Ricordanze della mia vita/Parte prima/XVIII. Pio IX

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XVIII. Pio IX

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Parte prima - XVII. Ritorno al mondo Parte prima - XIX. Il 1847

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XVIII

I popoli che formavano lo Stato della Chiesa erano fra tutti gl’italiani i piú straziati, perché avevano sul collo i preti e gli stranieri. Gli austriaci stavano minacciosi al confine, e dentro seimila svizzeri con altre migliaia di fecciosi ribaldi formavano l’esercito del papa. I preti governavano col codice dei sette peccati mortali: e chi non ha conosciuto il governo dei preti non sa quale sia l’ultima tirannide, la quale oramai è caduta perché Dio e gli uomini erano stanchi di tante scelleratezze codarde. Fin dagli ultimi tempi di Pio VII andava per tutta Europa ed anche fra le mani de’ príncipi un manifesto col quale si dimandava al papa un codice di leggi civili e criminali come l’hanno gli altri popoli, l’amministrazione civile lasciarla in mano ai laici, abolire i tribunali straordinari, instituire un consiglio di stato, licenziare i soldati stranieri, instituire una milizia cittadina. Scoppiata in Francia la rivoluzione di luglio 1830, e poi in Polonia, e nel Belgio, e in altri paesi d’Europa, i popoli di Romagna udendo morto Pio VIII, e la sede pontificale vacante, e fidando nel non intervento e nelle promesse di Francia, levarono il capo nel 1831, e Bologna rovesciò il governo dei preti, e subito le altre cittá, e le Marche e l’Umbria seguirono l’esempio de’ bravi bolognesi. Ma eletto papa un monaco, fra Mauro Cappellari, Gregorio XVI, questi chiamò a soccorso gli austriaci i quali in gran numero occuparono le Romagne; sollevò le plebi ignoranti e fanatiche. Invano si combattè, invano fu stipulata una capitolazione in Ancona: quel moto generoso fu represso col sangue, con la perfidia, cominciò una persecuzione feroce. Le grandi potenze d’Europa, fra le quali anche [p. 153 modifica] l’Austria si messero d’accordo con l’Inghilterra, e fecero presentare al papa un famoso memorandum nel quale lo consigliavano di togliere la cagione di tutti quei commovimenti, di ordinare i municipi, instituire consigli provinciali, far parte ai laici negli uffici dello stato, non permettere abusi, perdonare a chi aveva mancato. E il duro monaco rispose la chiesa governare come buona madre, le leggi e le istituzioni dello stato essere ottime anzi sante; «se i rivoltosi usciranno dalla compressione in cui trovansi, se da le mani dei chierici si togliesse l’autoritá temporale, il papa avrá bisogno d’un Avignone, e i príncipi che dominano la penisola avranno nel centro d’Italia il focolaio d’un incendio che roventerá le loro corone». Aveva ragione, e governò spietato e da ubbriaco.

Nel 1843 fu un altro moto in Romagna, e fu anche oppresso. Nel 1845 ce ne fu un altro anche infelice, cui seguirono arresti e condanne crudeli. Una banda di dugento uomini cercò rifugio in Toscana, dove furono accolti e sovvenuti di ogni cosa. Erano nudi, affranti, addolorati, mettevano pietá in ogni anima gentile, andarono in Livorno dove s’imbarcarono per l’esilio. Era allora in Toscana Massimo d’Azeglio, che al vedere tanta sventura sentí gonfiarsi il cuore, e scrisse un libretto, Gli ultimi casi di Romagna, che fece gran rumore e gran bene. Lo pubblicò in Firenze col suo nome, e non temé i rigori della polizia; e scacciato anch’egli in esilio uscí come in trionfo salutato da tutte le cittá onde passava. Egli diceva al governo del papa dure parole di biasimo, e mentre sosteneva la causa dei popoli diceva dure parole anche ad essi. «E non v’accorgete che cotesti moti sono intempestivi e funesti? Contro la forza soverchiante non si può altrimenti combattere che col coraggio civile, senz’arme, senza violenza, dicendo ad alta voce a tutti quanti quello che si vuole. Se avete ragione, perché vi mettete dal lato del torto usando la violenza? Le cospirazioni segrete, e le levate di armi non servono piú, e fanno gran male al nostro scopo. Leviamo la voce, protestiamo tutti a viso aperto contro le ingiustizie, e noi faremo cadere le armi di mano ai nostri oppressori». [p. 154 modifica]

Stavano cosí le cose quando il 16 giugno 1846 fu fatto papa Giovanni Mastai, che si disse Pio IX; e questi è papa di ventinove anni (1875). Eletto per insigne bontá di animo, non ha mostrato nessuna grandezza di carattere, e pure è stato il primo iniziatore di questo moto che ha trasformato l’Italia, va trasformando l’Europa, e trasformerá tutto il cristianesimo. Gli altri papi non perdonarono mai; egli diede largo perdono, e disse volere governo di giustizia e di amore: gli altri tennero il potere temporale; egli l’ha perduto; dunque o il perdono, la giustizia e l’amore sono cose nocevoli, o quel potere era ingiusto; gli altri se perderono quel potere, lo riacquistarono; lo riacquisterá egli? gli altri lo perderono perché soverchiati dalla forza, e con la forza lo riacquistarono; egli l’ha perduto sopraffatto dalla coscienza generale, e per riaverlo dovrebbe mutare questa coscienza: gli altri che lo perderono per qualche tempo furono scacciati da Roma, e malmenati; egli sta in Roma, onorato, protetto dalle leggi, non piú príncipe ma capo de’ cattolici, e vede stabilito in Roma un governo libero che non trema di lui ma ride e lo lascia parlare, e gli fa carezze come a fanciullo. I papi davano e toglievano i troni, coronavano i re, dettavano leggi al mondo; egli ha perduto il trono, ed è rimasto adagiato su la sedia pontificale, riceve egli la legge, è protetto egli da la legge delle garenzie. Il vicario di Dio, l’infallibile, il re dei re, il papa è diventato un uomo come gli altri, ha perduto l’immenso potere che egli aveva. Chi gliel’ha tolto? Deus dedit, Deus abstulit: e Dio e la coscienza degli uomini che è mutata. Egli voleva come tutti i suoi antecessori essere re, ed essere papa; ed è caduto come re, cadrá ancora come papa. Essendo confuse anche in lui queste due qualitá, non è possibile che caduto il re non tragga seco qualcosa del papa, non è possibile che la caduta del potere temporale non porti seco il decadimento dello spirituale col quale era confuso. Tutto questo adunque e avvenuto per una grande e profonda e generale rivoluzione che si è operata negli animi, la quale non è stata mossa da lui a la stessa guisa che il moto della terra non cominciò da [p. 155 modifica] colui che prima disse: «La terra si move». Se non da lui, da un altro; se non in quell’anno, qualche anno dopo, se non con le buone con le triste la rivoluzione doveva cominciare, aveva camminato a bastanza e dal pensiero doveva passare nell’azione. Egli ne fu l’occasione, e ne avrá lode perché disse quelle solenni parole: perdono, giustizia, amore; le quali mentre furono il cominciamento saranno ancora il fine ultimo e lontano a cui tende la rivoluzione. E quale è il fine cui tende questa rivoluzione? Lo dico in tre parole: sollevare la coscienza umana. E se il papato è stato uno dei piú fieri oppressori della coscienza umana, la rivoluzione deve trasformare il papato e le sue dottrine, anzi deve trasformare proprio il cristianesimo il quale ha fatto il suo tempo nel mondo, ha prodotto i suoi beni ed i suoi mali, ed ora, come tutte le cose umane, deve trasformarsi. «Oh esso è venuto da Dio». Tutte le religioni si dicono venute da Dio, ma esse sono uscite da la coscienza dei popoli e si mutano necessariamente come essa coscienza si muta. Pio IX credette di fare opera di uomo dabbene, ma fece opera di cattivo papa: indi a poco se ne pentí, ma non gli giovò. Se non mosse egli la rivoluzione, neppure poteva frenarla egli. Ma oggi se uno potesse gettare uno sguardo nel fondo fondo dell’animo di questo vecchio papa, che ha perduto il trono, e vede scaduta la fede e il cattolicesimo fieramente assalito, io credo che in quel fondo troverebbe anche lí la rivoluzione, troverebbe l’uomo che si compiace di vedere unita l’Italia che egli un tempo amava e benediceva.

Le amorevoli udienze del nuovo papa, il perdono di tutti i reati politici, le larghezze e riforme che vennero di mano in mano crescendo, sollevarono i romani a grandi e festose allegrezze, e commossero profondamente i popoli italiani e gli altri popoli d’Europa e del mondo. «Che nuovo miracolo è questo, un papa che perdona?» Dissero le genti: «Dunque la libertá non è peccato, come finora si è detto! Dunque i liberali non sono nemici di Cristo, come ci si dava ad intendere!» Questo dunque fu la prima voce della rivoluzione, [p. 156 modifica] che si sentí legittima e Santa, fu la parola che uscí da tutti i cuori, la ripeterono con gioia le moltitudini ignoranti e serve, la ripeterono molti preti e frati. La libertá non è peccato: un filosofo ed un papa l’hanno detto. E perché Dio ne avrebbe messo un desiderio sí grande nel petto degli uomini? «Viva Pio IX» fu la parola che tutti i popoli d’Italia gridarono chiedendo ai loro príncipi migliore governo, e quando i príncipi lanciavano i loro soldati sui popoli inermi, molti morirono dicendo: «Viva Pio IX, viva l’Italia». Io non biasimo quelle grida, quelle feste, ed anche quelle pazzie d’allora, come oggi fanno i savi; anzi io che non gridai «mai viva Pio IX», mi ricordo con compiacenza di tutte quelle manifestazioni di gioia fatte da un popolo lungamente servo, che era il popolo italiano pieno d’affetto e di fantasia, e che pure ebbe il senno di contentarsi di poco; ma come poi s’accorse che quel poco era un inganno, si sdegnò fieramente, e volle quel che volle.

«Pio IX è il vero vicario di Cristo, e il piú grande di tutti i pontefici», dicevano i popoli. «È un giacobino, È un massone», dicevano i príncipi. Nè santo né giacobino; ma un prete che nella prima allegrezza di vedersi eletto papa sentí intenerirsi il cuore, e volle tutti allegri, ma come vide che l’allegria si mutò in rivoluzione, ed ei ci fu avvezzo al papato, si pentí e tornò prete.