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336 storia della letteratura italiana


Con questi tristi presentimenti si chiude il secolo. Il Dugento finisce con Cino e Cavalcanti e Dante giá adulti e chiari: finisce come un’aurora entro cui si vede giá brillare la vita nuova, una nuova èra. Il Trecento finisce come un tristo tramonto, cosi tristo e oscuro che il buon Franco pensa: — Chi sa se tornerá il sole? —

Antonio da Ferrara, sparsasi voce della morte del Petrarca, intuona anche lui un poetico Lamento. Piangono intorno al grand’uomo Gramatica, Rettorica, Storia, Filosofia; e lo accompagnano al sepolcro di Parnaso

                                    Virgilio, Ovidio, Giovenale e Stazio,
Lucrezio, Persio, Lucano e Orazio
e Gallo.
     
E Pallas Minerva, venuta dall’angelico regno, conserva la sua corona. In ultimo della mesta processione spunta l’autore col suo nome, cognome e soprannome:
                                    È Anton de’ Beccar, quel da Ferrara,
che poco sa ma volentieri impara.
     
È anche un brav’uomo costui; vede anche lui tutto nero:
                                         Del mondo bandita è concordia e pace,
per l’universo la discordia trona,
sommerso è ogni bene,
l’amor di Dio ha bando,
e parmi che la fé vada mancando.
     
Sono lamenti senili di uomini superficiali e mediocri, dove non trovi alcuna profonditá di vista e non forza di mente o di sentimento. Pur vi trovi, ancorché in forma pedantesca, la fisonomia del secolo negli ultimi giorni della sua esistenza.

Quella nota malinconica è la stessa forza che tirò alla Certosa il vecchio Boccaccio, e volse a Maria gli ardori del Petrarca, e rattristò le ultime ore di Franco Sacchetti, e piegò le ginocchia di Giovanna innanzi a Caterina da Siena. Perché quella (orza, contraddetta e negata nella vita, occupava ancora l’intelletto, e