Racconti (Hoffmann)/Il vaso d'oro/Veglia I

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Veglia I

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E. T. A. Hoffmann - Racconti fantastici (1814)
Traduzione dal tedesco di E. B. (1835)
Veglia I
Il vaso d'oro Il vaso d'oro - Veglia II
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VEGLIA PRIMA

Disavventure dello studente Anselmo. — Il tabacco di sanità del vicerettore Paulmann e i

serpenti verde-dorati.


Il dopo pranzo del giorno dell’Ascensione, a tre ore, un giovane che passava correndo sotto la Porta Nera, a Dresda, cadde sopra una cesta di pomi e di pasticcetti, che erano venduti da una vecchia brutta come il demonio. Tutto quello che non fu schiacciato rotolò da ogni parte, e i piccioli ragazzi di strada si divisero allegramente la preda gettata loro da quel signore troppo frettoloso. Alle grida di spavento sollevate dalla vecchia, tutte le comari abbandonarono le loro tavole cariche di [p. 4 modifica] pasticcetti e d’acquavite, circondarono il giovane, e l’oppressero di mille ingiurie con tutto il furore della plebaglia; sicchè il povero diavolo, muto di vergogna e di rabbia, non seppe far altro che stendere la sua borsa, modestamente fornita, cui la vecchia prese con avidità, e mise sul momento nella sua saccoccia. Allora il circolo che lo imprigionava si aprì; ma mentre il giovane fuggiva, la vecchia gli gridava dietro: — Sì, corri, corri, figlio di satanasso, tu cadrai nel cristallo! nel cristallo! — La voce della vecchia, o piuttosto il suo gracchiamento, aveva qualche cosa di spaventevole, i passaggieri si fermarono attoniti, e il riso che si era largamente diffuso all’intorno, cessò tutto in un tratto.

Lo studente Anselmo (poichè era desso) quantunque non capisse niente degli strani discorsi della vecchia, si sentì preso da una specie d’involontario terrore, e camminò più presto per isfuggire agli sguardi curiosi che si dirigevano sopra di lui

Mentre egli attraversava con gran pena la folla vestita a festa, ei sentiva mormorare da tutte le parti. Oh! povero giovane! — Oh! maledetta vecchia! [p. 5 modifica]

Le parole misteriose della vecchia avevano dato a quella comica avventura una non so quale piega tragica, sicchè gli occhi seguivano allora con interesse quel giovine, che fino a quel momento era passato sconosciuto. Le donne, piene d’indulgenza per la quadratura vigorosa del giovine, e per la sua figura regolarmente bella, di cui una secreta collera animava l’espressione, gli perdonavano il suo mal garbo e il suo abito, atto flagrante di ribellione contro tutte le leggi della moda. La sua giubba grigia color di lucerta, tagliata come se il sarto non avesse conosciuto la forma nuova che da lontano, ed i suoi calzoni di raso nero indossati col più rispettoso riguardo, davano a tutto il suo esteriore un’aria da pedagogo che non si accordava niente affatto col suo portamento, e col suo passo.

Lo studente era quasi arrivato in fondo al viale che conduce al bagno di Link quando ei fu sul punto di perdere il fiato.

Egli rallentò il suo passo; ma osava appena alzar gli occhi, poichè vedeva sempre ballare intorno a lui i pomi ed i pasticcetti, e il benevolo sorriso delle [p. 6 modifica]fanciulle, non gli sembrava che il riflesso del sogghigno satanico della Porta Nera. Fu così ch'egli arrivò sino all'ingresso dei bagni di Link; varie compagnie di persone in abito da festa vi entravano una dopo l'altra; si sentiva risonare nell’interno una musica d'istrumenti da fiato, e il mormorio dell’allegra folla diveniva sempre più armonico.

Le lagrime vennero quasi agli occhi del povero studente Anselmo: poichè il giorno dell’Ascensione era sempre stato per lui una festa di famiglia singolarmente solenne, e, per prendere la sua parte alle allegrie del paradiso di Link, egli aveva voluto portare la spesa sino alla mezza tazza di caffè, col bicchierino di rhum, e la bottiglia di birra doppia; e per farla completamente alla grande, egli avea messo nella sua saccoccia più danaro che non era ragionevole e permesso di fare, ed ecco che la sua fatale caduta nella cesta dei pomi l’aveva privato di tutto quello che aveva indosso. Addio dunque caffè, birra doppia, musica, sguardi di fanciulle ben adorne; in una parola, — addio tutti i piaceri ch’egli aveva sognati; non bisogna più pensarvi. [p. 7 modifica]

Ei passò come un’ombra davanti alla porta e prese una strada solitaria che conduceva all’Elba.

Sotto un sambuco che usciva da un muro ci trovò un posto aggradevole coperto d’erba; fu là ch’egli sedette, e riempì la sua pipa col Knaster1 di sanità datogli dal vicerettore Paulmann.

Davanti a lui mormoravano le onde dorate dell’Elba; dietro il fiume, la bella città di Dresda innalzava alteramente le sue torri leggiere verso un cielo profumato, che si abbassava all’orizzonte sopra una serie di prati fioriti, e di foreste verdeggianti: in lontananza, nel vago crepuscolo, la cresta addentellata delle montagne annunciava la Boemia. Ma, gettando intorno a lui degli sguardi cupi, Anselmo mandava in aria spesse nuvole di fumo e aprendo finalmente uno sfogo al suo mal umore egli gridò;

— È però vero che son nato per tutte le croci e le miserie! che io non sia mai diventato il re della fava; che a pari e dispari, io abbia sempre indovinato [p. 8 modifica]male; che le mie ciambelle di butirro, cadano sempre dalla parte unta, sono calamità delle quali non voglio nemmeno parlare; ma non è forse una fatalità, crudele, quando, a malgrado del diavolo e delle sue corna, io mi son fatto studente, di non aver mai potuto essere altro che un Kummel turke2. Posso io mettere un abito nuovo senza farvi il primo giorno una macchia di sego, o senza stracciarlo con qualche chiodo sporgente? Posso io salutare un consigliere od una signora, senza far volare il mio cappello lungi da me e senza sdrucciolar per terra e fare vergognosamente un capitombolo? A Hall non aveva io regolarmente ogni giorno di mercato una spesa di tre o quattro groschen3 per iscodelle rotte perché il diavolo mi metteva in testa di camminar diritto davanti a me come un vero sciocco? Sono io arrivato all’ora giusta una sola volta, o andando al corso o in qualunque [p. 9 modifica]altro luogo fossi mandato? Che cosa mi serviva l’uscire una mezz’ora prima e andare a mettermi alla porta colla mano allo saliscendi? Al primo tocco della campana quando io voleva aprire, il diavolo mi gettava sulla testa un catino d’acqua sporca, oppure mi faceva urtare in qualcheduno che usciva, in maniera che io aveva sempre qualche questione alle spalle, e sempre arrivava troppo tardi.

Ahimè! Ahimè! ove siete voi sogni aggradevoli di una futura felicità, che mi lusingavate dell’orgogliosa speranza che potrei spingermi sino all’impiego di Secretario intimo? La mia maledetta stella non mi ha forse alienati tutti i miei migliori protettori? Io so che il consigliere privato al quale io sono raccomandato non può soffrire i capegli corti; il parrucchiere mi attacca a grande stento una piccola coda dietro la testa, ma al primo saluto il cordone disgraziato si scioglie, e un vispo barbone che arricciava il muso verso di me, porta in trionfo la coda al consigliere privato. Io mi slancio spaventato dietro di lui e cado sulla tavola su cui il consigliere, facendo colazione, [p. 10 modifica]lavorava, ed ecco che tazze, piatti, calamaio, sabbia cadono con romore, e un torrente di cioccolata e d’inchiostro inonda il rapporto ch’egli avea appena compiuto. — Signore, avete voi il diavolo in corpo? mi grida il consigliere furioso e mi mette fuor della porta.

Che mi serve adesso che il vicerettore Paulmann mi faccia sperare un posto di commesso? La mia funesta stella che non si stanca di perseguitarmi, mi lascierà forse arrivare a questo scopo? Anche oggi!... io voleva celebrare degnamente la cara festa dell’Ascensione, era risoluto di far qualche sacrificio; avrei potuto come un altro gridare alteramente ai bagni di Link: Garzone! una bottiglia di birra doppia, ma della migliore ve ne prego! lo avrei potuto restar seduto sino a sera, e vicino alla tale o tal’altra società di amabili fanciulle maravigliosamente ornate. Io lo so bene, il coraggio mi sarebbe venuto sarei stato un altr’uomo; sì, se uno o l’altra mi avesse domandato: Che ora può essere? o che aria si suona? io mi sarei alzato con disinvoltura, senza rovesciare il mio bicchiere, senza fare una [p. 11 modifica]giravolta sul banco, ed avanzandomi d’un passo e mezzo, facendo una riverenza avrei risposto: Permettete, madamigella, è, per servirvi, l’apertura della Ninfa del Danubio4; oppure sei ore soneranno presto.

Ed io domando, se qualcuno al mondo potrebbe farmene un delitto! — No, io dico, le giovani fanciulle, si sarebbero guardate tra di loro, sorridendo con aria maliziosa, come succede ordinariamente quando m’incoraggio al punto di mostrar che so prendere, al bisogno, il tuono leggero del bel mondo e fare, il galante presso le signore. Ma ecco che Satanasso mi getta in quell’infernale cesta di pomi, e adesso, devo fumare qui nella solitudine il mio tab... il mio tabacco di..... — Qui lo studente Anselmo fu interrotto nel suo monologo da un cicalio e ronzio singolare, che si alzava dall’erba accanto a lui e poi saliva ai rami e alle foglie del sambuco piegato a volta sopra la sua testa. Era dapprincipio come se il vento [p. 12 modifica]della sera cullasse mollemente il fogliame; poi, come se gli uccelletti giuocassero tra i rami, e facessero battere le loro piccole ali inseguendosi con malizia. Poi fu un mormorio e un bisbiglio, e si avrebbe detto che le foglie dell’albero, risonavano come campane di vetro. Anselmo ascoltava... ascoltava ancora. Ecco che (egli non seppe come) quello strisciamento, quel bisbiglio, quel tintinnìo si cambiò in accenti dolci e deboli, che sembravano a metà dissipati dal vento.

Passiamo, — sdruccioliamo, passiamo sui rami, sdruccioliamo sui fiori; slanciati, cullati, allacciati. — Mia sorella, — mia sorella, bagnati nella luce, presto, presto, più in su, più in giù.

— Il sole dardeggia i suoi raggi, — il venticello della sera mormora con voluttà, — la rugiada brilla, — i fiori cantano...— Cantiamo, mie sorelle, cantiamo come i fiori, come i rami. — Le stelle stanno per risplendere, — bisogna discendere. — Passiamo, — sdruccioliamo, mia sorella, — slanciati, cullati, allacciati.

Così continuava il linguaggio delirante. Lo studente Anselmo pensò: non è però altro che il vento della sera che [p. 13 modifica]parla oggi in una maniera intelligibile. Ma in quell’istesso momento, come un accordo perfetto di tre campane di cristallo risonò sopra la sua testa; egli alzo gli occhi e vide tre piccoli serpenti verde-dorati che allacciandosi intorno ai rami, drizzavano la loro testa verso il sole della sera. Allora lo stesso mormorìo, lo stesso bisbiglio, le stesse parole si fecero udire di nuovo; e i serpenti parlavano e si strisciavano di ramo in ramo; e al vedere la prontezza dei loro movimenti, avresti detto che mille smeraldi scintillanti scorrevano attraverso il cupo fogliame del sambuco. È il sole cadente che scherza tra le foglie, pensò lo studente Anselmo: ma ecco che le campane risonarono di nuovo e Anselmo vide uno dei serpenti inchinar la sua testa verso di lui. Egli si sentì tocco come da un colpo elettrico, e fu scosso sino in fondo dell’anima.

Egli guardò fissamente l’albero, e un pajo d’occhi azzurri, d’un bel turchino carico, lo contemplavano con una ineffabile espressione di desiderio. Un sentimento sconosciuto di suprema voluttà e [p. 14 modifica]di dolore profondo spezzò quasi il suo cuore. Mentre egli non poteva stancarsi di guardare quegli occhi incantevoli, il soave accordo delle campane di cristallo risonò più forte che la prima volta; gli smeraldi piovevano intorno a lui e lo avviluppavano, scherzando d’una rete di luce e d’oro.

Il sambuco si agitò e disse: “Tu ti sei riposato sotto la mia ombra, il mio profumo ti circondava, ma tu non hai compreso: il profumo è il mio linguaggio quando l’amore lo infiamma”. Il vento della sera passò e disse: “Io ho giuocato colla tua capigliatura; ma tu non mi hai compreso: il soffio è il mio linguaggio, quando l’amore lo infiamma”. Il sole passò attraverso una nuvola, e i suoi raggi sembravano stampare in lettere di fuoco queste parole nell’anima d’Anselmo: “Io ti ho circondato di luce e d’oro, ma tu non mi hai compreso; il fuoco è il mio linguaggio quando l’amore l’infiamma!”

E sempre più assorto nella contemplazione di quegli occhi, di quello sguardo incantevole, Anselmo si sentiva divorato da desiderii più vivi e più [p. 15 modifica]accesi. Intorno a lui tutto si animava si moveva si svegliava alla vita e al piacere. I fiori e le piante esalavano dolci profumi, e questo profumo era come un canto soave di mille voci molli come nota di flauto: e tutti i loro accenti trasportati dalle nuvole dorate del tramonto andavano a risonare nelle contrade lontane come un eco misterioso. Ma quando l’ultimo raggio del sole scomparve dietro le montagne, e il crepuscolo gettò il suo velo sul firmamento, si senti in lontananza risonare una voce aspra e grave:

Eh! Eh! che cos’è quel mormorio e quel bisbiglio là in fondo? — Eh! Eh! chi mi cercherà quel raggio dietro lo montagne? Abbastanza vi scaldaste, abbastanza avete cantato. — Eh! Eh! passate sotto i rami, sotto la verdura, per l’erba, pel fiume! — Ah! Ah! — Andiamo, amo, amo, amo! Andiamo, amo, amo, amo! La voce svanì come il rumore d’un tuono lontano; ma le campane di cristallo si spezzarono con una spaventosa dissonanza. Tutto si tacque e Anselmo vide i tre serpenti brillare e scintillare sotto la verdura e strisciarsi verso l’erba. Essi [p. 16 modifica]si gettarono nel fiume fremendo, e saltando e sulle onde tra le quali scomparvero scintillava una fiamma verdastra che si diresse obbliquamente verso la città e finì col perdersi in fumo.


Note

  1. Knaster, Kanaster, sorta di tabacco fabbricato in America.
  2. Rustico, allocco; soprannome in uso tra gli studenti.
  3. Piccola moneta di Germania, che vale tre soldi.
  4. Antica Opera ridicola del maestro di cappella Rauer.