Sotto il velame/Il corto andare/II

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Il corto andare - II

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Il corto andare - I Le rovine e il gran veglio - I
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II.


Dante era nel cammino della vita attiva o civile. Fuori del passo della selva, aveva trovato una “piaggia diserta„.1 Nella “diserta piaggia„ lo afferma impedito Beatrice e già volto per paura e già caduto sì basso.2 Se la lonza gli apparisce al cominciar dell’erta, e forse più su il leone (chè il poeta per l’erta continuò, contra la lonza, il suo cammino), e perciò la lupa; all’ultimo, per altro, quando rovinava in basso loco e delle altre bestie non ragiona più, all’ultimo, e perciò di nuovo “nella diserta piaggia„, egli vedeva innanzi sè la lupa. La selva e la lupa, avanti e dietro sè. L’oscurità e la viltà e la nullità della vita, da una parte; l’ingiustizia o malizia dall’altra. In tale condizione si trovò Dante per aver ripreso “via per la piaggia diserta„.

Nel purgatorio egli trova uno che dice di sè:3

               del mondo seppi, e quel valore amai
               al quale ha or ciascun disteso l’arco.

Il “mondo„ è la vita attiva o civile. Invero due strade ha l’uomo, “e del mondo e di Deo„.4 Quella di Deo è il cammino della vita contemplativa, quella del mondo è quello della vita attiva o civile, la quale ci conduce “nel governo del mondo„, [p. 173 modifica]appunto. Il valore è il complesso delle virtù, il cui uso è necessario per quella vita o per quel cammino. Salir su sarebbe prova di valore. “Or va su tu, che sei valente„ dice Belacqua.5 A Dante il suo valore non giovò, ed era ripinto, dalla bestia senza pace, là per la piaggia diserta. Quella bestia gl’impediva la strada del mondo. Ora a Marco Lombardo Dante parla, ripetendo e chiarendo le parole di lui, quelle intorno al mondo e al valore. Dice:

               Lo mondo è ben così tutto diserto
               d’ogni virtute, come tu mi suone.
               e di malizia gravido e coperto.

La piaggia diserta, su cui si avanza a poco a poco la lupa, è dunque il mondo coperto di malizia: malizia o ingiustizia o frode che è la stessa cosa; malizia o cupidità, che tornano alla stessa cosa, come effetto a causa, causa ad effetto. Chi avrebbe potuto sbrattare dal mondo, ossia dal cammino della vita attiva, la malizia, e fare che rifiorissero nel deserto le virtù, che ad essa vita attiva si convengono?

Sono esse le quattro virtù cardinali, tra cui una “ordina noi ad amare e operare dirittura in tutte cose„, un’altra è “conducitrice delle morali virtù„:6 la giustizia e la prudenza. Abbiamo veduto che la prudenza è figurata nella luna tonda, che non nocque a Dante per la selva. La giustizia è figurata in quello da cui la luna riceveva la luce di grazia; nel sole che illuminava il colle, sul mattino di quella notte. Il pianeta [p. 174 modifica]

               che mena dritto altrui per ogni calle

è Dio giustificante,7 Dio che infonde la giustizia, la quale ci ordina “a operare dirittura in tutte cose„, come a dire, ci mena dritti per ogni calle. L’una e l’altra gli uomini hanno bisogno di trovare “quasi architectonice„ nel principe.8 In loro hanno da essere, le due virtù, in modo secondario e quasi amministrativo o esecutivo; ma se non c’è l’architetto, le virtù dei mastri e de’ manovali, per quanto esperti e attenti, non riescono a bene costruire l’edifizio sociale. Dante, nel suo poema e nelle altre opere, esprime molte volte questo concetto, ora chiarendolo dal punto della prudenza, ora da quello della giustizia, e riuscendo sempre al medesimo. Quando egli dice che il mondo deve avere il suo sole,9 che gli faccia vedere la strada, ha di mira la superior prudenza, la prudenza regnativa; quando fa dire a Beatrice che l’alto Enrico10 verrà “a drizzare Italia„, ha di mira quella superior giustizia che si chiama legale; la giustizia che mena dritto o drizza. Tutte e due ha nel pensiero quando fa esporre da Marco Lombardo le vicende dell’anima semplicetta,11 la quale

               di picciol bene in prìa sente sapore;
               quivi s’inganna, e retro ad esso corre,
               se guida o fren non torce suo amore.

La guida è la prudenza del principe; il freno, la [p. 175 modifica]giustizia legale, che fa pure capo al principe. Il freno è la giustizia legale:

               onde convenne legge per fren porre;

la guida è la prudenza regnativa:

               convenne rege aver che discernesse
               della vera cittade almen la torre.

Questo freno e questa guida, nella strada del mondo, non può essere che l’imperatore. Non può essere il papa;

                       però che il pastor che precede
               ruminar può, ma non ha l’unghie fesse;

cioè può meditare le scritture e sanamente intenderle, ma non ha l’uffizio e la virtù di discernere il bene dal male; cioè la prudenza, la prudenza che appartiene all’uso pratico dell’animo:12 ha quanti lumi si vogliano, per la vita spirituale; non ha quello per la vita attiva o civile: tanto che pur esso, difettando del lume, non ha il freno;

               perchè la gente, che sua guida vede
               pure a quel ben ferire, ond’ella è ghiotta,
               di quel si pasce, e più oltre non chiede.

La gente la quale vede che il suo pastore è dominato dalla cupidità e se ne lascia condurre, lo imita. Ora la cupidità contrasta massimamente alla giustizia. Dunque il pastore non ha prudenza regnativa nè la giustizia legale.

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La cupidità contrasta massimamente alla giustizia. Così Dante afferma, dietro Aristotele.13 Togliendo al tutto quella, nulla resta di contrario alla giustizia.14 In verità la cupidità15 è l’avarizia che germina in malizia o ingiustizia. Tolto il mal principio, non ci sarà più il tristo effetto: l’ingiustizia. E l’ingiustizia è la lupa. Ed essa è nella piaggia diserta, nel mondo diserto d’ogni virtù.

Ma verrà un Veltro, che la farà morire. Che altro può essere se non un imperatore? L’imperatore non può avere cupidità “poichè la sua giurisdizione ha confine soltanto con l’oceano„;16 e non può essere cupidità dove non c’è che cosa desiderare. E così il Veltro che è l’opposto della lupa, non ciba terra nè peltro, cioè non cerca, come la cupidità, aliena, siano provincie, siano ricchezze. E così l’imperatore può fare dominante la giustizia, che solo sotto lui è potissima. E con la giustizia la pace. Perchè tra i beni dell’uomo il principale è vivere in pace, e questo opera, più o meglio, la giustizia.17 Or la lupa è senza pace, come quella che è ingiustizia, e opera, quindi, il contrario di giustizia: questa dà, quella toglie la pace. Or non è il Veltro che può rimettere nell’inferno la bestia nemica di pace? E dunque il Veltro è l’imperatore. E la pace egli la vorrà, chè egli ha la virtù contraria alla cupidigia che cerca l’altrui: ha la carità o amore che, spregiando le altre cose tutte, cerca Dio e l’uomo e per conseguenza il ben dell’uomo: [p. 177 modifica]ha insomma quell’amore che drittamente spira, cioè recta dilectio, che si liqua in volontà di bene; il contrario di quella cupidità che si liqua in volontà d’ingiuria o di male. Ha quest’amore l’imperatore; e non il Veltro? Egli ciberà, con sapienza e virtù, amore. E l’imperatore solo può come la giustizia così avere il giudicio sopra gli altri. E il giudicio è atto di sapienza, e la potestà giudiciaria si conviene al Cristo che è la somma sapienza;18 onde tanto è dire che l’imperatore può sol esso avere il giudicio, quanto dire che può sol esso aver la sapienza. E non ha la sapienza il Veltro? Egli, con amore e virtù, ciberà sapienza. E l’imperatore solo può esercitare la giustizia, perchè egli non ha contrarietà nel velle, chè egli vuole, come niun altro, avendo la volontà libera da ogni cupidità; ma non basta: egli non ha contrarietà nel posse, essendo egli il più potente di tutti. E non ha anche il Veltro potenza? Sì; perchè egli ciba sapienza e amore e virtute; e questa virtute è come dire facoltà o potestà.19 Ancora: la lupa ripingeva Dante “là dove il sol tace„; dove non è libero arbitrio; nella selva della servitù. Chi avrebbe liberato Dante da codesto ritorno al servaggio? Intendo, senza mutar cammino. Il Veltro. Ebbene l’imperatore è colui che guarda la libertà degli uomini; la libertà, che è il maggior dono di Dio, la libertà cui avendo, il genere umano è disposto il meglio.20 E il genere umano solo sotto l’impero del Monarca è libero, chè solo allora è per [p. 178 modifica]sè e non per altrui; solo allora si drizzano le “politiae iniquae„. Infine come la lupa è bramosa dell’altrui e ciba terra e metallo, mentre il profetato Veltro è senza cupidità; e come la lupa significa il disordine nell’intelletto e nel volere e nell’appetito, mentre il Veltro è sapiente e bene avvolontato e bene disposto delle potenze della sua anima sensitiva; e come la lupa uccide mentre il Veltro salva; così al modo che la lupa vien dall’inferno, il Veltro viene dal cielo. Non lo chiede al cielo Dante?21

               O ciel, nel cui girar par che si creda
               le condizion di quaggiù trasmutarsi,
               quando verrà per cui questa disceda?

questa, cioè la lupa antica. E non è messo da Dio il “cinquecento diece e cinque„ che vede ancidere la fuia, la quale è una lupa, è la lupa? E stelle portano il tempo del dux, come è messo da Dio: vien dal cielo. Onde si fa molto probabile l’antica spiegazione del verso

               e sua nazion sarà tra feltro e feltro,

che il Laneo, per esempio, interpreta “tra cielo e cielo, ciò vuol dire per constellazione„.

Ora che da Dio sia l’autorità imperiale, e che “quel sommo ufficiale„ che è l’imperatore, sia eletto “da quel consiglio che per tutti provvede, cioè Iddio„, e che il Romano Imperio avesse da Dio “non solamente speziale nascimento, ma speziale processo„; è concetto così noto di Dante, che basta accennarlo.22

Note

  1. Inf. I 29.
  2. Inf. II 62 seg. Purg. XXX 136.
  3. Purg. XVI 47 seg.
  4. ib. 107 seg.
  5. Purg. IV 114.
  6. Conv. IV 17.
  7. Vedi più su «La selva oscura» VII.
  8. Concetto Aristotelico. Vedi Summa 2a 2ae 50, 2; 58, 6.
  9. Purg. XVI 106 segg.
  10. Par. XXX 137.
  11. Purg. XVI 91.
  12. Summa 1a 2ae 102, 6.
  13. De Mon. I 13: iustitiae maxime contrariatur cupiditas.
  14. ib. remota cupiditate omnino, nihil iustitiae restat adversum.
  15. ib. Cupiditas... quaerit aliena.
  16. De Mon ib.
  17. ib. Si tenga presente quel capitolo. Vedi poi Conv. IV, 5.
  18. De Mon. I 15. Vedi Summa 1a 1, 6; 3a 59, 3.
  19. Vedi i moltissimi esempi in Blanc. Anche Dio è chiamato virtù. (Par. XXVI 84 e Conv. III 7).
  20. De Mon. I 14.
  21. Purg. XX 13 segg.
  22. Conv. IV 4 e 5.