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256 | saggi critici |
a sé la sua vita con la facilità e la spensieratezza di chi si trastulla.
In questa produzione geniale vivono i germi delle piú gentili creazioni della poesia moderna, centro la donna uscita dalle astrazioni e dal misticismo, e divenuta persona viva.
Quando io penso a Silvio Pellico, non so persuadermi come tante sfumature, tante finezze e delicatezze di sentimenti gli sieno potute sfuggire, e come gli sia uscita dalla penna una Francesca tutta un pezzo e di una fattura cosí grossolana. E penso pure che la poesia italiana è stata poco felice nella rappresentazione della donna, e che Francesca rimane unica e sola. Da tante liriche non è uscita una sola donna viva. Nell’Ariosto ti commovono i dolci lamenti di Olimpia e Isabella, schizzi superficiali; anzi che serii ritratti. Nel Tasso Armida è raffinata, Sofronia è astratta, Erminia è insignificante, Clorinda è chiusa e fredda. Le donne di Raaello vivono nelle tele, ma invano ne cerchi i vestigi nelle nostre poesie. Noi abbiamo le donne «sparenti», in cui la vita balena in quel punto che sparisce: vivono nel momento della morte, come Clorinda, Ermengarda. Le donne del Leopardi sono creature iniziali, sparite prima ancora che fosse gustata la vita e l’amore: tale è Silvia o Nerina. Salvo queste poche creature fuggitive, ideali ondeggianti, e straniere alla vita, invano cerchiamo la donna. Dell’Alfieri nessuna donna è sopravvissuta. Manzoni stesso, cosi potente creatore d’individui, ha messo nella sua Lucia non so che artificiale e oltrepassato. Raggi divini di donna balenano in Beatrice e Laura, ma il sole manca. Se alcuna cosa trovar vogliamo comparabile a Francesca, dobbiamo cercarla in Shakespeare, in Byron, in Goethe, nelle letterature straniere, primo e immortale tipo Francesca.
[Nella «Nuova Antologia», gennaio i869, col titolo: F. da R. secondo i critici e secondo l’arte.]