Racconti (Hoffmann)/Il vaso d'oro/Veglia II

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Veglia II

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E. T. A. Hoffmann - Racconti fantastici (1814)
Traduzione dal tedesco di E. B. (1835)
Veglia II
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VEGLIA II

Come lo studente Anselmo passasse per ubbriaco e per pazzo. — Il tragitto dell’Elba. — Un’aria di bravura del maestro di cappella Graun. — Il liquore stomatico di Corradi, e la mercantessa di pomi dalla faccia di bronzo.


— “Quel signore senza dubbio non ha tutto il suo buon senso” disse una rispettabile borghese, che ritornando dal passeggio colla sua famiglia, si era fermata, e considerava, colle braccia in croce, i salti e gesti stravaganti dello studente Anselmo. In effetto, egli teneva abbracciato il tronco del sambuco, e gridava sempre verso i rami e le foglie. “Oh, una sola volta ancora brillate e mostratevi amabili serpentelli verdedorati; una sola volta ancora lasciatemi [p. 18 modifica]udire le vostre voci cristalline! occhi azzurri sì dolci, guardatemi una volta, una sola volta ancora, o io mi consumerò nel mio dolore e nei miei ardenti desiderj! Indi egli cavava compassionevolmente dal più profondo del suo petto, una gran quantità di sospiri e di gemiti, e scoteva pieno d’impazienza e di bramosìa il tronco del sambuco, che per risposta, non gli rimandava che un romore di foglie sordo e non intelligibile, e sembrava così burlarsi del dolore dello studente Anselmo.

— “Quel signore senza dubbio non ha tutto il suo buon senso, disse la borghese e sembrò ad Anselmo che lo si svegliasse da un sogno profondo, aspergendolo d’acqua fredda. Allora solamente egli vide ov’egli era, e si richiamò che una visione fantastica lo aveva tormentato a segno da parlare ad alta voce a sè stesso. Egli guardò la borghese con aria costernata, levò il suo cappello che era caduto, e volle prender la fuga. In questo tempo, il padre di famiglia era soppravvenuto e dopo aver posto sull’erba il più piccolo dei fanciulli che aveva tra le braccia, si era avvicinato, e [p. 19 modifica]appoggiandosi sul suo bastone, aveva ascoltato e considerato con istupore il povero Anselmo. Egli riprese la pipa e la borsa da tabacco che lo studente aveva lasciati cadere, e consegnandogliele gli disse:

“— Il signore non si lamenti così orribilmente all’ombra, e non si burli della gente quando non gli è accaduta altra disgrazia che quella di vedere un po’ troppo il fondo del suo bicchiere; andate, signore, andate quietamente a casa vostra, e dormite un buon sonno!” — Lo studente Anselmo, oltremodo vergognato per quel discorso, gettò un sospiro lagrimoso, — Ebbene! Ebbene! continuò il borghese, non è gran cosa; avviene lo stesso anche ai più saggi, e il giorno dell’Ascensione si può bene nella gioia del suo cuore ber un bicchiere per la sete futura. Questo è anche da perdonarsi ad un’uomo consacrato a Dio; poichè, o io m’inganno molto, o il signore è un candidato1; ma se il signore vuol permettermelo, io riempirò la mia pipa col suo tabacco; poichè il mio l’ho or ora finito. Lo studente Anselmo era sul punto di [p. 20 modifica]metter via la sua pipa e il suo tabacco, quando il borghese disse quelle parole, e dicendole vuotò lentamente e in aria meditabonda la sua pipa colla punta del suo coltello, mettendosi a riempirla colla stessa lentezza. Molte fanciulle del borgo erano intanto sopravvenute, e parlando sotto voce colla borghese ridevano soffocatamente guardando Anselmo. Il povero studente era sulle spine. Quando gli si rese la sua pipa e il suo tabacco, egli partì correndo. Tutto il meraviglioso ch’egli aveva veduto gli era uscito di capo; solamente egli si ricordava di aver fatti ad alta voce sotto il sambuco mille discorsi stravaganti, cosa che gli era tanto più penosa in quanto ch’egli si sentiva da molto tempo un’avversione profonda per tutti quelli che facevano soliloquii — “È il diavolo che parla per la loro voce”, diceva il suo reggente, ed Anselmo ne era fermamente persuaso; ma esser preso per un candidatus theologiae che si è ubbriacato il giorno dell’Ascensione, oh questo gli era un pensiero insopportabile!

Già egli cambiava strada per arrivare al viale di pioppi che passa davanti il [p. 21 modifica]giardino di Kosel, quando una voce gridò dietro di lui: — Signor Anselmo! signor Anselmo! in nome del cielo, dove correte voi con tanta fretta? — Lo studente si fermò, come se avesse preso radice in terra; poichè egli era persuaso che una nuova disgrazia stava per piovere sopra di lui. La voce si fece udire per la seconda volta: — Signor Anselmo! ritornate indietro; noi vi aspettiamo in riva all’acqua! Allora solamente, Anselmo comprese che era il suo amico, il vicerettore Paulmann, che lo chiamava. Egli ritornò verso l’Elba, e trovò il rettore accompagnato dalle sue due figlie e dal registratore Heerbrand, che si preparavano a montare in una barchetta. Il rettore invitò lo studente a traversar l’Elba con essi, e a passar la sera nella sua casa situata nel sobborgo di Pirna. Lo studente Anselmo accettò volontieri, credendo con ciò di sfuggire al funesto destino che lo inseguiva in quel giorno. Mentre egli attraversava il fiume, sulla riva opposta presso al giardino Antoni si ardeva un fuoco d’artifizio. I razzi scricchiolavano e fischiavano salendo, e le stelle risplendenti scoppiavano in aria [p. 22 modifica]e facevano volare all’intorno dei globi di luce e di fuoco. Lo studente Anselmo assorto nei suoi pensieri, era seduto presso il rematore, ma quando egli vide nell’acqua il riflesso delle scintille e delle fiamme che s’incrociavano e serpeggiavano in aria, gli sembrò che le tre piccole biscie dorate traversassero il fiume. Tutto quello che avea veduto di straordinario sotto il sambuco rientrò subito nella sua mente, e sentì di nuovo quel desiderio ineffabile, quell’incanto appassionato, che poco prima, sotto l’albero, aveva riempito la sua anima di dolore e di voluttà. — “Ahimè! siete voi che rivedo piccoli serpenti dorati; cantate, oh! cantate ancora! io ritroverò nei vostri canti quei begli occhi azzurri... Ahime! siete voi dunque sotto le onde?”

Così gridava lo studente Anselmo, e in ciò dire egli fece uno sforzo violento come se volesse saltare dalla barca nel fiume. — Signore siete voi ossesso? gridò il battelliere, e lo ritenne pel suo vestito. Le fanciulle che erano sedute presso di lui gettarono un grido di terrore, e fuggirono all’altra estremità della barca; il registratore Heerbrand disse qualche [p. 23 modifica]motto all’orecchio del rettore Paulmann, al che questi rispose con più lunghe parole; ma di tutta quella conversazione lo studente Anselmo non comprese che le frasi seguenti: — “Osservate... giammai... simili accessi.” — Subito il vicerettore Paulmann si alzò e venne a sedere con aria di gravità municipale presso allo studente, e gli prese la mano e gli domandò: — “Come state signor Anselmo?” — Lo studente Anselmo, perdette quasi la ragione, poichè nel suo interno sorgeva una contraddizione insensata ch’egli cercava vanamente di dominare. Egli vedeva chiaramente che quello che avea preso per lo splendore dei piccoli serpenti dorati non era che il riflesso del fuoco d’artifizio, ma un sentimento sconosciuto (egli stesso non sapeva se fosse di piacere o di dolore) stringeva convulsivamente il suo petto; e quando il battelliere sbatteva l’acqua col suo remo e questa quasi furente scoppiava, ruggiva e aggiravasi in vortici, egli udiva, egli, sotto la grossa voce del fiume, un mormorio, un ronzio misterioso: — “Anselmo! Anselmo! non vedi tu come noi nuotiamo sempre davanti a [p. 24 modifica]te?... Va, va, la nostra sorella ti guarderà ancora! Credi, credi, credi a noi!” e gli sembrava di vedere in fondo all’acqua tre linee brillanti. Ma quando egli si piegò dolorosamente per vedere se gli amabili occhi si alzassero verso di lui dal seno delle onde, egli vide che quelle liste luminose non erano prodotte che dalle finestre illuminate delle case vicine.

Egli era seduto là silenzioso, e in lotta con sè stesso; ma il vicerettore Paulmann gli disse con più vivacità che la prima volta, — Come state, signor Anselmo? — Lo studente rispose con aria molto abbattuta: — “Ahime! signore e carissimo vicerettore, se voi sapeste le strane cose che ho sognate poco fa cogli occhi aperti, sotto un sambuco presso al muro di recinto del giardino di Link, voi non vi sdegnereste per questa sorte.... per questa specie di assenza di spirito...” — Animo, animo, signor Anselmo, riprese il vicerettore Paulmann, io vi aveva sempre riguardato come un giovane sodo;, ma sognare, sognare cogli occhi aperti, e poi tutto ad un tratto volersi gettare in acqua (perdonatemi), è [p. 25 modifica]proprio cosa degna del cervello guasto d’un pazzo!”

Lo studente Anselmo fu molto addolorato per la durezza dei discorsi del suo amico; quando la figlia maggiore di Paulmann, Veronica, bella e fiorente ragazza di sedici anni, prese la parola e disse: “Ma, mio caro papà, bisogna bene che sia accaduto qualche cosa di strano al signor Anselmo, ed egli senza dubbio ha creduto vegliare quantunque in effetto egli abbia dormito sotto il sambuco; è allora che gli saranno comparse le cose ch’egli crede ancora di vedere.” — “E d’altronde, amabile damigella, onoratissimo vicerettore, disse il registratore Heerbrand, non si può forse, vegliando, cadere in in una specie di sogno? È così che l’altro giorno dopo pranzo prendendo il caffè, in uno di quei momenti d’effervescenza che risultano, a vero dire, da una digestione corporale e intellettuale, io mi ricordai come per ispirazione, il luogo ove era deposto un atto di cancelleria perduto da lungo tempo; ed anche jeri, io ho veduto coi miei occhi, coi miei occhi aperti, un enorme diploma latino scritto in belle lettere a [p. 26 modifica]stampatello ballare davanti a me.” — “Ah! riprese il vicerettore Paulmann; voi avete sempre avuto, onoratissimo signor registratore, una grande inclinazione alla poesia, e per poco che non si reprima, questa passione ricade subito nel fantastico e nel romanzesco.” — Lo studente Anselmo era molto contento di veder prender le sue difese in un momento che egli correva rischio di esser preso per ubbriaco o per pazzo, e, quantunque cominciasse a imbrunire, egli credette osservare per la prima volta che Veronica aveva dei bellissimi occhi di colore turchino carico, senza che, in quel momento il pajo d’occhi maravigliosi ch’egli avea veduti sotto il sambuco venissero a presentarsi alla sua memoria. Bisogna confessarlo, le strane avventure che gli erano accadute sotto il sambuco erano tutto ad un tratto sfuggite allo studente Anselmo; egli si trovò così leggiero, così allegro, che offerse nell’eccesso della sua allegria la mano a Veronica all’uscire dalla barca; infine quando essa gli diede il braccio, egli la condusse con tale destrezza e felicità, che il piede gli sdrucciolò una sola volta; e [p. 27 modifica]quantunque quello fosse il luogo più sporco della strada egli non macchiò che pochissimo l’abito bianco di Veronica. Questo felice cambiamento d’umore nello studente Anselmo non isfuggì al vicerettore Paulmann: ei gli rese la sua amicizia, e lo pregò di perdonargli i discorsi aspri che gli aveva indirizzati. “Sì, aggiunse egli, si trovano degli esempi, di persone ingannate, tormentate, spaventate da simili fantasmi; ma ciò non è che una malattia di corpo, che si guarisce applicando, salva venia, delle sanguisughe dove sapete, come è stato molto ben dimostrato da un dotto morto da poco tempo.” — Lo studente Anselmo non seppe in effetto, se egli fosse stato ubbriaco, preso da un accesso di pazzia o ammalato; in qualunque caso però, le sanguisughe gli sembrarono molto inutili per la ragione che quei pretesi fantasmi erano svaniti, e ch’egli si sentiva sempre più sollevato, a misura ch’ei riusciva a fare mille ed una gentilezza alla bella Veronica. Dopo una leggiera cena si fece come è solito un po’ di musica; e lo studente Anselmo dovette sedersi al piano-forte ed accompagnare Veronica che [p. 28 modifica]cantava. — “Bella signorina, disse il registratore Heerbrand, voi avete una voce pura come il suono d’una campana di cristallo!” — “A Dio non piaccia!” gridò lo studente Anselmo a malgrado suo, ed egli stesso non seppe come; e tutti lo guardarono con sorpresa. — “Campane di cristallo risonano sotto il sambuco maravigliosamente! maravigliosamente!” continuò Anselmo a mezza voce. Veronica gli mise la mano sulla spalla, e disse: “Che dite voi, signor Anselmo?” Sul momento lo studente si trovò nel suo stato ordinario e ricominciò a sonare. Il vicerettore Paulmann lo guardava con aria cupa, ma il registrante Heerbrand mise uno spartito sul leggìo, e cantò stupendamente un’aria di bravura del maestro di Cappella Graun2. Lo studente Anselmo accompagnò molti pezzi ancora; e un duetto fugato ch’egli cantò con Veronica e che era stato composto dal [p. 29 modifica] vicerettore Paulmann stesso, li mise tutti di buon umore. Era già tardi, e il registratore Heerbrand prendeva già la sua canna ed il suo cappello, quando il vicerettore Paulmann si avvicinò a lui con mistero, e gli disse: “Non vorreste voi, degnissimo registratore, parlare voi stesso a quel buon signor Anselmo, di.... — infine — di quello che voi sapete.” — “Con gran piacere!” rispose Heerbrand, e quando tutta la compagnia fu seduta in giro, egli cominciò senz’altri preamboli con queste parole: “Vi è in questa città un vecchio singolarissimo e molto notabile; si dice ch’egli pratica tutte le scienze occulte, ma, come a vero dire, queste tali scienze non esistono, io ritengo piuttosto ch’egli sia un antiquario o un chimico che fa degli esperimenti. Io non voglio parlare che dell’archivista privato Lindhorst. Egli vive, voi lo sapete, molto ritirato nella sua vecchia casa in fondo ad una strada remota, e quando gli affari del suo ufficio non lo occupano, se lo trova o nella sua biblioteca o nel suo laboratorio, ov’egli non lascia entrare nessuno. Tra molti libri rarissimi egli possiede un buon [p. 30 modifica] numero di manoscritti arabi, cofti, ed alcuni anche scritti in maniera singolare e che non appartengono a nessuna lingua conosciuta. Egli vorrebbe farli copiare con cura, e per questo lavoro egli ha bisogno d’un uomo che sappia ben disegnare colla penna, e sia capace di trascrivere coll’inchiostro della China sopra una pergamena tutti quei gerolifici colla più scrupolosa esattezza. Egli fa lavorare sotto la sua sorveglianza, in un appartamento della sua casa, e dà oltre al vitto uno scudo al giorno, e promette anche un bel regalo quando le copie saranno felicemente terminate. Il tempo del lavoro è in tutti i giorni da mezzodì a sei ore, dalle tre alle quattro si pranza e si riposa. Siccome egli ha già tentato questa prova inutilmente con molti giovani, ei si è indirizzato a me, pregandomi di fargli conoscere un abile disegnatore; allora io ho pensato a voi, caro signor Anselmo, poichè io so che voi avete non solo una bonissima mano, ma che fate anche dei bei disegni a penna. Se voi volete dunque, nei tempi disgraziati che corrono, e mentre aspettate di poter ottenere un bel posto, [p. 31 modifica]guadagnare lo scudo da sei franchi al giorno ed il regalo in fine, trovatevi domani al battere del mezzodì presso l’archivista la cui dimora vi è nota. Ma guardate bene dal fare una macchia d’inchiostro; se essa cade sulla copia, egli vi farà ricominciare senza compassione; se è sull’originale, l’archivista è uomo da gettarvi dalla finestra, poichè egli è molto facile ad incollerirsi.„ La proposizione del registratore Heerbrand fu un gran soggetto di gioja per lo studente Anselmo, poichè oltre ch’ei scriveva bene e disegnava assai leggiadramente, egli aveva la passione delle scritture difficili e del lusso calligrafico; egli ringraziò dunque i suoi protettori con franchezza e cordialità, e promise di non mancare all’appuntamento dell’indomani. Durante tutta la notte lo studente Anselmo non vide che scudi da sei franchi, non udì che il loro suono argentino.

Chi vorrebbe farne un delitto al povero diavolo? Ingannato in tutte le sue speranze da una capricciosa fatalità, egli non poteva sussistere che colla più stretta economia, ed era forzato d’interdirsi più d’un piacere che gli sarebbe stato [p. 32 modifica] consigliato dalla sua gioventù. Di bonissima ora egli riunii le sue matite, le sue penne di corvo ed il suo inchiostro della China; poichè, disse, io sfido l’archivista ad averne di migliori. Prima di tutto egli passò in rivista i suoi disegni ed i suoi capilavori di calligrafia, affine di presentarli all’archivista come una prova della sua capacità ad adempiere l’incarico che gli si destinava. Tutto andava il meglio del mondo; una felice stella sembrava proteggerlo; alla prima prova egli legò convenevolmente la sua cravatta, nessuna cucitura si disfece, nessuna maglia si ruppe alle sue calze di seta nera, il suo cappello non cadde nella polvere dopo averlo scopato; tutto andava benissimo. — In somma — a undici ore e mezza precise lo studente Anselmo, in giubba grigio-lucerta ed in calzoni di raso nero, con un rotolo di modelli di scritture e disegni a penna nella sua saccoccia, si trovava già nella strada del Castello, nella bottega di Corradi, e beveva — uno — due bicchieri di liquore stomatico sopraffino; poichè qui, pensava egli battendo sulla sua saccoccia ancor vôta, soneranno presto degli scudi da sei franchi. Malgrado [p. 33 modifica]la lontananza della strada nella quale era situata la vecchia casa dell’archivista Lindhort, lo studente Anselmo era davanti alla porta prima di mezzogiorno. Egli era là a contemplare il gran battitojo di bronzo; ma quando l’ultimo colpo del mezzogiorno sonando all’orologio della chiesa vicina, scoccò potentemente nell’aria, nel momento in cui lo studente Anselmo metteva la mano sul battitoio, il viso di bronzo girando due occhi feroci, dai quali scaturivano delle fiamme azzurrastre si scompose in una maniera orribile e si mise a ridere scricchiolando i denti. Ahimè! era la mercantessa di pomi della Porta-Nera! i suoi denti acuti battevano sotto le sue labbra floscie da cui usciva uno stridore molto simile a quello d’una tabella sbattuta. “Eccoti, pazzo! Tu credevi di entrare, ma tarara! — tarara! — tarara! — Perchè correvi tu tanto? cervello guasto!”

Lo studente Anselmo si ritrasse barcollando; egli voleva appoggiarsi alla porta, ma la sua mano prese il cordone del campanello e tirò; in tutti i cantoni risonò un tintinnìo romoreggiante e composto delle più spaventose dissonanze ed [p. 34 modifica] attraverso a tutta la casa vasta e solitaria risonava come un eco fatale: “Presto, presto tu cadrai nel cristallo!”

Lo studente Anselmo si sentì penetrato d’un orrore secreto che percorse tutta la sua persona come il brivido della febbre. Il cordone del campanello si allungò e si cambiò in un serpente bianco di smisurata grandezza che lo circondò e lo strinse, rinserrando sempre più le sue anella in maniera che le ossa dello studente erano spezzate a briciole, e che il suo sangue scorrendo dalle sue arterie saliva nel corpo diafano del serpente e lo tingeva di rosso. In questa spaventosa ansietà egli volle gridare: — “Uccidimi! uccidimi!” ma non potè cavar dal suo petto che un gemito sordo e inintelligibile. Il serpente drizzò la testa e appoggiò il suo dardo acuto di rame ardente sul petto d’Anselmo. Tutto ad un tratto questi sentì un dolore pungente, la grande arteria del cuore si ruppe; ed Anselmo perdette ogni sentimento.

Quando egli ritornò in sè stesso era steso sul suo povero letto, ma vicino a lui eravi il vicerettore Paulmann che gli diceva: “In nome del cielo! quali stravaganze fate voi dunque, caro signor Anselmo!”

  1. In teologia.
  2. È senza dubbio Carlo Enrico Graun, compositore molto distinto e maestro di cappella di Federico II re di Prussia. Vi sono molti altri del suo istesso nome meno celebri di lui.