Sotto il velame/Le rovine e il gran veglio/I

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Le rovine e il gran veglio - I

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Il corto andare - II Le rovine e il gran veglio - II

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I.


La lupa toglie a Dante il corto andare del bel monte, e Virgilio a lui dichiara:1

               A te convien tenere altro viaggio!

Quest’altro viaggio “per loco eterno„2 abbiamo veduto come cominciò: con la morte.

Dante sebben vivo corporalmente, può entrare nell’inferno, perchè la porta fu lasciata senza serrami dal Redentore. Ogni vivo può entrare, ogni morto deve entrare: nessuno o vivo o morto può uscire, chè ella ha scritto al sommo:

               Lasciate ogni speranza o voi ch’entrate.

Duro è entrare per chi è morto e per chi è vivo: chè una volta entrati, non s’esce più. In vero non da quella porta esce Dante. Ma Virgilio sì, ne esce. No; poichè dove si fa egli incontro a Dante? Nel gran diserto, presso la selva oscura, di qua del [p. 182 modifica]passo; dunque nel limbo. Egli non ha, misticamente, cambiato luogo: nel limbo era, nel limbo è. I morti non tornano in vita.

Dante entra dunque nella porta della Redenzione. Passa l’Acheronte, cioè muore. Se quella porta non era a lui aperta, egli non avrebbe potuto morire quella benefica morte al peccato in generale, al peccato che non può crescere o calare, perchè è il peccato,3 perchè è la morte, perchè è la tenebra. Ma Dante continua a morire, anzi si seppellisce, nel suo viaggio: alla carne o alla concupiscenza, e al veleno cioè alla malizia. C’è anche per queste morti un qualche mezzo che le renda possibili, come la porta disserrata dal Redentore fa possibile quella prima?

Sì: vi sono tre rovine.4 La prima si trova nel cerchio dei lussuriosi, la seconda sopra il cerchio dei violenti, la terza torno torno la bolgia degl’ipocriti. Gli spiriti dei peccatori carnali5

               quando giungon davanti alla ruina,
               quivi le strida, il compianto e il lamento,
               bestemmian quivi la virtù divina.

Così gl’ignavi del vestibolo sono presentati, con [p. 183 modifica]parole quasi uguali, sospiranti e piangenti e guaiolanti, con

               diverse lingue, orribili favelle,
               parole di dolore, accenti d’ira,
               voci alte e fioche e suon di man con elle;

come mai? perchè mai? Perchè passano avanti alla porta senza serrame: si può credere. E il perchè delle strida dei peccatori carnali si può subito indovinare dal perchè dei sospiri e pianti degli sciaurati. La Redenzione fu in vano per gli uni e per gli altri.

Ma come la Redenzione può essere significata dalla ruina, al modo che è espressa dalla porta infranta? Per scendere dagli spaldi della città roggia al primo dei cerchietti, che è della violenza, Dante con Virgilio prende6

                         via giù per lo scarco
               di quelle pietre che spesso moviensi
               sotto i suoi piedi per lo nuovo carco.

Era una rovina anche quella.7

               Era lo loco, ove a scender la riva
               venimmo, alpestro...
               
               Qual è quella ruina, che nel fianco
               di qua da Trento l’Adice percosse
               . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
               
               cotal di quel burrato era la scesa,
               e in su la punta della rotta lacca...

Era una rovina; chè a Dante pensoso dice Virgilio:8

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                                                  tu pensi
                              forse a questa rovina...

e ne dà la spiegazione, così. Quand’esso discese la prima volta nel basso inferno quella roccia era intera. Poco prima

               che venisse Colui, che la gran preda
               levò a Dite del cerchio superno,
               
               da tutte parti l’alta valle feda
               tremò sì, ch’io pensai che l’universo
               sentisse amor, per lo quale è chi creda
               
               più volte il mondo in Caos converso:
               ed in quel punto questa vecchia roccia
               qui ed altrove tal fece riverso.

Altrove: cioè nel cerchio dei lussuriosi. Altro Virgilio non sa nè può sapere, e anche della ruina prima non si rende ragione se non ora, veduta la ruina seconda. Ora, dunque, se ne rende ragione. Alla morte del Redentore l’inferno tremò. Parve venuto il caos, che è prodotto dall’amore degli elementi simili per i loro simili. Parve che l’inferno si annullasse in una rovina totale. Così come la morte del Redentore spezzava la porta dell’abisso, frangeva e colmava l’abisso. Or come il disserrar della porta significa la liberazione del peccato originale, questo rovinar delle roccie significherà la liberazione del peccato attuale. Ma come la porta fu per molti o per i più infranta in vano, così la roccia fu per molti o per i più invano rotta. Onde il lamento e le bestemmie dei peccatori carnali avanti la ruina, come degl’ignavi avanti la porta.

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Ma vi è una terza rovina. È in Malebolge. Malacoda lo dice, e dice anche il tempo della rottura:9

                                                              giace
                    tutto spezzato al fondo l’arco sesto
                    . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
                    Ier, più oltre cinqu’ore che quest’otta,
                    mille dugento con sessanta sei
                    anni compiè che qui la via fu rotta.

Anche questa rovina fu dunque causata dal medesimo terremoto, che l’altra, cioè le altre. Ma se per questo il diavolo dice il vero, non dice il vero in altro. Chè, come quegli che è bugiardo e padre di menzogna,10 fa credere a Virgilio che uno dei ponticelli della bolgia sia intero: il che Virgilio non trova. Dice a lui in vero uno degl’ipocriti della bolgia sesta:11

                                           più che tu non speri
               s’appressa un sasso, che dalla gran cerchia
               si muove, e varca tutti i vallon feri;
               
               salvo che a questo è rotto e nol coperchia:
               montar potrete su per la ruina,
               che giace in costa e nel fondo soperchia.

Una cerchia dunque di scogli fa ponte tra bolgia e bolgia, girando su tutte e dieci, salvo ch’ella è interrotta nella bolgia sesta, che è quella degl’ipocriti, dove è crocifisso Caifas.

Sono dunque tre rovine: la prima tra il limbo ed il primo cerchio degl’incontinenti; la seconda tra [p. 186 modifica]gli spaldi di Dite e il cerchietto dei violenti: una terza nel cerchietto secondo, che è dei fraudolenti, dei fraudolenti in chi fidanza non imborsa. Dunque la prima è in un cerchio d’incontinenza, la seconda in un cerchio di malizia con forza o violenza o bestialità, la terza in un cerchio di malizia con frode. Dunque le tre rovine rispondono alle tre disposizioni che il ciel non vuole e percio alle tre fiere che queste raffigurano. E tanto più rispondono, in quanto che esse rovine, sono nel primo dei cerchi dell’incontinenza, a capo dell’unico cerchio di bestialità, nel primo dei due cerchietti di frode.

E di questo cerchietto primo di frode, la rovina è pure, per così dire, a capo; perchè la bolgia sesta, in cui ella si trova, è la bolgia precipua delle dieci. Ciò per tre indizi: perchè vi è crocifisso Caifas, l’ipocrita giudice del Cristo; e così la bolgia risponde al luogo proprio dove è punito il traditore del Cristo; cioè, alla bocca di Lucifero; perchè nell’enumerazione che Virgilio fa dei peccati di Malebolge, l’ipocrisia, che è il peccato della sesta bolgia, è prima:12

               onde nel cerchio secondo s’annida
               
               ipocrisia, lusinghe e chi affattura,
               falsità ladroneccio e simonia,
               ruffian, baratti e simile lordura:

infine perchè, a proposito di questa bolgia, si fa sperimento della natura del diavolo che è

               bugiardo e padre di menzogna.

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In verità bugia è il nocciolo della frode; e la prima bugia del diavolo fu la causa della dannazione del genere umano; sì che la bugia domina tutta quest’ultima parte dell’inferno, che ha a capo Gerione, il serpe cioè l’invidia infernale; in fondo, Lucifero, la infernale superbia. E si veda, come, raccogliendo i frammenti che il poeta ha sparso del suo pensiero, questo pensiero si mostri forte ed esatto. Il primo peccato, che è di superbia, dell’angelo pravo il quale alzò le ciglia contro il Signore, fu poi seguìto da un altro, che è d’invidia, col quale indusse Adamo o il genere umano al peccato; e quest’ultimo peccato poi si espiò dal Cristo che in sè l’accolse e punì. I primi due peccati dell’angelo sono dunque la causa della morte dell’uomo Dio, come la colpa è la causa della pena, e l’ingiuria della vendetta. Essi condussero, mediante il disobbedire dei primi parenti, al peccato di Giuda e a quello di Caifas, chè Giuda e Caifas furono i rei e volontari strumenti precipui della pena e della vendetta, che l’innocente Dio scontò in sè per redimere il reo Adamo. Or Giuda è maciullato nella bocca di Lucifero, e Caifas è crocifisso nella bolgia degli ipocriti. E poichè l’ipocrisia o la bugia e la menzogna sono l’elemento precipuo del peccato del diavolo contro Adamo, e Lucifero è il peccato stesso del primo angelo contro Dio, e l’un peccato e l’altro sono tra loro connessi, chè Lucifero “fu superbo e perciò invido„;13 noi vediamo che Dante pone l’espiazione del Cristo come ombra, per così dire, gettata dalla ribellione [p. 188 modifica]dell’angelo, e che fa il peccato pena del peccato; e che, quando ci persuadessimo che il peccato di Caifas si riduce a invidia e quello di Giuda a superbia, questa pena è data da un peccato simile e identico: superbia punisce superbia, e invidia, invidia.

La seconda e la terza rovina sono a Dante via nel suo cammino oltremondano.

               Era lo loco, ove a scender la riva
               venimmo, alpestro...
               cotal di quel burrato era la scesa.
               
               . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
               Così prendemmo via giù per lo scarco
               di quelle pietre...14

Questo per la seconda rovina. Per la terza:15

               Montar potrete su per la ruina
               che giace in costa e nel fondo soperchia.
               . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
                                      levando me su ver la cima
               
               d’un ronchione, avvisava un’altra scheggia,
               dicendo: sopra quella poi t’aggrappa;
               ma tenta pria se è tal ch’ella ti reggia.

Insomma Dante aiutato da Virgilio sale su faticosamente “di chiappa in chiappa„. È ragionevole indurre che anche per la prima rovina Dante prendesse via, nello scendere dal limbo al secondo cerchio; e che Dante non lo dica ma voglia che s’intenda, per quell’intenzione del suo stile di spiegar le cose a poco a poco, come egli stesso finge di conoscerle [p. 189 modifica]o capirle a poco a poco. E per la seconda scende non agevolmente, chè alpestro era il luogo e simile a frana orribile; e le pietre spesso movevansi sotto i suoi piedi. Il montar per la terza è poi più difficile ancora: Dante ha bisogno dell’aiuto di Virgilio, e se non era che lo “scarco„ delle pietre faceva un rialzo nel fondo della bolgia, e che l’argine al quale saliva, era più basso, perchè Malebolge pende verso il bassissimo pozzo, sì che il tratto da salire era ivi più corto; egli sarebbe ben vinto.16 C’è dunque una gradazione di malagevolezza dalla seconda alla terza rovina. Or se Dante è disceso dal limbo al secondo cerchio per la via della prima rovina, si comprende chiaramente che questa via era meno difficile di quella tra il sesto cerchio e il settimo. In vero Dante non ci racconta la fatica o pericolo ch’egli provasse o corresse in quella scesa; e Minos a lui grida:17

               non t’inganni l’ampiezza dell’entrare.

Ora s’egli era entrato per la rovina, Minos accennerebbe che questa rovina, essendo ampia, dava facile e quasi insensibile la discesa. E accennerebbe anche che era grande, questa rovina, più delle altre. E poichè le tre rovine sono opera del tremuoto che avvenne alla morte del Redentore, si conclude che più grande rovina e più ampia avvenne in questo punto che negli altri due.

Ma, con le rovine, la morte del Redentore causò nell’inferno altro sconquasso: la rottura della [p. 190 modifica]porta.18 Quella rottura significa tre cose: che il genere umano fu redento, ossia che fu liberato il volere e riaperta la fonte del meritare; che vana fu per molti o per i più la Redenzione, sì che molti o i più devono nell’inferno patire il grave dolore, peggior d’ogni tormento, di vedere d’aver facilmente potuto, e non poter più, salvarsi; che, per la Redenzione, chi vuole, fin che è corporalmente vivo, può fare quello che il Redentore, scendere com’esso per salire, e morire per vivere. Le rovine hanno lo stesso significato? Sì. Per il primo punto, osservo che le rovine furono causate dal tremuoto, dirò così, della redenzione: da quel tremuoto che si rinnova, a figurare l’antico, nel passaggio che Dante fa dell’Acheronte; per il secondo, che i peccator carnali19

               quando giungon davanti alla ruina,
               quivi le strida, il compianto e il lamento,
               bestemmian quivi la virtù divina;

quanto al terzo, che Dante scende probabilmente per la prima rovina; e prende via certamente per la seconda e per la terza; come è entrato dalla porta senza serrame.

Note

  1. Inf. I 91.
  2. ib. 114.
  3. Summa 1a 2ae 82, 4. Il peccato originale non recepit plus et minus, ut mors et tenebra.
  4. Devo molto, per questo studio e per altro, all’acuto ed elegante ingegno di Raffaello Fornaciari, il quale è pur debitore, come esso afferma, a Luigi Bennassuti, uomo che nel miro gurge dantesco vide assai chiaro. Non noterò qua e là dove mi allontano dall’uno e dall’altro; rimando il lettore a tutto quel mirabile studio del Fornaciari, compreso negli «Studi su Dante, Milano 1883» sotto il titolo «La Ruina di Dante» (p. 31-45).
  5. Inf. V 34 segg.
  6. Inf. XII 28 segg.
  7. ib 1 segg.
  8. ib 31 segg.
  9. Inf. XXI 107 segg.
  10. Inf. XXIII 144. Giova ricordare che Giamboni, attraverso il francese di Brunetto, traduce in «bugia» la fraus di Cicerone.
  11. Inf. XXXIII 133 segg.
  12. Inf. XI 57 segg.
  13. Aur. Aug. de civ. D. XIV II. Cfr. Inf. I 111, Par. IX 129.
  14. Inf. XII 1 seg. 10, 28 seg.
  15. Inf. XXIII 137 seg. XXIV 27 segg.
  16. Inf. XXIV 35 segg.
  17. Inf. V 20.
  18. «Esalò lo spirito... e la terra si mosse e le pietre si spaccarono e i sepolcri si aprirono, e molti corpi di santi che s’erano addormiti, sorsero. E uscendo dai sepolcri dopo la risurrezione di lui, vennero nella santa città, e apparirono a molti». Matth. XXVII.
  19. Inf. V 34 segg.