Signor, fu mia ventura, e tuo gran dono
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XXII
Signor, fu mia ventura, e tuo gran dono
L’amar Costei, che ad amar te mi trasse:
Costei, che in me la sua bontà ritrasse,
Per farmi a te simil più ch’io non sono.
5Onde in pensar, quanto sei giusto e buono,
Convien che gli occhi riverenti abbasse;
E ch’altro duol più saggio il cor mi passe,
Chiedendo a te del primo duol perdono.
Ch’io so ben, ch’a mio prò di lei son privo,
10Perch’io la segua, e miri a fronte a fronte
Quanto è il suo Bello in te più bello e vivo.
Più allor mie voglie a ben amar fian pronte:
Chè se in quella t’amai qual forte in rivo,
Amerò quella in te qual rivo in fonte.