Sotto il velame/Le tre fiere/IX

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Le tre fiere - IX

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Le tre fiere - VIII Il corto andare - I
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IX.


Come la lonza è concupiscenza in atto e tristizia in potenza, così la lupa è avarizia in principio e frode in effetto. Il che ci è mostrato dal Poeta con sue parole, quando a papa Niccolò cupido e perciò simoniaco e quindi punito tra i fraudolenti, egli grida:1

                         la vostra avarizia il mondo attrista
             calcando i buoni e sollevando i pravi.

Non è certo punito quel papa che per mal tenere. L’avarizia di lui era diventata peggior male; come è facile che divenga in tutti, poichè ella da sè ha già qualche cosa d’ingiusto. Tuttavia spesso rimane un mal tenere e, aggiungiamo, un mal dare. E allora [p. 156 modifica]ella è colpa, come più lieve, così più vituperosa. Gli avari e prodighi semplici rassomigliano in vero agl’ignavi del vestibolo e ai tristi del brago: sono bruni a ogni conoscenza: di loro non si fa nome. E così a me pare che, anche per questa ragione, il proprio nome della lupa sia frode e non avarizia; perchè anche la lonza è concupiscenza e non tristizia. Il senso precipuo e dominante delle due fiere è dato, mi pare, nell’una dal suo principio, nell’altra dal suo effetto; perchè nell’una e nell’altra la tristizia è innominabile e inconoscibile; e la tristizia della prima è effetto, e della seconda causa. Ora questa causa della frode è detta sì, e l’abbiamo veduto, avarizia; ma ha, e l’abbiamo pur veduto, un altro nome: cupidità o cupidigia. Si può anzi dire che questo nome non si dà mai all’avarizia che resta avarizia cioè mal tenere e mal dare. Cupidità è sempre l’avarizia germinante in colpa maggiore. Cupido è papa Niccolò, che è tra i simoniaci;2 cupide sono le vele del nuovo Pilato, che non è certo reo di solo mal tenere;3 cupido è l’occhio della meretrice, la quale in senso proprio è almeno almeno come Taida che non rotola pesi ma è attuffata nello sterco.4 Cupidigia è quella di Alberto Tedesco e di suo padre;5 e anch’essa non è quell’avarizia, certo, che fa sozzi in vita e bruni in morte. E in fine la cupidigia è un pelago in cui s’affondano i mortali,6 e la cupidità è quella che “si liqua„ nell’iniqua volontà.7 Inoltre è detta cieca, nel cominciarsi a parlar de’ violenti,8 [p. 157 modifica]e cieca, a proposito degl’italiani non disposti ad accogliere l’alto Enrico;9 e mala,10 a proposito dei cristiani che non si lasciano guidare dal vecchio e nuovo testamento e dal pastor della chiesa. Da tutti questi luoghi si rileva che la cupidigia è bensì peggiore dell’avarizia che resta avarizia, e tuttavia che anch’essa è un principio di male, non il male stesso. In verità Beatrice ne parla ragionando delle prime tendenze dell’animo e dello sviarsi dell’umana famiglia.11 Dice d’essa che affonda sotto sè i mortali, ma dice ancora che chi se ne lascia condurre è “come agnel che lascia il latte„, e chi se ne lascia ammaliare è come il “fantolino„

               che muor di fame e caccia via la balia.12

Si tratta dunque d’un lieve principio che ha grave fine. E tanto la levità del principio quanto la gravità del fine sono adombrate in questo terzetto:13

               Benigna volontade, in cui si liqua
               sempre l’amor che drittamente spira,
               come cupidità fa nell’iniqua.

Chè l’amore, di cui qui si tocca, è non più che “sementa„; e sementa, e non altro, è dunque la cupidità.14 L’amore che drittamente spira è quello che è “ne’ primi ben diretto„ e che “ne’ secondi sè stesso misura„.15 La cupidità qual amore è? È quello che [p. 158 modifica]

                                   al mal si torce, o con più cura
               o con men che non dèe corre nel bene?16

Siccome la cupidità si risolve o si manifesta (secondo la poca diversa interpretazione della parola liquarsi) in volontà iniqua, si deve dire ch’ella non è solamente amore che corra nel bene con più cura che non deve. Ed è pure questo amore del proprio bene. Chè lo dice la parola stessa, e lo dicono tutti gli esempi che ho riportati di cupidi, come papa Niccolò e il nuovo Pilato e la meretrice. Ma è nel tempo stesso amore che si torce al male: diciamo, che finisce con torcersi al male.

È così. Amore è il principio d’un moto dell’appetito. È il principio del desiderio. L’appetito muove e muta in qualche modo l’appetito, mostrando compiacenza; e questa compiacenza dell’appetibile determina un movimento che è desiderio e all’ultimo un riposo (quietem) che è gioia.17 Cupidità è di questa fatta: eccettochè il cuore non ha il suo riposo per questa, come per l’amore che spira drittamente:18

               Vidi che lì non si quetava il cuore!

esclama papa Adriano nella cornice dell’avarizia. Or qual era la sua colpa? Questa: che fu anima misera e partita da Dio, cioè non ebbe l’amore diretto ne’ primi beni; che l’occhio suo

                                    non s’aderse
               in alto, fisso alle cose terrene.19

[p. 159 modifica]Ecco:20

               come avarizia spense a ciascun bene
               lo nostro amore, onde operar perdèsi,
               così giustizia qui stretti ne tiene.

Papa Adriano perdè operare, spento essendo il suo amore a ogni bene; fu di quelli avari bruni a ogni conoscenza e innominabili al pari degl’ignavi del vestibolo e dei tristi del brago. Papa Niccolò fu invece cupido. Il suo amore non si spense soltanto a ogni bene, ma sì corse al male. Cupidità è dunque come avarizia, fissarsi nelle cose terrene; ma tanto da torcersi al mal del prossimo, e non solo spengersi a ogni bene. Il che torna a capello con la definizione di S. Agostino riportata nella Somma:21 “Cupidità di qualsivoglia bene temporale è veleno della carità, in quanto l’uomo disprezza il bene divino per ciò che aderisce, sta fisso (inhaeret), a un bene temporale„. Che cosa cantano gli avari del Purgatorio?

               Adhaesit pavimento anima mea,

a terra, ai beni terreni. Essi però ebbero sì dentro sè il veleno, di cui parla S. Agostino; ma non ne morirono. Chè erano avari e non propriamente cupidi.

Fossero stati cupidi, non sarebbero in quella cornice, e pur non avendo quella pena di cui il monte non ha alcuna più amara, sarebbero per altro più lontani dalla divina foresta. In verità il loro amore si sarebbe torto al male; al male del prossimo. E come? Per l’aderire alle cose terrene, avrebbero in [p. 160 modifica]esse appetito l’eccellenza; si sarebbero in esse attristati per la superiorità degli altri e perciò avrebbero meditato o fatto ingiuria agli altri. Oppure l’ingiuria altrui avrebbero mal tollerata, correndo bramosamente alla vendetta. Insomma avrebbero pensato o commesso qualche atto d’ingiustizia. La loro cupidità si sarebbe “liquata„ in volontà iniqua. I cupidi sarebbero stati rei d’ira o invidia o superbia.

Riassumiamo. La concupiscenza può divenire facilmente tristizia: contro la lonza è farmaco “l’ora del tempo e la dolce stagione„. Chi sfrena la carne, corrompe lo spirito; cioè l’incontinenza può mutarsi facilmente in malizia. L’avarizia, con questo nome e più con quello di cupidità o cupidigia, è già quasi da sè, e facilmente si rende, ingiustizia: l’amor delle cose terrene porta sovente all’amor del male e all’ingiuria. Il concetto unico di questi diversi fatti è che chi si fissa nel bene che non è bene, si distoglie a mano a mano dal bene che è vero bene, e si torce al male. In ogni peccato è un volgere il viso verso un mutabile bene e un ritorcerlo dall’immutevole.22 In alcuni è primo il volgere, in altri è primo il torcere; ma, salvo che nel peccato veniale, l’un atto è seguito dall’altro. Ora del peccato, considerato in genere, è una radice e un inizio: la cupidità e la superbia. Se si considera il peccato sotto lo aspetto del volgere il viso, a capo del peccato è la cupidità; se si considera, sotto l’aspetto del torcere il viso, a capo si trova la superbia.23 Così avviene che [p. 161 modifica]considerando la lupa, sotto lo aspetto della conversione, cioè della sua fame, del suo agognar terra e peltro, ella è l’avarizia o la cupidità; considerandola, sotto l’aspetto dell’aversione, ossia della sua malvagità e reità, e del depredare e del far grame le genti, ella è... diciamo, la frode o la malizia. E così la lonza, sotto il primo aspetto, è concupiscenza; sotto il secondo, è tristizia o accidia. Chè accidia è rattristarsi del bene divino.24 Or questo rattristarsi è a piccola distanza dall’aversione totale e contumace. L’occhio già si mostra disgustato: presto si volgerà altrove. E la lonza, che già è tristizia, diverrà malizia. L’incontinenza di concupiscibile insomma divien malizia, passando per l’incontinenza d’irascibile che è la tristizia. Del che abbiamo una riprova nel fatto che nel secondo girone della violenza è punito chi

               piange là dove esser dee giocondo,

cioè chi uccide sè o dissipa le cose sue. Questi peccatori, in vero, da che si partirono e per qual via giunsero al loro reo? Prendiamo i dissipatori. Essi cominciarono, mettiamo, con essere prodighi; poi caddero nella tristizia di quei fitti nel fango, e piansero sotto il sole che rallegra l’aer dolce, e giunsero al loro atto violento, cioè di malizia con forza. E noi vediamo un altro peccato generarsi mediante la tristizia: l’invidia.25

               Chiamavi il cielo, e intorno vi si gira,
               mostrandovi le sue bellezze eterne,
               e l’occhio vostro pure a terra mira...

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Si tratta certo d’una tristizia, quale di quelli per cui fu invano l’aer dolce e il sole e il logoro del divino falconiere. Ma non è essa il solo peccato di costoro. Essi furono rei di quell’altro, che così Virgilio definisce:26

               È chi podere, grazia, onore e fama
               teme di perder perch’altri sormonti,
               onde s’attrista sì che il contrario ama.

Il loro peccato è ben complesso: c’è un’esca che essi prendono,27 cioè quel podere, grazia, onore e fama ch’essi hanno; c’è il timore di perdere ciò che hanno, e questa è la tristizia; c’è in fine l’amor del male altrui; e questa è l’invidia. All’invidia dunque si va per mezzo della tristizia, e partendo dall’amor del proprio bene.

Abbiamo dunque due radici o due capi di mali: la concupiscenza e la cupidità. Non sono la stessa cosa. Di cupidità comincia a parlare il poeta, dove parla di lupa; al cerchio dell’avarizia. Quindi lussuria e gola sono sceverate da questa, e formeranno la concupiscenza. La lonza è dunque tutta l’incontinenza di concupiscibile, con questo, che una specie di essa, l’avarizia, e più propriamente nella lupa. Diciamo: la concupiscenza cioè lussuria e gola, più propriamente peccati carnali, e la cupidità o avarizia, che è mezzo tra carnale e spirituale. La concupiscenza divien tristizia, da tristizia divien malizia. L’avarizia diviene facilmente malizia. Senza quel tuffo nella tristizia? Abbiamo veduto che ella diviene [p. 163 modifica]invidia, passando per la tristizia. Se invidia è malizia (può dire alcuno), come certo è amor del male, non però è tutta la malizia. Sta bene: causati dall’amor del male sono altri due peccati: l’ira e la superbia. In essi ciò che è tristizia nell’invidia, è onta per ingiuria e speranza d’eccellenza. Or bene dall’onta per ingiuria, passando per la tristizia, si giunge, vedo, alla violenza contro sè: esempio Pier della Vigna.28 È ira questa? Forse.29 E dalla speranza d’eccellenza si traversa la tristizia per giungere alla superbia? Non pare: nella superbia, l’aversione da Dio è sincrona, direi, con la conversione al bene che non è bene. Il Perverso alzò le ciglia e fu travolto: in un istante fu converso alla sua eccellenza e averso da Dio.

Che posso qui concludere? Che essendo nella lupa la cupidità, vi si trovano (dei peccati del purgatorio, diremo) l’avarizia che è una cosa con la cupidità; e i tre peccati d’amor del male, perchè la cupidità è l’avarizia che si torce al male: dunque l’ira e l’invidia e la superbia. Poi, se non altro, perchè c’è l’invidia, vi si trova anche la tristizia, da cui l’invidia si genera; e perchè c’è la tristizia o accidia, vi si trova anche la concupiscenza da cui ella deriva; cioè la lussuria e la gola.

Nel tempo stesso la lupa è la frode, che è un peccato di disordine sì nell’appetito sensitivo e sì nella volontà e sì nell’intelletto; e perciò comprende la violenza, che è disordine nell’appetito e nella volontà, e ha per simbolo il leone; e perciò comprende [p. 164 modifica]anche l’incontinenza, che è disordine nell’appetito soltanto. Non abbiamo già un indizio che le tre disposizioni equivalgono ai sette peccati mortali? Ma resti a ogni modo questa conclusione: che la cupidità la quale conduce al mal volere, cioè diventa malizia o ingiustizia, è quello stesso amor del male che conduce, nel purgatorio, ai tre peccati d’ira, invidia e superbia: che il leone e la lupa figurano questa cupidità divenuta malizia; il leone, senz’intelletto; la lupa, con intelletto; cioè violenza il primo e frode la seconda.

E ciò tanto più e meglio, in quanto l’autore da cui Dante prese il concetto della cupidità che si liqua in malo o ingiusto volere, fa a dirittura cupidità uguale a volontà mala. L’autore è S. Agostino. Dice:30 “L’avarizia... non riguardo a solo argento o danaro s’intende, ma a tutte cose che smodatamente si bramano (cupiuntur)... Or questa avarizia è cupidità; cupidità poi è volontà mala (improba voluntas): Dunque la mala volontà è causa di tutti i mali„. Diciamo quindi pure, come s’è detto fin ora, che la lupa è l’avarizia, con questo peraltro che ella, oltre l’avarizia, raffigura le due disposizioni in cui è mala volontà; ossia con la violenza la frode; la malizia, insomma: i peccati, per esempio, dei tiranni di Flegetonte, dei ladri e simoniaci di Malebolge, dei traditori della Ghiaccia.

Note

  1. Vedi per ciò Minerva Oscura. E ci torneremo anche qui.
  2. Inf. XIX 71.
  3. Purg. XX 93.
  4. Purg. XXXII 154.
  5. Purg. VI 104.
  6. Par. XXVII 121.
  7. Par. XV 3. Vedremo, che è di Aur. Aug. de lib. arb. III 48.
  8. Inf. XII 49.
  9. Par. XXX 139.
  10. Par. V 79. Cupido è usato anche in senso buono in Par. V 89.
  11. Par. XXVII 121 segg. Vedi più sopra.
  12. Par. V 79 segg. e Par. XXX 139 segg.
  13. Par. XVI segg.
  14. Purg. XVII 104 seg.
  15. ib. 97 seg.
  16. Purg. XVII 100 seg.
  17. Summa 1a 2ae 26, 2.
  18. Purg. XIX 109.
  19. ib. 121 seg. 118 seg.
  20. Purg. XIX 121 segg.
  21. Summa 2a 2ae 418, 5.
  22. Summa: passim per es. 1a 2ae 73, 5.
  23. Summa 1a 2ae 84, 2. Ed è concetto accolto da Dante che, come assomma le cause della perdizione nella cupidigia, così dice che principio del cadere fu la superbia. (Par. XIX 55).
  24. Summa 2a 2ae 35, 2.
  25. Purg. XIV 148.
  26. Purg. XVII 118 segg. E cfr. XV 49 segg.
  27. Purg. XIV 145.
  28. Inf. XIII 70 segg.
  29. Vedi Minerva Oscura, e più avanti.
  30. Aur. Aug. de lib. arb. III, 48.