Sonetti burleschi e realistici dei primi due secoli (1920)/XXV. Anonimi

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XXV. Anonimi

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XXIV. Pieraccio Tedaldi Nota
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XXV

ANONIMI

I

A SER PACE
I tristi effetti del sormontare dei ghibellini.

Lo nome a voi si face, ser Pacino,
ch’avete, e megliorar non si porria;
ché noi vedemo il mondo andare al chino,
4per che la pace non ha segnoria.
In gran boce venuto è ’l ghebellino,
onde la terra ’nabissar dovria,
ché morto e divorato hanno il giardino,
8da poi che venne ne la lor balia.
Còlte ne son le rose e le viuole,
ed èvvi nata cota e correggiuola;
11certo ben credo vi paia peccato.
Maraviglia mi fo, se non vi duole
di quei, che vivon d’imbolio di suola:
14ed han fatto ciascun, di sé, casato.

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II

Ad un prete malèdico.

Non ti bisogna, Giacomon piovano,
al mio parer, apparar a schermire:
ché si ben ti risiè la spada ’n mano,
4ch’a destra ed a sinistra può’colpire.
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III

Contro ser Bonagiunta Orbicciani da Lucca, a cui s’adatta l’apologo
della cornacchia vestita delle penne del pavone.

Di penne di paone e d’altre assai
vistita, la corniglia a corte andao,
ma giá non lasciava per ciò lo crai,
4e a riguardo sempre cornigliao.
Gli ausgelli, che ia sguardár, molto spiai
de le lor penne, ch’essa li furao;
lo furto le ritorna schern’e guai,
8ché ciascun di sua penna la spogliao.
Per te lo dico, novo canzonèro,
che ti vesti le penne del Notaro,
11e vai furando lo detto stranèro.
Si com’gli ausgei la corniglia spogliáro,
spoglieriati per falso menzonèro,
14se fosse vivo, Iacopo notaro.

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IV

Minacce dettate da gelosia d’amore.

Messer Neri Picchin, se mai m’adeschi
quella, di cui son servo ad ogni prova:
per la novella, ch’aggio udita nova
4di questi novi bacialier franceschi,
io son si fatto amico de’ tedeschi,
per lo contasto d’esta biscia bova,
che, quando vuol, vostra valenza mova:
8ch’a questa danza bisogn’è ch’i’treschi.
E, s’io m’inarmo contr’a’ figli Alberti,
lo sol Garin non mostrò valor tanto,
11per cui fuór mille monimenti aperti,
com’io farò, ben mi do questo vanto:
amore e guerra li ne fará certi,
14e la cornacchia, di cui trovo e canto.

V

Le famiglie, che converrebbe cacciar di Toscana, per far che questa abbia pace.

Chi cacciasse di Colle i Tancredeschi,
e di Montepulcian li Cavalieri,
e di Maremma Nel de’ Pannocchieschi,
4e di Massa i Tudin, che son cerrieri;
di Siena i Talomei, mercenar’freschi,
e di Pistoia tutti i Cancellieri,
e di Fiorenza alquanti Popoleschi,
8che nuitarien lo stato volontieri:
Toscana longo tempo riposasse;
Opizzi e Interminei, che son lucchesi,
11fossero de’primai, ch’iddio pagasse;
ed in vai d’Arno punisse i Franzesi!
F questo fusse innanzi, ch’i’ ci andasse
14anco, che Iddio vengiasse tanti offesi!

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VI

I — PROPOSTA
Si lamenta d’una vecchia maliziosa.

Tutto mi strugge l’animo una vecchia
per la malizia, dond’ell’è coperta;
quand’i’la miro, allora mi par certa
4ch’i’ con le’ guardo chi ’l bel viso specchia.
Ell’assomiglia l’altre, come pecchia:
vecchia, ’ntendete, ché m’è maggior perta;
ché tremar fammi e prometter offerta,
8s’i’ scampar posso da le sue orecchia.
A santa Tecchia — me ne raccomando;
ché m’hanno sempre tenuto’n paura
11le vecchie di gran tempo: ma piú questa.
Però ch’è vecchia e prosperosa e desta,
e guata altrui, per sua mala ventura,
14e sa conoscer ciò, ch’uom va pensando.

2 — RISPOSTA

Ma ve n’è un’altra altrettanto molesta.
Mandarti poss’io’l sangue, ’n una secchia,
si, ched i’ l’abbia per le reni aperta,
4di quella vecchia maliziosa sperta,
che sempre farti mal pur s’apparecchia.
Tutto ch’i’credo ch’ella sia parecchia,
e spesse volte con lei si converta,
8d’una, che mai non mi lasciò scoperta
la donna mia veder, tant’è vertecchia.
Il viso attecchia,—quand’i’vo guardando,
11e solo dov’io sia lieva la testa;
Iddio non tem’, e men la sepultura.
Hae anni e mesi vie piú, che le mura
14del Culisèo, e va ad ogni festa,

veleno e fuoco per li occhi gittando. [p. 63 modifica]

VII

Ammonisce i guelfi a fuggire la potenza di Cangrande della Scala.

Guelfi, il gran prence nobil di Sterricco
poi c’ha ’l gran Can raccolto in le sue braccia,
convienvi allontanar, ché con gran traccia
4segui serete presto dal Diatricco.
E chi ci rimarrá tal avrá stricco,
che Morte no i torrá forte coraccia;
ma, come serpi l’un l’altro si straccia,
8si mal messo será qual è piú ricco.
Questa sentenzia vèn da Dio celeste:
ché voi e ’l vostro chiamar re Roberto
11lo mondo avi con crudeltá disperto.
Ma’l santo imperio, c’ha ben l’occhio averto,
vuol dar a’ suoi fedei gioiose feste,
14e farvi in oriente aver gran peste.

VIII

Per la sconfitta dell’esercito della Chiesa sotto Ferrara.

Millitrecento cum trentatri anni,
die quartodecimo e mexe d’avrile,
venne tra l’oche l’anno bixestile,
4che letar pò cum lur duluri e danni;
e de Romagna tuti qui tiranni,
che ’n tradimenti sum gente subtile,
e de Bologna una brigata vile,
8che combater volean cum i alamanni.
La vipera crudele viturioxa
col cane de la Scala ardito e fello
11e l’arma de la croxe furioxa
cossi pelárno l’anserino ocello.
Volesse Deo che stato li fosse
14lo re Zovanni, tra quelle percosse!

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IX

Firenze ha sottomesso Arezzo, e cosí fará d’ogni nemico.

Il lion di Firenze è migliorato,
che lungo tempo è stato in malattia:
or è compiuta la sua signoria,
4merzé chiamando il cavallo sfrenato.
Qual fie la bestia, ch’averá latrato
o ’nver’di lui usata villania,
or s’è tutta adempiuta profezia,
8che Daniello avia profetezzato.
Mira la lupa scorticata e l’orsa,
per che ’l lion le diè tal de la branca,
11ch’altre bestie l’avia messa a la corsa.
Ma, se la profezia non mente o manca,
e’ fará ancora di tanti cuoi borsa,
14che manterrá tutta Toscana franca.
Guárdisi da man manca
chi di dar noia a lui ha fatto fretta,
ché ’n piccol tempo ne fará vendetta.

X

Per la morte di messer Piero de’ Rossi.

Morte, nimica del guelfo verace,
perché ci ha’ tolto si nobil signore,
el qual era per trarci d’ogni errore,
4recandoci vettoria e vera pace?
E sua virtú giammai non fu fallace
anzi fu sempre degna di valore,

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po’ che di Parma usci con grande onore,
cacciandolo il mastino e sir rapace.
Deh dimmi, Morte, perché fatto l’hai?
Non te ne incresce di ferigli el core?
Che merito n’aspetti o che n’arai?
Po’ che spogliato ci hai di tanto onore,
muoviti immantanente, e si n’andrai
a far vendetta, che torni in valore.
Chiamo te per signore:
priego vendetta faccia, che sia chiara,
di questa morte, che c’è tanto amara!

XI

Invoca vendetta contro il tradimento dei veneziani.

Viva il pugliese e ’l còrso e ’l romagnuolo,
Caino e Giuda e Antinòro e Gano,
re Balzanese e Albizzo villano,
4e ’l frate, che ’l mal frutto diè con duolo;
Antipatrès e ’l fratello e ’l figliuolo,
Gicurto e Cassio e Bruto a mano a mano,
Achisse e Tolomeo re egiziano,
8e gli altri rei, che regnar sotto ’l polo;
po’ che Vinegia, donna di leanza,
parti per sé, e pose in su la fetta
11la particella a chi fiori sua danza.
Giustizia, se non muovi a far vendetta
di tal nequizia e laida fallanza,
14cosa non s’atterrá, che s’imprometta.
Ben che non tagli in fretta,
al parer di colui, ch’offeso è stato,
col tempo ciascun torto ha’ dirizzato.

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XII

I vantaggi, che quel trattato di pace ha fruttato ai fiorentini.

San Marco e santa Zita e san Friáno,
i vostri santi, han fatto la vendetta,
col valor de la scala e di Spinetta,
4sopra ’l Battista, di santo Arcolano,
Perugia tien Castel di Borgo in mano:
Firenze Pescia tien serrata e stretta;
ond’hae il perugin piú castellata,
8e ’l fiorentino ha Colle con Buggiano
ed Altopascio, per li pellegrini
ben albergar, che vengon d’oltramonti:
11si che diventon santi, e fiorentini!
E po’ faran molti spedali e ponti;
e’ venizian fien sopra a’ saracini,
14se ’n mar da’ genovesi non son giónti.
Giuòcaci di mispónti
questo corrente e rapido mondaccio,
ché sián presi da lui ad ésca e laccio


XIII

D’un fiiorentino contro i veneziani.

Nati di pescatori, o gente bretta,
o rimasuglio del pian di Ferrara,
o smozzicati dal Schiavo di Bara,
4o gente di palude e di belletta:
com’hai partita grassa e presa eletta!
E a Firenze mia, cui costa cara
di suoi fiorini, per vincer, la gara,
8facesti a le’ la parte in su la fetta.

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Or fostú, com’Pistoia, sua vicina,
o tu fossi tra Padova e Oriaco,
11come tu fitta se’ne la marina!
Io ti fare’ parer la mosca un baco,
e della carne tua fare’ tonnina
14e del tuo propio sangue un largo laco.