Pensieri e discorsi/La ginestra/XI

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XI.


Ricordiamo una sua frase: “che i miei principii sieno tutti negativi, io non me ne avveggo„. Si sbagliava? Sarebbe inverosimile. Egli sentiva che dalla sua filosofia negativa scendeva una grande affermazione. L’affermazione che egli stupiva non balenasse ai lettori delle sue sconsolate prose e poesie, egli la esprime qui, nel suo poema lugubre e ultimo. Egli dice che la morale risultante dalle credenze religiose non è efficace:

 superbe fole
Ove fondata probità del volgo
Così star suole in piede
Quale star può quel ch’ha in error la sede.

L’aveva già detto nel dialogo di Plotino e Porfirio, questo, adombrando nelle credenze di Platone altre a lui care nella sua fanciullezza. Egli aveva detto che “quei dubbi e quelle credenze (circa lo stato nostro dopo morte) spaventano tutti gli uomini [p. 103 modifica]in sulle ore estreme, quando essi non sono atti a nuocere„, e spaventano i buoni e i timidi, non gli altri. Egli aveva detto che non tali sospetti di pene e di calamità future, ma “le buone leggi, e più la educazione buona, e la coltura dei costumi e delle menti, conservano nella società degli uomini la giustizia e la mansuetudine„. Egli aveva negato insomma che dalle credenze religiose derivasse alcun frutto di virtù per gli uomini, affermando che non ne deriva se non una maggiore infelicità per quelli che trovando insopportabile la vita, avessero voluto cambiarla con la morte.

Troppo più egli dice nella Ginestra, nella quale riassume e compie, e in parte, direi, corregge tutti i suoi principii sparsi nei canti e nelle operette morali. Egli proclama che nella sua filosofia è un principio sul quale può edificarsi un inconcusso sistema di morale; e questo principio è la coscienza della nostra bassezza e fralezza.

Ecco la luce. E il poeta del dolore, il filosofo del nulla, parla ora come un sacerdote: il sacerdote, per così dire, della irreligione.