Scritti sulla storia della astronomia antica - Volume II/XIV. - Sui Parapegmi o Calendari astro-meteorologici degli antichi/IX. - Significato scientifico degli antichi parapegmi; e modo con cui devono essere interpretati

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IX. - Significato scientifico degli antichi parapegmi; e modo con cui devono essere interpretati

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IX. - Significato scientifico degli antichi parapegmi; e modo con cui devono essere interpretati
XIV. - Sui Parapegmi o Calendari astro-meteorologici degli antichi - VIII. - Calendari eclettici; Pseudo-Gemino, Tolomeo; Calendario rustico romano; Claudio Etrusco, Varrone e Columella III. - Appendice - Rassegne bibliografiche, traduzioni
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IX. Significato scientifico degli antichi parapegmi; e modo con cui devono essere interpretati.


Dopo l’esposizione fatta or ora degli antichi parapegmi io temo forte, che il benevole lettore non si mostri troppo edificato di questi saggi della meteorologia primitiva; e può anche darsi che nell’esaminare gli estratti qui sopra riferiti gli tornino alla mente le predizioni del tempo che stanno nella Sibilla Celeste e nel Gran Pescatore di Chiaravalle od in altre simili composizioni, in cui si estrinseca la sapienza meteorologica popolare. Non sarò dunque inopportuno considerare con qualche attenzione il significato che alle episemasie attribuivano i loro autori, e quello che ad esse attribuiva il pubblico di quei tempi.

Io ho già indicato fin da principio (§§ IV e V) le idee fondamentali, che condussero gli osservatori della Grecia ad esplorare con quale ordine si avvicendano le variazioni dell’atmosfera secondo i periodi del Sole e della Luna. Non erano idee intieramente giuste neppure rispetto al Sole, e rispetto alla Luna sappiamo che erano intieramente sbagliate; non si può negare tuttavia che non fossero logiche e plausibili per quei tempi, e il metodo, abbastanza scientifico. Se così non fosse stato non si leggerebbero fra i parapegmatisti nomi di uomini, quali Democrito, Filippo, Eudosso, Ipparco, che tengono i primi onori fra gli antichi indagatori delle cose naturali.

Che le episemasie non fossero inscritte nei parapegmi a capriccio, ma come risultato di lunghe e pazienti osservazioni, è intrinsecamente probabile, e manifestamente indicato dallo stile caratteristico in cui molte fra esse sono enunziate. Ne scelgo alcune, ordinandole per data secondo i giorni numerati progressivamente a partir dal solstizio estivo.

Eudosso, giorno

72.

Piove, tuona: gran vento.
Cesare, »

111.

Venti disordinati: pioggia e tuoni.
Filippo, »

139.

Tempo cattivo: temporale.
Democrito, »

168.

Tuoni e fulmini; per lo più pioggia o vento, o l’uno e l’altro insieme.
Cesare, »

200.

Vento australe forte: sul mare tuoni e pioggerella.
Dositeo, »

226.

Tempo bello: qualche volta vento di ponente.
Eutemone, »

295.

Pioggia con grandine.
Egiziani, »

313.

Maestrale con pioggerella; od austro con tuoni.
Ipparco, »

363.

Combattimento di venti.


Il lettore vedrà subito, che indicazioni così specializzate non possono essere che il risultato di vere ed effettive osservazioni. Si noti ancora l’uso (abbastanza frequente) delle frasi per lo più e qualche volta; si noti l’alternativa posta in certi giorni fra uno stato di cose od un altro stato assai diverso. Questi sono indizi manifesti, che un medesimo osservatore in diversi anni notò per quel medesimo giorno costituzioni diverse d’atmosfera. Il che (sia detto per incidenza) suppone un’attenzione continuata per un certo numero d’anni.

Così stando le cose, sarebbe ridicolo credere, che i grandi osservatori sullodati pubblicassero le loro episemasie come profezie determinanti per l’avvenire lo stato del cielo nei singoli giorni. Se Eutemone, scrivendo sotto il 295° giorno a partir dal solstizio estivo pioggia con grandine, avesse preteso di annunziare la ripetizione annuale di tal fenomeno in quel preciso giorno, il più sciocco contadino avrebbe saputo burlarsi di lui. Lo stesso diciamo del combattimento di venti annunziato da Ipparco sotto il 363° giorno. Essi sapevano quanto noi, che il periodo dei fenomeni atmosferici segue quello del Sole soltanto in modo generale ed approssimativo; le loro notazioni (nè più nè meno che le nostre normali della pressione o della temperatura) erano date come notizia di ciò che era stato osservato in passato, atta a fornire un criterio presuntivo di ciò che poteva aspettarsi por l’avvenire. Su questo non lascia alcun dubbio un notevole passo di Gemino (Elementi d’Astronomia, capo XIV) che mi pare utile riportare testualmente.

«Le predizioni delle episemasie, che si fanno nei parapegmi, non sono determinate da precetti sicuri, nè con arte [p. 279 modifica]metodica, in modo da avere un necessario effetto. Ma in essi s’inscrive quello che risulta per lo più concordare colla quotidiana osservazione. L’osservazione e discussione a ciò relativa suolsi fare come segue. Partendo dal principio dell’anno, e notando giorno per giorno in qual segno ed in qual grado si trovi il Sole, accanto vi si registrano le mutazioni dell’aria, dei venti, le piogge e le grandini. Le quali cose osservando per molti anni, quelle mutazioni che più spesso si notano corrispondere ai medesimi luoghi dello zodiaco, vengono registrate nei parapegmi, non come predizioni desunte da teoria certa, ma come indizio pratico di ciò che prossimamente si può aspettare. E poiché il principio dell’anno non è per tutti il medesimo, nè i mesi hanno gli stessi nomi e lo stesso numero di giorni, non è possibile ordinare il tutto secondo un medesimo sistema di calendario: pertanto vollero determinare le epoche delle mutazioni dell’aria riferendosi a certi segnali invariabili, quali sono il levare e il tramonto degli astri.... Perciò coloro che da principio composero i parapegmi sulle osservazioni, fissati quei luoghi dello zodiaco, a cui corrispondono per lo più certe date vicende dell’atmosfera, ricercarono quali astri si levino o tramontino in quelle epoche.... Manifesto è dunque che le episemasie dei parapegmi sono indicazioni approssimative, non dedotte da alcuna arte, nè legate ad alcuna necessità; ma sono il frutto di continuate osservazioni. Per la qual causa molte volte esse non si verificano. E gli astronomi non sono da accusare di ciò, come (e giustamente) si accuserebbero dell’aver sbagliato nel predire un’eclisse, o la levata di un astro. Tutte le cose infatti, che dipendono da una teoria razionale, possono predirsi od enunciarsi senza errore. Ma dalle episemasie non può derivar lode perfetta, quando sono seguite dall’effetto; nè si deve trarne motivo di accusa, quando non si trovino verificate; questa è infatti una parte dell’Astronomia non soggetta a teoria alcuna».

Nell’introduzione al proprio parapegma descritto nel paragrafo precedente, Tolomeo così si esprime sull’interpretazione delle episemasie. «Abbiamo inscritto le episemasie osservate dagli antichi nei giorni loro corrispondenti del corso del Sole; non già da intendersi come infallibili o tali che debba aspettarsene il pieno adempimento: ma quali per lo più si potrebbero aspettare, se non vi facessero contrasto molte altre cause... Poiché lo stato dell’atmosfera non è solamente regolato sul [p. 280 modifica]corso del Sole, ma concorrono per lo più a determinarlo la Luna ed i cinque pianeti». E Plinio scrive (Hist. Nat., lib. XVIII, cap. 25): Accedit confessa rerum obscuritas, nunc praecurrente, nec paucis diebus, tempestatum significatu, quod προχειμάζειν Graeci vocant, nunc postveniente, quod ἐπιχειμάζειν; et plerumque alias citius, alias tardius cæli effectu ad terram deciduo; vulgo serenitate reddita confectum sidus audimus.

Se pertanto, oltre all’intrinseca probabilità che al verificarsi delle episemasie deriva dall’esser queste il risultato di osservazioni effettive fatte negli identici giorni dell’anno solare, aggiungiamo ancora i larghi limiti di tolleranza, che abbiamo veduto testè concedersi alla loro interpretazione; nessuna maraviglia ci farà il vedere per più secoli nomini di tanto senno scientifico occuparsi a perfezionarle per ridurle a viepiù grande certezza. Meno ancora ci stupiremo della grande popolarità di cui esse godettero per tanto tempo così presso i Greci, come presso i Romani. Il discutere con criterio lucido ed imparziale la verità di una teoria non fu mai cosa da tutti e non lo è neppure adesso; e quando la così detta opinione pubblica ha preso una direzione, storta quanto si voglia, difficile è sempre ricondurla al vero; prova ne sia la fiducia inesplicabile, con cui tante persone di mente sana e di sottile giudizio considerano anche oggi le fasi lunari come indizio delle mutazioni del tempo, e di cento altri fatti della natura.

Senza dubbio alcuno gli antichi parapegmatisti considerarono i fenomeni del levare e del tramonto delle stelle come semplici segnali annunziatori del variare delle stagioni e dell’atmosfera, senza supporre fra gli uni e gli altri alcun nesso causale. Ma l’opinione popolare non si arresta a certe distinzioni, che sembrano così naturali allo scienziato. Il post hoc, ergo propter hoc ebbe sempre una gran parte nella logica degli uomini. Accettate dunque le episemasie come frutto di certa scienza, si venne poco a poco anche a considerarle come effetti dell’influsso degli astri che poco prima eransi levati o avean fatto tramonto la mattina o la sera. A questo deplorabile risultato contribuirono le espressioni più o meno allegoriche impiegate dai poeti nel parlare di tali argomenti. Tutta la poesia greca e latina è piena di allusioni al tale o tale astro, che produce tempeste, pioggia, siccità od altro ancora. Nè diversamente è accaduto nella moderna; abbiamo pur testè udito il Monti descrivere con orrore [p. 281 modifica]

 ....le tenebrose
Nebbie soffiate dal gelato Arturo,

e Parini accusare degli incomodi invernali

Orïon che dal cielo
Declinando imperversa,
E pioggia, e nevi, e gelo
Sopra la terra ottenebrata versa.

Simili espressioni figurate poco a poco vennero prese alla lettera, nè solo dal volgo; mille prove se ne hanno anche presso scrittori di buon criterio. Valga per tutti ancora il naturalista Plinio, che è il primo che mi vien nelle mani (libro II, c. 39). Ut solis natura temperando intelligitur anno, sic reliquorum quoque siderum propria est quibusque vis et ad suam cuique naturam fertilis. Alia sunt in liquorem soluti humoris foecunda, alia concreti in pruinas, aut coacti in nives, aut glaciati in grandines, alia flatus, alia teporis, alia vaporis, alia roris, alia rigoris... Igitur in suo quaeque motu naturam suam exercent, quod manifestum Saturni maxime transitus imbribus faciunt. Nec meantium modo siderum haec vis est, sed multorum etiam adhaerentium cælo, quotiens errantium accessu impulsa aut conjectu radiorum extimulata sunt, qualiter in Suculis sentimus accidere, quas Graeci Hyades ob id pluvio nomine appellant; quin et sua sponte quaedam statisque temporibus, ut Haedorum exortus. Arcturi vero sidus non ferme sine procellosa grandine emergit. Caniculae exortu accendi Solis vapores quis ignorat? cujus sideris effectus amplissimi in terra sentiuntur. Fervent maria exoriente eo, fluctuant in cellis vina, moventur stagna. Canes quidem toto eo spatio maxime in rabiem agi non est dubium.

Ma doveva avvenire di peggio ancora; e ad accrescere la confusione su questo proposito entrò un nuovo elemento. Sotto i successori d’Alessandro la Grecia e l’Oriente vennero a stretto contatto intellettuale; l’Asia, la gran madre d’ogni superstizione, fecondata dal genio ellenico, produsse una scienza ibrida di nuovo genere, l’Astrologia matematica; nella quale con mostruosa combinazione la geometria dei Greci ed i più raffinati calcoli della loro Astronomia servirono a dare apparenza scientifica e razionale alla predizione dell’avvenire. Le vecchie dottrine astrologiche dei Caldei nella loro forma primitiva [p. 282 modifica]erano troppo stupidamente grossolane per ottenere l’applauso degli Occidentali; ma rivestite a nuovo nel modo sopradetto, e ridotte a teorie difficili e complicate, si fecero strada nel mondo greco-romano, e riuscirono a sedurre ben anche uomini di altissimo ingegno, quali l’illustre filosofo Posidonio d’Apamea, e lo stesso Claudio Tolomeo, uno dei primi matematici ed astronomi che abbia veduto il mondo. Ecco in qual modo quest’ultimo nel suo Tetrabiblo (od istituzioni d’Astrologia) spiega quelle proprietà degli astri, che doveano servire a predire, le mutazioni del tempo.

«È stato osservato, che la natura del Sole è di produrre calore, ed anche un poco di siccità. Questo effetto è da noi riconosciuto con molto maggior certezza che per gli astri rimanenti, sia per la grandezza del Sole, sia per l’evidenza delle mutazioni che ne derivano; essendo il suo potere tanto sensibile, quanto più si avvicina alla nostra verticale.

«Ma la Luna per essere tanto più vicina alla Terra, dalla quale escono umide esalazioni, per lo più è umida nei suoi effetti, e rende molli e putridi i corpi a lei soggetti... Ambidue poi, Sole e Luna, come principali fra tutti esercitando il loro effetto anche sulle altre stelle, di queste accrescono o diminuiscono l’influsso.

«Saturno, quando è solo a spiegare la sua potenza, generalmente eccita nell’aria un freddo orrendo, agghiacciante, nebbioso e pestilente; produce cattivo tempo, nuvole dense, caligine; dà gran copia di neve; sul mare è causa di naufragi, tempeste e viaggi difficili; in terra dà inondazioni d’acque, impeto di nembi, grandine e altre simili cose di grave danno agli uomini.

«Giove, quando comanda solo, dà tempo buono e salubre, venti e piogge favorevoli ai terrestri; accelera il corso delle navi, conserva ai fiumi la giusta quantità d’acqua, alle biade dà abbondanza, e simili buoni effetti.

«Marte, quando domina solo, nell’aria produce venti caldi, pestilenti e putrefacienti; dà luogo a fulmini ed incendi. Nel mare sommerge le navi con turbini di vento e folgori; assorbe l’acqua dei fiumi, dissecca le fonti.

«Venere, quando è sola, riempie l’aria di venti temperati, umidi, fecondissimi; dà tempo favorevole e sereno, interrotto solo da piogge opportune. Conduce le navi per prospero corso a sicuro guadagno; riempie gli alvei dei fiumi qual tanto che è necessario. [p. 283 modifica]

«Mercurio, anche quando è dominante, inclina verso le qualità dell’astro che sia con esso ben configurato; del resto dà origine a venti turbolenti ed instabili, eccita la siccità e la mobilità dell’aria, manda tuoni, fulmini e terremoti. Quando tramonta (dopo il Sole) dissecca i fiumi; li riempie quando si leva (prima del Sole).

«Gli effetti di questi astri sono i medesimi, quando si trovino in identiche costituzioni. Ma quando essi si combinano in varie configurazioni sia fra di loro, o col Sole, sia coi segni zodiacali, nasce una commistione dei loro influssi, e una gran varietà di effetti, che sarebbe cosa infinita il voler spiegare tutti partitamente.

«Debbono inoltre tenersi in conto le proprietà naturali non solo dei segni zodiacali, ma ancora delle singole stelle. L’Ariete è generalmente temporalesco e grandinoso; in particolare però i suoi primi gradi chiamano pioggia e vento, quei di mezzo sono temperati; gli ultimi danno gran caldo e pestilenza. Le sue parti settentrionali dànno caldo grave e sono nocive; le parti meridionali sono piuttosto fredde e ghiacciate. — Il Toro generalmente è vario; ma tende un poco al caldo: nelle prime parti, dove sono le Pleiadi, ha influsso turbolento, ventoso e nebuloso; le parti di mezzo sono umide e fredde; le ultime dove sono le Hyadi, si distinguono per effetti ignei di fulmini e lampi. Le parti settentrionali sono temperate; le parti australi, instabili ed incerte. — Anche il segno dei Gemelli è generalmente temperato; nelle prime parti però è umido e nocivo; temperato nelle medie; nelle ultime misto ed incerto. Le parti a settentrione dànno venti e terremoti; le australi siccità e calor grave....».

Ai lettori farò grazia del resto. Quasi tutto questo non bastasse, tutte le stelle fisse, anche fuori dello zodiaco, hanno il loro influsso speciale, che partecipa della natura ora dell’uno, ora dell’altro pianeta: influsso, che poi viene essenzialmente modificato (ed anche può esser distrutto) non solo dalla configurazione delle stelle medesime rispetto al Sole ed ai vari pianeti, ma al pari dell’influsso del Sole e dei pianeti dipende in molta misura dalla posizione che ad ogni momento occupano rispetto all’orizzonte del luogo. Tutti questi influssi poi si diversificano ancora secondo le varie regioni della Terra, ciascuna delle quali è soggetta al particolare impero di questo o quell’altro pianeta, di questo o quell’altro segno zodiacale. [p. 284 modifica]Cosi per esempio l’Italia tutta (salvo la Toscana) è sotto l’impero dell’Ariete e del pianeta Marte; mentre la Toscana, le Gallie e la Spagna dipendono principalmente da Giove e dal Sagittario.

Mentre dunque nella vera e sobria scienza la perfezione delle ricerche consiste nel separare le diverse cause che concorrono ad un effetto complesso, per conoscere la natura di ciascuna di esse e misurare la porzione d’influsso che le spetta; in quest’altra falsa scienza si faceva precisamente tutto il contrario. Si moltiplicavano e si complicavano all’infinito ed in modo assurdo le cause ipotetiche, probabilmente coll’intento nascosto di rendere impossibile una discussione critica alquanto fondata e chiara di ogni singola predizione. Se per esempio fosse vero, che la Luna ha principalmente l’effetto di produrre umidità nell’atmosfera, e che quest’effetto varia secondo le sue fasi, non sarebbe stato difficile a Tolomeo (come non lo fu per i moderni) di venire all’esame della verità di quella supposizione con semplici aggruppamenti statistici. Ma pur troppo il metodo di coordinare un gran numero di osservazioni per farle convergere al giudizio di un dato principio ipotetico non fu mai praticato dai Greci, e neppur conosciuto istintivamente. Essi non seppero mai prendere una media; ogni risultato era giudicato per sè isolatamente, e non sempre con criteri imparziali. In questa impotenza di venire a discussioni comprensive di molti fatti del medesimo ordine sta una delle ragioni principali dell’inferiorità della scienza antica rispetto alla moderna.

I lavori degli antichi parapegmatisti Democrito, Eudosso, Filippo, Ipparco... non sono da giudicare alla medesima stregua, che le aberrazioni poco fa accennate; e non meritano di esser considerati con quella severità, che a taluno piacque dispiegare a loro riguardo. Le loro episemasie sono il frutto di un tentativo infelice, ma logico ed onesto, che quei venerabili uomini fecero con pertinace lavoro di molti anni, nell’intento di penetrare il segreto della legge che domina i venti e le tempeste. I fenomeni pure così complicati degli astri si erano mostrati abbastanza arrendevoli agli sforzi fatti per ottenere una ragionevole spiegazione e un’approssimata predizione: fu dunque esso un errore così riprovevole quello di aver sperato altrettanto dei fenomeni dell’atmosfera? Falso è ancora, che si debbano porre le episemasie a paro colle [p. 285 modifica]predizioni astrologiche. Queste eran fondate su principi affatto arbitrari, o meglio, sull’assenza di ogni principio: mentre le prime derivavano dalla supposizione, che agli effetti così manifesti del Sole dovessero anche corrispondere nella Luna altri effetti. La supposizione era falsa, ma fondata sopra un’analogia abbastanza plausibile, e giustificata anche da certi fenomeni. Lo stesso non può dirsi certamente dei processi ridicoli dell’astrologia, dei quali si è veduto qui sopra un saggio.