Sotto il velame/La selva oscura/IV

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La Selva Oscura - IV

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La selva oscura - III La selva oscura - V
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IV.


Dante, come abbiamo veduto, era colpevole, nel cospetto di Beatrice, di cosa che sarebbe stata scusabile con l’età adolescente, se egli già non avesse avuto barba, e non fosse stato

               nel mezzo del cammin di nostra vita.

Nel mezzo del cammino era quando si ritrovò nella selva, e nemmeno quando entrò nella selva era proprio adolescente; pure e Beatrice rimproverando ed esso ripetendo parlano, per ciò almeno che si riferisce all’error nella selva, di blande dilettazioni proprie dell’adolescenza, di oblìo proprio del tempo in cui l’anima intende al crescere e all’abbellire del corpo, d’inganni dell’anima che ancora semplicetta corre dietro al bene che assaporò. Perchè, domandiamo ora, l’anima per queste dilettazioni, per questo oblìo, per questi inganni viene a trovarsi in una selva oscura? perchè oscura, codesta selva? Perchè, risponde Dante stesso nel Convivio1, “infino a quel tempo (al venticinquesimo anno)... non puote [p. 21 modifica]perfettamente la razional parte discernere„. Come nella valle d’abisso, perchè era oscura, profonda e nebulosa, Dante, per guardare che facesse, “non vi discerneva„ nulla2, così poco o nulla egli discerneva nella selva, perchè era oscura, selvaggia e aspra e forte. Anche forte, sì, che può valere difficile a comprendersi e a vedersi, come nell’espressioni comento forte ed enigma forte.3

La razional parte dell’anima dunque non discerneva. Dante, sebbene non più adolescente e molto meno fanciullo, sì quando entrò nella selva, sì, e più, per il tempo che vi si aggirò, era tuttavia come un fanciullo. Egli in vero distingue nel Convivio la puerizia d’animo da quella d’età; e così ne ragiona:4 “La maggior parte degli uomini vivono secondo senso, e non secondo ragione, a guisa di pargoli; e questi cotali non conoscono le cose se non semplicemente di fuori, e la loro bontade, la quale a debito fine è ordinata, non veggiono, perocc’hanno chiusi gli occhi della ragione, li quali passano a vedere quello... „ E Dante era come la maggior parte degli uomini, allora. Non lo rimprovera Beatrice di questo, domandandogli, 5

               E quali agevolezze, o quali avanzi
               nella fronte degli altri si mostraro,
               per che dovessi lor passeggiare anzi?

[p. 22 modifica]Non è questo un biasimo al suo non conoscer le cose “se non semplicemente di fuori„? E la sua risposta, che conferma i rimproveri di Beatrice che pur s’assommano in quel seguir imagini false di bene, e che assomma tutte le sue colpe, la sua risposta

                                            le presenti cose
               col falso lor piacer volser miei passi,6

non è un confessare di aver avuti chiusi gli occhi della ragione e non aver conosciute le cose se non di fuori? Ed egli stava

               quali i fanciulli vergognando muti,
               con gli occhi a terra;7

mostrando così d’essere stato non più che un pargolo, quando Beatrice gl’intima: Alza la barba! E tutta la vergogna, che domina nel ripentire di Dante, che gli grava la fronte,8 e che Beatrice eccita in lui ancor più, e che all’ultimo lo rende muto, e gli fa tener fermi a terra gli occhi, la vergogna, che nelle donne e nei giovani “è buona e laudabile„ e “non è laudabile nè sta bene ne’ vecchi„,9 non mostra ella che si tratta d’una puerizia d’animo, se non d’età?

E questa puerizia d’uomo che era nel mezzo del cammin della vita, non è, tutt’insieme, non ostante l’acerbo rimbrotto di Beatrice e la vergogna di Dante, così strana e imperdonabile in lui. Perchè, giova ripetere, se non allora quando si stava muto [p. 23 modifica]vergognando avanti Beatrice, almeno quando aveva volti i passi verso imagini false di bene, era adolescente, o almeno per tale era riconosciuto e si riconosceva. In vero il suo soverchio dilettarsi della vista della donna gentile, che avvenne più d’un anno dopo la morte della gentilissima, quando, cioè, Dante era da più d’un anno uscito di adolescenza, egli vuole che sia inteso come inganno d’adolescente; chè dice nel Convivio che “in quella„ cioè nella Vita Nuova “dinanzi all’entrata di sua gioventute„ parlò; e “altro si conviene e dire e operare a un’etade, che ad altra„.10 Nel fatto, è assai probabile che Dante volendo i suoi sentimenti e i suoi pensamenti collocare nell’ordine generale delle cose, pareggiasse, come ho detto sopra, i fatti e gli anni per fare della sua cronaca la storia dell’uomo. Così in lui Beatrice rimprovera, per quel che riguarda lo smarrimento nella selva, l’adolescente che non discerne anche quando dovrebbe discernere e quando tuttavia per solito si vede che non discerne. Ma se il fatto è solito e non mirabile, è pur sempre degno di riprensione e di vergogna; e Dante col primo verso del poema sacro esprime la sua confusione, e pare si vergogni che esso, in particolare, aspettasse troppo più tempo che non si soglia:

               nel mezzo del cammin di nostra vita!

Bene: questo manco di discrezione, o, come si dice ora, discernimento, che è? Dice Dante:11 “Lo più bello ramo che dalla radice razionale consurga si è la discrezione. Chè, siccome dice Tommaso sopra [p. 24 modifica]al prologo dell’Etica, conoscere l’ordine d’una cosa ad altra, è proprio atto di ragione; e questa è discrezione„. Chi questo ordine non conosce, è come pargolo; chè essi “non conoscono le cose se non semplicemente di fuori, e la loro bontade, la quale a debito fine è ordinata, non veggiono„.12 Chi manca di discrezione, vive, a guisa di pargoli, “secondo senso e non secondo ragione„, vive come se avesse la sola potenza sensitiva dell’anima. Nell’adolescenza, così è: quel bello ramo non è ancora sorto o almeno non è ancora fiorito. Dante esprime questo pensiero qua e là: due luoghi già riportai, e in tutti e due si ricorre all’imagine del traviare. Leggiamo:

               Se il mondo presente disvia,
               in voi è la cagione
               . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . . .
               Esce di mano a lui, che la vagheggia
               prima che sia, a guisa di fanciulla
               che piangendo e ridendo pargoleggia,
               
               l’anima semplicetta che sa nulla,
               salvo che, mossa da lieto fattore,
               volentier torna a ciò che la trastulla.
               
               Di picciol bene in pria sente sapore;
               quivi s’inganna, e retro ad esso corre,
               se guida o fren non torce suo amore.
               
               Onde convenne legge per fren porre;
               convenne rege aver, che discernesse
               della vera cittade almen la torre.13

Ricordiamo ora qui che nel de Monarchia lo imperatore è dichiarato necessario, perchè “le [p. 25 modifica]volontà dei mortali, per via de’ lusinghevoli diletti dell’adolescenza, hanno bisogno di chi le diriga„.14 Per quel meraviglioso unificatore che è Dante, tutto il mondo umano ha, in certo modo, un’anima sola, e quest’anima, finchè ha sola la potenza sensitiva, deve avere chi discerna per lei, che ancora non sa: il re, l’imperatore. Se no, ella s’inganna, e quest’inganno fa disviare per sempre il mondo che diventa

               di malizia gravido e coperto.15

E dell’anima in particolare de’ singoli uomini, dice il medesimo:16 “Dà... la buona natura a questa etade (l’adolescenza) quattro cose necessarie all’entrare nella città del ben vivere (la vera cittade). La prima si è obbedienza... È dunque da sapere, che siccome quelli che mai non fosse stato in una città, non saprebbe tenere le vie senza insegnamento di colui che l’ha usate, così l’adolescente ch’entra nella selva erronea di questa vita, non saprebbe tenere il buon cammino, se dalli suoi maggiori non gli fosse mostrato. Nè il mostrare varrebbe, se alli loro comandamenti non fosse obbediente; e però fu a questa età necessaria l’obbedienza„. Non ai suoi maggiori, ma a Beatrice disubbidì Dante, quando l’anima sua ancora non discerneva; le disubbidì, dopo che per alcun tempo ella coi suoi occhi giovinetti l’avea menato in dritta parte volto, le disubbidì, quando ella lo rivocava in sogno o altrimenti. E necessariamente entrò ed errò nella selva, perchè, non avendo discrezione, non poteva, senza obbedire a qualcuno, tenere il buon cammino.


Note

  1. Con. IV 24.
  2. Inf. IV 10.
  3. Conv. I 4; Purg. XXXIII 50. E aggiungi Canz. Voi che intendendo, stanza ultima: Tanto lor parli faticosa e forte. Della selva è detto forte come a dire inestricabile; pur nel senso figurato, vale, mi pare, che difficilmente uno ci si ritrova, per uscirne, chè non vede e non intende.
  4. Conv. I 4.
  5. Purg. XXXI 28 segg.
  6. Purg. XXXI 34 seg.
  7. Purg. ib. 64 seg.
  8. Purg. XXX 78.
  9. Conv. IV 19.
  10. Conv. I 1.
  11. Conv. IV 8.
  12. Vedi sopra.
  13. Purg. XVI 82.
  14. De Mon. I 17.
  15. Purg. XVI 60.
  16. Conv. IV 24