Poemetti e poesie varie (Carlo Gastone Della Torre)/Poesie varie/III. A Sua Maestà siciliana Ferdinando quarto

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III. A Sua Maestà siciliana Ferdinando quarto

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III

A SUA MAESTÀ SICILIANA FERDINANDO QUARTO

per la nuova popolazione di San Leucio.


     Sotto la falce caddero
tre volte omai le biade,
da che di cento popoli
per l’europee contrade
5indagator solerte amo vagar.
     Corsi dall’Alpi aeree
alla palladia Senna:
il fier Britanno accolsemi,
uso con frale antenna
10la grave di Nettuno ira sfidar.

     Il Belga vidi e il Batavo,
che a guerreggiar coll’onde
dell’imminente Oceano
moli d’invitte sponde
15sull’acquidose zolle industre oppon.
     Mille nel suol germanico
aprirsi all’arti achee
vidi palestre e vivere
sulla guerriera Spree
20l’antica imago del valor lacon.

     Alfin tornai d’Italia
nel suol beato e lieto;
e dal superbo Tevere
venni al gentil Sebeto,
25che a Partenope lambe il piè regal.

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     E qual nuovo spettacolo
di leggi e di costumi
i tifatin m’offersero
colli, albergo de’ numi,
30dell’innocenza e della prisca fé!

     L’util lavoro, il sobrio
vitto e l’umil preghiera,
dell’alba al primo rompere
fino alla crocea sera,
35partono l’ore del tranquillo dí:
     ora che l’ali battono
lievissime amorose,
e a piene mani spargono
nembo di gigli e rose,
40che tepido favor d’aura nodrí.

     Ve’ quai sul perno agevole
moli agitar qui puote
la temprata vertigine
di ben conserte ruote:
45vario, operoso, archimedèo pensier,
     abil le fila a svolgere
di seriche matasse
e, dipanate, a torcerle
al rotear dell’asse,
50cui dieder l’onde il grave urto primier.

     Fervono l’opre; il genio
veglia d’un re sovr’esse,
radi e sottil qual nebbia
veli la spola intesse,
55tinti dell’India ne’ piú bei color;
     che poi le Grazie foggiano
in su le chiome sparte,
e turche bende imitano,
e celano con arte
60d’un gemipomo petto il bel candor.

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     Il coronato e fulgido
tetto, che l’aria ingombra
e di Caserta il florido
terren di sí vasta ombra
65stampa superbo, altri ammirar potrá;
     e de’ pensier di Giulio
l’emulo ardir, cui piacque
su cento archi il volubile
piede drizzar dell’acque
70per vie che preme eterna oscuritá.

Marmi e colonne all’appulo
tolte, o lá dove il monte
al fulminato Encelado
calca la torva fronte,
75di maraviglia me non san ferir.
     Dell’arti care a Pallade
esplorator non tardo,
giunsi il fasto romuleo
a sostener col guardo:
80né la dotta censura è folle ardir.

Ma d’ordine e d’ingenui
usi e di pace imago
al cor mi scende, e l’animo
de le delizie è pago,
85onde a vista sí dolce ebbro divien.
     Ahi! che da noi giá torsero
le virtú antiche il piede;
quasi di lor vestigio
il pellegrin non vede
90dalla Senna al Tamigi, all’Istro, al Ren.

     Felicitá, che agli uomini
raro i gelosi dèi
né intera mai concessero,
dove, se qui non sei,
95tuo divo aspetto vagheggiar potrò?

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Quanto il nocchier dall’Affrica
alle contrade artoe,
quanto dagli orti facili
alle rigide Stoe
100Grecia faconda, te cercando, errò!

     Le terre ah! te non chiudono
da ignoti mar cerchiate,
né de’ sofi l’orgoglio;
ma l’anime ben nate
105di conoscerti a pieno ebber virtú.
Nel casto amor, nell’aurea
mediocritá, nel modo
posto a voglie non sazie,
e nel soave nodo
100d’amistá sacra la sorgente hai tu.

     Schiette gli dèi sol beono
le tazze tue; fra noi
vi mesce amare gocciole,
né vietar tu lo puoi,
115per legge sculta in adamante, il mal.
     Pur vinto egli è, se l’aurea
lance hai teco d’Astrea
e di prudenza vigile
lo specchio, e d’Igiea
120il fugator de’ morbi angue immortal.

     Regio pastor di popoli
la sede tua beata
locò fra l’ombre tacite
del selvaggio Tifata,
125e ad obliar t’invita il patrio ciel.
     I giorni qui si tingono
ne l’oro di Saturno,
fior mette il suol che premere
godi col piede eburno,
130stilla dall’elci cave il biondo mèl.

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     La molta qui disperdere
nebbia di gravi cure
ama Fernando e vivere
fra candid’alme e pure,
135padre piú che signor di gente umil.
     O dea, l’etereo nettare
qui gli ministra almeno:
qui sol sue labbra il libano,
o ne l’amato seno
140de la donna regale a te simil.