Satire di Tito Petronio Arbitro/12

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Capitolo duodecimo - Astrologia, e raddoppiamento di cibi

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Petronio Arbitro - Satire (I secolo)
Traduzione dal latino di Vincenzo Lancetti (1863)
Capitolo duodecimo - Astrologia, e raddoppiamento di cibi
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CAPITOLO DODICESIMO

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astrologia, e raddoppiamento di cibi.



Questi ameni discorsi Trimalcione interruppe, perchè le vivande già si eran levate, e i convitati fatti allegri dal vino ponevansi a cianciare sonoramente. Egli adunque rilevatosi sul gomito, bisogna, disse, che voi questo vin confortiate; bisogna che i pesci nuotino. Credete voi forse che io sia contento di quella cena, che avete osservato in quel credenzino? Così conoscete Ulisse? Ma che perciò? ei giova anche tra i cibi trattenersi di filologia.

Ben riposino l’ossa del mio avvocato, che volle ch’io fossi pur uomo tra gli uomini: giacchè nulla può a me portarsi di nuovo; io tengo al par di lui giocondo possesso d’ogni cosa.

Questo cielo, in cui abitano dodici dii, trasformasi in altrettante figure: ora diventa Ariete, onde chiunque nasce sotto quel segno, molti armenti e molta lana possiede: oltre a che ha un capo duro, una fronte che non patisce vergogna, un corno acuto. Moltissimi scolari e becchi nascono in questa costellazione.

Lodando noi l’acutezza del matematico, ei quindi [p. 49 modifica]continuò: in seguito il cielo divien Toro. Nascono allora gli ostinati e i bifolchi, e coloro che sè medesimi mangerebbero. Sotto ai Gemini nascon le coppie, e i bovi, gli steli, e color che lisciano l’una e l’altra parete. Io nacqui nella costellazione del Cancro, ed è perciò che m’innalzo su molti piedi, e che molto possiedo in terra e in mare, perchè il Cancro a questo o a quella conviene: e perciò poc’anzi nulla volli mettergli sopra, onde non macchiare il mio stipite. Il Sollione produce i divoratori e i prepotenti. Vergine produce le donne, i timidi, e gli irresoluti. In Libra nascono macellaj, farmacisti e tutti quei che vendono. Nello Scorpione gli avvelenatori, e i tagliacantoni. In Sagittario i loschi che guardano al gatto, e rubano il lardo. Nel Capricorno gli affannati cui nascono, lor malgrado, le corna. In Acquario, gli osti, e le zucche. Ne’ Pesci i cuochi e i rettorici. Così va il mondo come una ruota, e fa sempre alcun male, sia che nascan gli uomini, sia che si muoiano. Vedeste poi quel cespuglio là in mezzo, e quel favo sopra il cespuglio? Or io nulla faccio senza il suo fine. La madre terra sta in mezzo ritonda a guisa di un uovo e contiene tutte le cose buone, come il favo.

Noi tutti allora lo acclamammo filosofo, e alzate le mani alla soffitta giurammo che Ipparco ed Arato non erano cotali uomini da paragonarsi a lui. In questo mezzo venner valletti, che agli strati sovrapposer coperte, su cui eran reti dipinte, e cacciatori colle aste, e un intero apparecchio di caccia. Non ancor sapevamo che pensarci di ciò, quando fuor dal triclinio alzatosi un gran romore entrarono tutt’a un colpo alcuni cani di Sparta, che intorno pure alla mensa si diedero a correre. Un altro desco tenne lor dietro, sul quale era posto un cignale imberrettato di prima grandezza, da’ cui denti pendevan due cestelli tessuti di palma, un de’ quali colmo di datteri della Siria,1 e l’altro di [p. 50 modifica]datteri della Tebaide. Allo intorno eranvi de’ porcellini fatti di torta, come se fosser lattanti, per significare che il cignal era femmina; e questi pure erano inghirlandati.

Del resto a tagliar il cignale non venne quel Trincia, che avea rotte le altre vivande, ma un gran barbone, colle gambe ne’ borzacchini, e con un abitino di più colori, il quale impugnato il coltello da caccia gli percosse gagliarmente un fianco, dalla cui piaga volaron fuora de’ tordi. Pronti furono colle canne gli uccellatori, che tosto li presero mentre svolazzavano per la sala. Dipoi, avendo Trimalcione fattone dar uno a ciascuno, soggiunse: voi pur vedete come questo porco selvatico hâssi mangiate tutte le ghiande. Allor tosto i donzelli corsero ai cestelli, che pendevan dai denti, e i vari datteri egualmente divisero tra i commensali.

Intanto io, che stavami quasi solo in un canto, mi diedi a pensar seriamente per qual ragiona il cignale fosse col berretto, ma poichè ebbi esaurite tutte le fantasie, determinai di confidare a quel mio interprete ciò che mi affannava. Ed egli: ciò ti spiegherebbe facilmente sino il tuo servo; giacchè qui non ci è enigma, ma cosa chiara. Questo cignale essendo rimasto intatto all’ultima cena di ieri, e dai convitati rimandato, oggi torna al convito come liberto. Io allora condannai il mio stupore, e null’altro richiesi, per non parere di non aver mai cenato con galantuomini.

Tra questi discorsi un bel ragazzo, di viti e d’edera cinto, che or Bromio dicevasi, or Lieo, ora Evio, portò intorno in un panierino delle uve, cantando con voce acutissima le poesie del suo signore: al cui suono voltosi Trimalcione: DIONISIO, gli disse, TU SEI LIBERO. Allora il ragazzo tolse al cignale il berretto, e sul proprio capo lo pose;2 e Trimalcione di nuovo soggiunse: or non negherete, che io non possieda il padre Bacco. Lodammo il motto di Trimalcione, e fecimo assai baci al ragazzo, che venne intorno.



Note

  1. [p. 296 modifica]Molte specie di datteri racconta Plinio, ma quei di Siria e Palestina, e quelli dei deserti di Tebe, cioè dell’Egitto vicini al gran Cairo (illustri presso noi pel romitaggio degli Anacoreti) aveano fama, e l’hanno, di essere i più squisiti.
  2. [p. 296 modifica]Da ciò è derivato, che il cappello e il berretto e i capei lunghi son divenuti insegna di libertà. Perciò (dice il signor Nodot) i primi Franzesi furon detti Comati e Pileati, tosto che ebbero scosso il giogo de’ Romani.