Pagina:De Sanctis, Francesco – Saggi critici, Vol. III, 1974 – BEIC 1804859.djvu/107

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dizione, quel mondo del pensiere umano sigillato nella sua memoria, quei riti religiosi, quei costumi di popoli, quelle sentenze di oratori e di filosofi, quei frammenti poetici, qui gli ritornano avvivati nel foco della sua immaginazione, attratti nell’armonia del suo mondo, e gli galleggiano innanzi come natura vivente; fantasmi di tutte l’etá e di tutte le genti, penetrati e fusi da un solo spirito e divenuti contemporanei. Quella sua abilitá tecnica, che nelle Odi mostra ancora le sue punte e le sue reminiscenze, qui è l’eco immediata e armonica di un mondo superiore e in lontananza, di cui, non sai come, ti giungono i riflessi, le ombre e i susurri. Tutte queste forze sparpagliate, esitanti, che non avevano ancora trovato un centro, sono raccolte e riconciliate in questo mondo pieno e concreto, dove ciascuna trova nelle altre il suo limite o la sua misura. L’Italia non avea ancora visto niente di simile. La lirica, quale te la dava Monti o Cesarotti, era «cadenza melodrammatica», un prolungamento di Metastasio. Sotto forme dantesche il fondo rimaneva sempre arcadico, puramente letterario. La coscienza era estranea a quel lavoro dell’immaginazione: malattia dello spirito italiano da gran tempo. Quella vuota forma, dopo di aver per piú secoli esaurita sé stessa, finiva cantabile e musicabile, mera sonoritá. Quando la forma non era vuota, era falsa e ipocrita, esprimendo sentimenti non partecipati dall’anima, amori senza amore, e un patriottismo senza patria, una religione senza fede, e uno sfoggio di sentenze nobili e morali senza moralitá. Il mondo poetico era tutto superficie, un mondo esterno formato dall’immaginazione, senza alcuna eco di dentro: indi quel suo carattere convenzionale e rettorico. Bisognava rifare un mondo interiore, ricostituire la coscienza. Questo lavoro iniziato nelle lettere da Parini e Alfieri era continuato in Foscolo, non senza un po’ di orpello e di rettorica perché, anch’essi, si dimenavano nel vuoto; quel loro mondo, patria, libertá, scienza, virtú, gloria era ancora in idea, semplice aspirazione Ne’ Sepolcri apparisce per la prima volta nel suo carattere d’intimitá, come un prodotto della coscienza e del sentmento Questa prima voce della nuova lirica ha non so che di sacro, come un Inno: