Poesie (Parini)/IV. Le odi/VIII. La laurea

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VIII. La laurea

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VIII

LA LAUREA

(Per la laurea di Maria Pellegrina Amoretti)

[1777]

     Quell’ospite è gentil che tiene ascoso
a i molti bevitori
entro a i dogli paterni il vino annoso
frutto de’ suoi sudori;
5e liberale allora
sul desco il reca di bei fiori adorno,
quando i lari di lui ridenti intorno
degno straniere onora:
e versata in cristalli empie la stanza
10insolita di Bacco alma fragranza.
     Tal io la copia, che de i versi accolgo
entro a la mente, sordo
niego a le brame dispensar del volgo
che vien di fama ingordo.
15In van l’uomo che splende
di beata ricchezza, in van mi tenta
si che il bel suono de le Iodi ei senta,
che dolce al cor discende:
e in van de’ grandi la potenza e l’ombra
20di facili speranze il sen m’ingombra.

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     Ma quando poi sopra il cammin de i buoni
mi comparisce innanti
alma che, ornata de’ suoi propri doni,
merta l’onor de i canti,
25allor da le segrete
sedi del mio pensiero escono i versi,
atti a volar di viva gloria aspersi
del tempo oltra le mete:
e donator di lode accorto e saggio
30io ne rendo al valor debito omaggio.
     Ed or che la risorta insubre Atene,
con strana meraviglia,
le lunghe treccie a coronar ti viene,
o di Pallade figlia,
35io, rapito al tuo merto,
fra i portici solenni e balte menti
m’innoltro, e spargo di perenni unguenti
il nobile tuo serto:
né mi curo se a i plausi onde vai nota
40pinge ingenuo rossor tua casta gota.
     Ben so che donne valorose e belle,
a tutte l’altre esempio,
veggon splender lor nomi a par di stelle
d’eternitá nel tempio:
45e so ben che il tuo sesso,
tra gli ufizi a noi cari e l’umil’arte,
puote innalzarsi; e ne le dotte carte
immortalar sé stesso.
Ma tu gisti colá, vergin preclara,
50ove di molle piè l’orma è piú rara.
     Sovra salde colonne antica mole
sorge augusta e superba,
sacra a colei che dell’umana prole,
frenando, i dritti serba.
55Ivi la dea si asside

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custodendo del vero il puro foco;
ivi breve sul marmo in alto loco
il suo volere incide:
e giá da quello stile aureo, sincero
60apprendea la giustizia il mondo intero.
     Ma d’ignari cultor turbe nemiche
con temerario piede
osáro entrar ne le campagne apriche
ove il gran tempio siede:
65e la serena piaggia
occuparon cosí di spini e bronchi
che fra i rami intricati e i folti tronchi
a pena il sol vi raggia;
e l’aere, inerte per le fronde crebre,
70v’alza dense all’intorno atre tenèbre.
     Ben tu di Saffo e di Corinna al pari,
o donne altre famose,
per li colli di Pindo ameni e vari
potevi coglier rose:
75ma tua virtú s’irrita
ove sforzo virile a pena basta;
e nell’aspro sentier che al piè contrasta
ti cimentasti ardita:
qual giá vide a i perigli espor la fronte
80fiere vergini armate il Termodonte.
     Or poi, tornando dall’eccelsa impresa,
qui sul dotto Tesino
scoti la face al sacro foco accesa
del bel tempio divino:
85e dall’arguta voce
tal di raro saper versi torrente,
che il corso a seguitar de la tua mente
vien l’applauso veloce,
abbagliando al fulgor de’ raggi tui
90la invidia, che suol sempre andar con lui.

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     Chi può narrar qual dal soave aspetto
e da’ verginei labri
piove ignoto fin ora almo diletto
su i temi ingrati e scabri?
95Ecco la folta schiera
de’ giovani vivaci a te rivolta
vede sparger di fior, mentre t’ascolta,
sua nobile carriera:
e al novo esempio de la tua tenzone
100sente aggiugnersi al fianco acuto sprone.
     A i detti, al volto, a la grand’alma espressa
ne’ fulgid’occhi tuoi,
ognun ti crederia Temide stessa,
che rieda oggi fra noi:
105se non che Oneglia, altrice
nel fertil suolo di palladi ulivi,
alza a i trionfi tuoi gridi giulivi;
e fortunata dice:
— Dopo il gran Doria, a cui died’io la culla,
110è il mio secondo sol questa fanciulla. —
     E il buon parente che su l’alte cime
di gloria oggi ti mira,
a forza i moti del suo cor comprime,
e pur con sé s’adira.
115Ma poi cotanto è grande
la piena del piacer che in sen gli abbonda,
che Targhi di modestia al fine innonda,
e fuor trabocca e spande:
e aneli’ei col pianto che celar desia
120grida tacendo: — Questa figlia è mia. —
     Ma dal cimento glorioso e bello
tanto stupore è nato,
che giá reca per te premio novello
l’erudito senato.
125Giá vien su le tue chiome

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di lauro a serpeggiar fronda immortale:
e fra lieto tumulto in alto sale
strepitoso il tuo nome;
e il tuo sesso leggiadro a te dá lode
130de’ novi onori, onde superbo ei gode.
     Oh amabil sesso che sull’alme regni
con si possente incanto,
qual’alma generosa è che si sdegni
del novello tuo vanto?
135La tirannia virile
frema, e ti miri, a gli onorati seggi
salir togato, e de le sacre leggi
interprete gentile,
or che d’Europa a i popoli soggetti
140fin dall’alto de i troni anco le détti.
     Tu sei che di ragione il dolce freno
sul forte russo estendi;
tu che del chiaro lusitan nel seno
l’antico spirto accendi.
145Per te Insubria beata,
per te Germania è gloriosa e forte;
tal che al favor de le tue leggi accorte
spero veder tornata
l’etá dell’oro e il viver suo giocondo,
150se tu governi ed ammaestri il mondo.
     E l’albero medesmo onde fu colto
il ramoscel che ombreggia
a la dotta donzella il nobil volto,
convien che a te si deggia.
155In esso alta regina
tien conversi dal trono i suoi bei rai;
tal che lieto rinverde, e piú che mai
ai cielo s’avvicina.
Quanto è bello a veder che il grato alloro
160doni al sesso di lei pompa e decoro!

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     Ma giá la Fama all’impaziente Oneglia
le rapid’ali affretta;
e gridando le dice: — Olá, ti sveglia;
e la tua luce aspetta! —
165Insubria, onde romore
va per mense ospitali ed atti amici,
sa gli stranieri ancor render felici
nel calle dell’onore.
Or quai, vergine illustre, allegri giorni
170ti prepara la patria allor che torni?
     Pari a la gloria tua per certo a pena
fu quella onde si cinse
colá d’Olimpia nell’ardente arena
il lottator che vinse;
175quando tra i lieti gridi
il guadagnato serto al crin ponea;
e col premio d’onor che l’uomo bea,
tornava a i patri lidi;
e scotendo le corde amiche a i vati
180Pindaro lo seguia con gl’inni alati.