’io m’ingannava. — In me non sta (pur troppo!)
il far che tu non m’odj: ma in me solo
sta, che tu non mi spregj. Omai disciolta,
libera sei d’ogni promessa fede.
Contro tua voglia invan l’attieni: astretta,
non dai parenti, e men da me; da falsa
vergogna, il sei. Per non incorrer taccia
di volubil, tu stessa, a te nemica,
vittima farti del tuo error vorresti:
e ch’io lo soffra, speri? Ah! no. — Ch’io t’amo,
e ch’io forse mertavati, tel debbo
provare or, ricusandoti...
Mirra   Tu godi
di vieppiú disperarmi... Ah! come lieta
poss’io parer, se l’amor tuo non veggo
mai di me pago, mai? Cagion poss’io
assegnar di un dolor, che in me supposto
è in gran parte? e che pur, se in parte è vero,
origin forse altra non ha, che il nuovo
stato a cui mi avvicino; e il dover tormi
dai genitori amati; e il dirmi: «Ah! forse,
non li vedrai mai piú;...» l’andarne a ignoto
regno; il cangiar di cielo;... e mille e mille
altri pensier, teneri tutti, e mesti;
e tutti al certo, piú ch’a ogni altro, noti
all’alto tuo gentile animo umano. —
Io, data a te spontanea mi sono:
né men pento; tel giuro. Ove ciò fosse,
a te il direi: te sovra tutti estimo:
né asconder cosa a te potrei,... se pria
non l’ascondessi anco a me stessa. Or prego;
chi m’ama il piú, di questa mia tristezza
il men mi parli, e svanirá, son certa.

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Dispregierei me stessa, ove pur darmi

volessi a te, non ti apprezzando: e come
non apprezzarti?... Ah! dir ciò ch’io non penso,
nol sa il mio labro: e pur tel dice, e giura,
ch’esser mai d’altri non vogl’io, che tua.
Che ti poss’io piú dire?
Pereo   ... Ah! ciò che dirmi
potresti, e darmi vita, io non l’ardisco
chiedere a te. Fatal domanda! il peggio
fia l’averne certezza. — Or, d’esser mia
non sdegni adunque? e non ten penti? e nullo
indugio omai?...
Mirra   No; questo è il giorno; ed oggi
sarò tua sposa. — Ma, doman le vele
daremo ai venti, e lascerem per sempre
dietro noi queste rive.
Pereo   Oh! che favelli?
Come or sí tosto da te stessa affatto
discordi? Il patrio suol, gli almi parenti,
tanto t’incresce abbandonare; e vuoi
ratta cosí, per sempre?...
Mirra   Il vo’;... per sempre
abbandonarli;... e morir... di dolore...
Pereo Che ascolto? Il duol ti ha pur tradita;... e muovi
sguardi e parole disperate. Ah! giuro,
ch’io non sarò del tuo morir stromento;
o, mai; del mio bensí...
Mirra   Dolore immenso
mi tragge, è ver... Ma no, nol creder. — Ferma
sto nel proposto mio. — Mentre ho ben l’alma
al dolor preparata, assai men crudo
mi fia il partir: sollievo in te...
Pereo   No, Mirra:
io la cagione, io ’l son (benché innocente)
della orribil tempesta, onde agitato,
lacerato è il tuo core. — Omai vietarti

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sfogo non vo’, col mio importuno aspetto. —

Mirra, o tu stessa ai genitori tuoi
mezzo alcun proporrai, che te sottragga
a sí infausti legami; o udrai da loro
oggi tu di Peréo l’acerba morte.


SCENA TERZA

Mirra.

Deh! non andarne ai genitori... Ah! m’odi...

Ei mi s’invola... — Oh ciel! che dissi? Ah! tosto
ad Euricléa si voli: né un istante,
io rimaner vo’ sola con me stessa...


SCENA QUARTA

Euriclea, Mirra.

Euric. Ove sí ratti i passi tuoi rivolgi,

o mia dolce figliuola?
Mirra   Ove conforto,
se non in te, ritrovo?... A te venía...
Euric. Io da lungi osservandoti mi stava.
Mai non ti posso abbandonare, il sai:
e mel perdoni; spero. Uscir turbato
quinci ho visto Peréo; te da piú grave
dolore oppressa io trovo: ah! figlia; almeno
liberamente il tuo pianto abbia sfogo
entro il mio seno.
Mirra   Ah! sí; cara Euricléa,
io posso teco, almeno pianger... Sento
scoppiarmi il cor dal pianto rattenuto...
Euric. E in tale stato, o figlia, ognor venirne
all’imenéo persisti?
Mirra   Il dolor pria

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ucciderammi, spero... Ma no; breve

fia troppo il tempo;... ucciderammi poscia,
ed in non molto... Morire, morire,
null’altro io bramo;... e sol morire, io merto.
Euric. — Mirra, altre furie il giovenil tuo petto
squarciar non ponno in sí barbara guisa,
fuor che furie d’amor...
Mirra   Ch’osi tu dirmi?
qual ria menzogna?...
Euric.   Ah! non crucciarti, prego,
contro di me, no. Giá da gran tempo io ’l penso:
ma, se tanto ti spiace, a te piú dirlo
non mi ardirò. Deh! pur che almen tu meco
la libertá del piangere conservi!
Né so ben, ch’io mel creda; anzi, alla madre
io fortemente lo negai pur sempre...
Mirra Che sento? oh ciel! ne sospettava forse
anch’essa?...
Euric.   E chi, in veder giovin donzella
in tanta doglia, la cagion non stima
esserne amore? Ah! il tuo dolor pur fosse
d’amor soltanto! alcun rimedio almeno
vi avrebbe. — In questo crudel dubbio immersa
giá da gran tempo io stando, all’ara un giorno
io ne venía della sublime nostra
Venere diva; e con lagrime, e incensi,
e caldi preghi, e invaso cor, prostrata
innanzi al santo simulacro, il nome
tuo pronunziava...
Mirra   Oimè! Che ardir? che festi?
Venere?... Oh ciel!... contro di me... Lo sdegno
della implacabil Dea... Che dico?... Ahi lassa!...
Inorridisco,... tremo...
Euric.   È ver, mal feci:
la Dea sdegnava i voti miei; gl’incensi
ardeano a stento, e in giú ritorto il fumo

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sovra il canuto mio capo cadeva.

Vuoi piú? gli occhi alla immagine tremanti
alzar mi attento, e da’ suoi piè mi parve
con minacciosi sguardi me cacciasse,
orribilmente di furore accesa,
la Diva stessa. Con tremuli passi,
inorridita, esco del tempio... Io sento
dal terrore arricciarmisi di nuovo,
in ciò narrar, le chiome.
Mirra   E me pur fai
rabbrividire, inorridir. Che osasti?
Nullo omai de’ celesti, e men la Diva
terribil nostra, è da invocar per Mirra.
Abbandonata io son dai Numi; aperto
è il mio petto all’Erinni; esse v’han sole
possanza, e seggio. — Ah! se riman pur l’ombra
di pietá vera in te, fida Euricléa,
tu sola il puoi, trammi d’angoscia: è lento,
è lento troppo, ancor che immenso, il duolo.
Euric. Tremar mi fai... Che mai poss’io?
Mirra   ... Ti chieggo
di abbrevíar miei mali. A poco, a poco
strugger tu vedi il mio misero corpo;
il mio languir miei genitori uccide;
odíosa a me stessa, altrui dannosa,
scampar non posso: amor, pietá verace,
fia ’l procacciarmi morte; a te la chieggio...
Euric. Oh cielo!... a me?... Mi manca la parola,...
la lena,... i sensi...
Mirra   Ah! no; davver non m’ami.
Di pietade magnanima capace
il tuo senile petto io mal credea...
Eppur, tu stessa, ne’ miei teneri anni,
tu gli alti avvisi a me insegnavi: io spesso
udía da te, come antepor l’uom debba
alla infamia la morte. Oimè! che dico?... —

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Ma tu non m’odi?... Immobil,... muta,... appena

respiri! oh cielo!... Or, che ti dissi? io cieca
dal dolore,... nol so: deh! mi perdona;
deh! madre mia seconda, in te ritorna.
Euric. ... Oh figlia! oh figlia!... A me la morte chiedi?
La morte a me?
Mirra   Non reputarmi ingrata;
né che il dolor de’ mali miei mi tolga
di que’ d’altrui pietade. — Estinta in Cipro
non vuoi vedermi? in breve udrai tu dunque,
ch’io né pur viva pervenni in Epíro.
Euric. Alle orribili nozze andarne invano
presumi adunque. Ai genitori il tutto
corro a narrar...
Mirra   Nol fare, o appien tu perdi
l’amor mio: deh! nol far; ten prego: in nome
del tuo amor, ti scongiuro. — A un cor dolente
sfuggon parole, a cui badar non vuolsi. —
Bastante sfogo (a cui concesso il pari
non ho giammai) mi è stato il pianger teco;
e il parlar di mia doglia: in me giá quindi
addoppiato è il coraggio. — Omai poch’ore
mancano al nuzíal rito solenne:
statti al mio fianco sempre: andiamo: e intanto,
nel necessario alto proposto mio
il vieppiú raffermarmi, a te si aspetta.
Tu del tuo amor piú che materno, e a un tempo
giovar mi dei del fido tuo consiglio.
Tu dei far sí, ch’io saldamente afferri
il partito, che solo orrevol resta.