Rime varie (Alfieri, 1912)/CLXX. Ad una improvvisatrice

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CLXX. Ad una improvvisatrice

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CLXX. Ad una improvvisatrice
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CLXX.1

Ad una improvvisatrice.

Ed io pure, ancorché dei fervidi anni
Semi-spenta languisca in me la foga;
Io pur la lira, onde alto cor si sfoga,
4 Chieggo, e fremendo sciolgo all’aura i vanni.2

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Quai mi fan forza al cor magici inganni?
Chi un tal poter sul canto mio si arroga? —
Donna, il cui carme gli animi soggioga,
8 Rimar mi fa, benché tai rime io danni.3
Ma immaginoso pöetar robusto
Pregno di affetti tanti odo da lei
11 Scaturirne improvviso e in un venusto,4
Ch’io di splendida palma or mi terrei5
Pe’ suoi versi impensati andarne onusto,
14 Piú ch’io mai speri dai pensati miei.


Note

  1. La persona, a cui è indirizzato questo sonetto, composto il 30 dicembre 1794, è, come risulta dall’autografo, Teresa Bandettini-Landucci, nata a Lucca l’11 agosto 1763. Fu poetessa e ballerina e, in questa doppia qualità, viaggiò per molte città d’Italia, Udine, Ferrara, Venezia, Padova, Verona, Mantova, Pavia, Milano, Roma, dove entrò nel numero delle pastorelle di Arcadia, col nome di Amarillide Etrusca. Carica di allori, volle gustare il piacere di trionfare nella sua città nativa, e qui l’Accademia degli Oscuri tenne una solenne adunanza appositamente per lei, mentre tutta la città le tributava trionfali onoranze e un anonimo poeta scriveva:
    Tu reçus d’Apollon cette divine Lyre
    Dont le doux accord font le charme de nos jours:
    Couvrons la de lauriers... je vois deja sourire
    Muses, graces, amours.
    E, dopo Lucca, Firenze: ma ivi ebbe a soffrire i morsi dell’invidia di Fortunata Sulgher-Fantastici, altra improvvisatrice, e il successo non fu cosí pieno com’ella desiderava e si aspettava. Gli ultimi anni della Bandettini passarono tristi e miseri, ed ella morí a Firenze il 5 aprile 1837. Le seguenti parole, che si leggono in una lettera anonima, forse del dicembre 1794, al Prof. Giovanni Rosini, possono dare un’idea dell’entusiasmo, dirò di piú, del delirio che suscitava questa improvvisatrice, oggi pressoché sconosciuta: «Io sono uscito in questo momento pazzo, fanatico, sorpreso al segno del delirio, dal famoso improvviso. Che piena di bellezze, che cose grandi, inarrivabili, divine che ho sentito ieri sera! mai piú non mi troverò a tanto!» E via di questo passo. Non grande stima credo che avesse del genio della Bandettini l’A., e ritengo il surriferito sonetto piú dettato dal desiderio di essere e di parere cortese, che da un sincero senso di ammirazione verso la poetessa, che egli aveva ascoltata piú volte, l’ultima delle quali in una seduta dell’Accademia Fiorentina, nel dicembre del 1794. (Vegg. l’articolo di Giov. Vannuccini, Una poetessa improvvisatrice della seconda metà del sec. XVIII, in Rass. Naz. del 1-16 agosto 1899).
  2. 4. I vanni, le ale della poesia.
  3. 8. Benché io sia, per massima, contrario (e aveva ragione e dice il perché nel sonetto seguente) alla poesia estemporanea.
  4. 9-11. Quell’anonimo ammiratore della Bandettini scriveva nella medesima lettera sopra citata: «Questa è la piú grande improvvisatrice che io abbia sentito, anche piú del Gianni: ha la vivacità di fantasia com’esso; ha una locuzione, una frase cosí poetica che il suo linguaggio è quello dei Classici; maggior economia d’esso nelle immagini, giacché tu sai che egli era troppo ardito, maggior proprietà nell’epitetare, nel qual genere m’ha sorpreso, giacché tu sai che gl’improvvisatori prendono ordinariamente quello che si presenta, ed essa pare che scelga sempre il piú proprio, il piú conveniente, il piú vero nel soggetto».
  5. 12. Mi terrei, crederei, reputerei.