Satiri alla caccia (Sofocle - Romagnoli)/Secondo episodio

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Secondo episodio

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Sofocle - Satiri alla caccia (V secolo a.C.)
Traduzione di Ettore Romagnoli (1926)
Secondo episodio
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SATIRI
Babbo, ora taci? Che ti si diceva?
Lo senti, ora, il rumore? — Oppur sei sordo?
SILENO
Zitto! — Che c’è?
SATIRI
                                   Qui non ci resto!
SILENO
                                                            Resta!
SATIRI
Non sarà mai! Se te la senti, cerca
da te, rintraccia i buoi, béccati l’oro,
e diventa un signore. Io n’ho abbastanza,
e non ci resto, qui, mezzo minuto!

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SILENO
No, non permetterò che te la svigni,
né che desista dall’impresa, avanti
di sapere chi c’è nella spelonca.
SATIRI
.     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .     .     
SILENO
E non si vede un’anima! Alla spiccia
ricorro ai piedi, adesso, e li costringo,
con un diluvio di zampate e calci,
fossero pure sordi, a darmi retta.
Scalcia poderosamente all’uscio, che infine si apre,
e lascia uscire la Ninfa.

CILLENE
Fiere, perché siete venute a questa
contrada erbosa florida boschiva,
con tanti strilli? Che faccenda è questa?
Qual mutamento di costumi! Un tempo,
cinto un vello di daino, e in man recando
il lieve tirso, in bacchico tripudio
circondavate, insieme con le Ninfe
sorelle vostre, il Dio, fra moltitudini
di giovinette. Questa bega d’ora
non la capisco, da che parte ha dato
di volta il tuo cervello, io casco proprio
dalle nuvole. A un tratto ho udito un fischio,
come di cacciatori che s’appressino

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al covil d’una fiera ed ai suoi cuccioli.
*E insieme ho udito un gran parlar di furti
e di bandi; e poi giú, calci a bizzeffe,
strepiti d’ogni sorta accosto all’uscio.
Alla prima, a sentir simili strilli
dovrei pensarvi usciti di cervello*.
SATIRI
Strofe
Altoprecinta Ninfa, tralascia
codeste furie: non qui contese,
non d’una zuffa rechiam l’ambascia:
né motto inospite motto scortese
udrai dal labbro mio, che t’offenda.
Né tu volermi coprir d’ingiurie;
ma invece spiegami questa faccenda:
chi mai de l’antro dalle profonde
latebre il canto divino effonde?
CILLENE
*Queste sí, son parole ragionevoli;
e parlando cosí, potrai convincere
una Ninfa, ben piú che ricorrendo
a prepotenze. A me piacciono poco
il clamore e le risse. Or sii tranquillo,
e dimmi ciò che vuoi proprio sapere*.
SATIRI
O Cillene, o signora potentissima
di questi luoghi, poi ti si dirà

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perché siam giunti qui. Ma questa voce
dicci prima che è, che intorno suona,
e quale col suo mezzo uomo si esprime.
CILLENE
Sia! Ma sappiate che se dopo andrete
a rifischiare quel ch’io vi dirò,
vi tirerete qualche briga addosso.
È un certo affare che lassù fra i Numi
si tien segreto, ché non abbia a giungerne
sentore ad Era. E dunque, un giorno, Giove
venne, e sorprese in questa grotta Atlantide,
e mise a effetto un suo disegno. Atlantide
die’, nello speco, a luce un pargoletto:
ed io lo nutro qui, tra le mie braccia,
ché la sua mamma è fra dolori e morbi.
E notte e giorno sto presso alle fasce,
e lo faccio mangiar bere dormire,
e tutto quel che occorre a un bimbo in culla.
E lui diviene grande e grosso, giorno
per giorno, in guisa ch’io ne maraviglio,
ne trasecolo. Ancor non ha sei giorni,
ed è membruto già, come un fanciullo
nel fior delle sue forze, e spiga fuori,
né mai ristà la crescita. Un tal pargolo
qui sta rinchiuso. E che non fosse agevole
scoprirlo, il padre volle; e il suon che vibra
per nascosto artificio, e ti sgomenta,
in un sol giorno congegnar lo seppe,
d’una bacheca arrovesciata, il bambolo.
In un vaso di gaudio tramutò
un animale spento. E al basso echeggia.

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SATIRI
Antistrofe
Di questa antistrofe rimangono miserrimi avanzi. I Satiri
esprimevano la propria incredulità che da un animale
morto si potesse effondere simile musica.

CILLENE
Incredulo non essere. Vere parole a te volse una Diva!
CORIFEO
Io bermela, che simile voce sia d’una bestia, e neppur viva?
CILLENE
Facci conto! Era muta da viva: tale voce ha dopo morta.
CORIFEO
La forma sua, quale era? Era gibbosa? Era bislunga o corta?
CILLENE
Corta, a foggia di pentola, gobba, di pelle maculata ella era.
CORIFEO
Ed a che si poteva paragonare? A un gatto? A una pantera?
CILLENE
E’ ci corre, ci corre! Rotonda essa era, e avea brevi le gambe.

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CORIFEO
Che somigliava a un topo di Faraone? Somigliava a un gambero?
CILLENE
Pensaci, e trova un altro confronto: questa immagine non torna.
CORIFEO
Che somigliava ad uno scarafaggio dell’Etna con le corna?
CILLENE
Ora t’accosti: a quello simile, presso a poco, avea l’aspetto.
CORIFEO
E di fuori o di dentro sprizzava il suono? Questo non m’hai detto.
CILLENE
*Dal profondo del guscio*: montanina sorella ella è dell’ostriche.
CORIFEO
E quale il nome? Vedi se questo ultimo punto a me dimostri.
CILLENE
Il fanciullo testuggine dicea la bestia, e lira lo strumento.

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CORIFEO
E a chi mai profittava il godimento?
CILLENE
Di otto versi che seguono rimangono miserrimi avanzi
Vi si seguitava a descrivere la costruzione della lira.

E lo strumento, farmaco alla malinconia porge, e conforto
a lui soltanto: ch’egli, levando un canto armonico, delira
per l’allegrezza: tanto lo esalta il tintinnio della sua lira.
Seppe cosí dar voce questo fanciullo a un animale morto!