Spirto gentil, che quelle membra reggi (Lucas)

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Francesco Petrarca

Indice:The Oxford book of Italian verse.djvu Poesie Letteratura Spirto gentil, che quelle membra reggi Intestazione 31 gennaio 2024 100% Poesie

Questo testo fa parte della raccolta The Oxford book of Italian verse


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S
PIRTO gentil che quelle membra reggi

Dentro alle qua’ peregrinando alberga
               Un signor valoroso, accorto e saggio;
               Poi che se’ giunto all’onorata verga,
               5Con la qual Roma e suo’ erranti correggi,
               E la richiami al suo antico viaggio;
               Io parlo a te, però ch’altrove un raggio
               Non veggio di virtù, ch’al mondo è spenta;
               Nè trovo chi di mal far si vergogni.
               10Che s’aspetti non so, nè che s’agogni
               Italia, che suoi guai non par che senta;
               Vecchia, ozïosa e lenta:

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               Dormirà sempre, e non fia chi la svegli?
               Le man l’avess’io avvolte entro i capegli!
          15Non spero che giammai dal pigro sonno
               Mova la testa, per chiamar ch’uom faccia;
               Sì gravemente è oppressa e di tal soma:
               Ma non senza destino alle tue braccia,
               Che scuoter forte e sollevarla ponno,
               20È or commesso il nostro capo Roma.
               Pon mano in quella venerabil chioma
               Securamente, e nelle treccie sparte,
               Sì che la neghittosa esca del fango.
               Io che dì e notte del suo strazio piango,
               25Di mia speranza ho in te la maggior parte:
               Che se ’l popol di Marte
               Dovesse al proprio onor alzar mai gli occhi,
               Parmi pur che a’ tuoi dì la grazia tocchi.
          L’antiche mura, ch’ancor teme ed ama,
               30E trema ’l mondo quando si rimembra
               Del tempo andato, e ’ndietro si rivolve;
               E i sassi dove fur chiuse le membra
               Di tai, che non saranno senza fama
               Se l’universo pria non si dissolve,
               35E tutto quel ch’una ruina involve,
               Per te spera saldar ogni suo vizio.
               O grandi Scipïoni, o fedel Bruto,
               Quanto v’aggrada, s’egli è ancor venuto
               Rumor laggiù del ben locato ufizio!
               40Come cre’ che Fabrizio
               Si faccia lieto udendo la novella!
               E dice: ‘ Roma mia sarà ancor bella. ’
          E se cosa di qua nel ciel si cura;
               L’anime, che lassù son cittadine,
               45Ed hanno i corpi abbandonati in terra,

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               Del lungo odio civil ti pregan fine,
               Per cui la gente ben non s’assicura;
               Onde ’l cammino a’ lor tetti si serra,
               Che fur già sì devoti, ed ora in guerra
               50Quasi spelonca di ladron son fatti,
               Tal che a’ buon solamente uscio si chiude:
               E tra gli altari e tra le statue ignude
               Ogni impresa crudel par che si tratti.
               Deh quanto diversi atti!
               55Nè senza squille s’incomincia assalto,
               Che per Dio ringraziar fur poste in alto.
          Le donne lagrimose, e ’l vulgo inerme
               Della tenera etate, e i vecchi stanchi
               Ch’hanno sè in odio e la soverchia vita;
               60E i neri fraticelli e i bigi e i bianchi,
               Con l’altre schiere travagliate e ’nferme,
               Gridan: ‘ O signor nostro, aita, aita ’:
               E la povera gente sbigottita
               Ti scopre le sue piaghe a mille a mille,
               65Ch’Annibale, non ch’altri, farian pio:
               E se ben guardi alla magion di Dio
               Ch’arde oggi tutta, assai poche faville
               Spegnendo, fien tranquille
               Le voglie che si mostran sì ’nfiammate;
               70Onde fien l’opre tue nel ciel laudate.
          Orsi, Lupi, Leoni, Aquile e Serpi
               Ad una gran marmorea Colonna
               Fanno noia sovente, ed a sè danno;
               Di costor piagne quella gentil donna,
               75Che t’ha chiamato acciò che di lei sterpi
               Le male piante che fiorir non sanno.
               Passato è già più che ’l millesim’anno,
               Che ’n lei mancar quell’anime leggiadre

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               Che locata l’avean là dov’ell’era.
               80Ahi nova gente oltra misura altera,
               Irreverente a tanta ed a tal madre!
               Tu marito, tu padre;
               Ogni soccorso di tua man s’attende;
               Chè ’l maggior Padre ad altr’opera intende.
          85Rade volte addivien, ch’all’alte imprese
               Fortuna ingiurïosa non contrasti;
               Che agli animosi fatti mal s’accorda.
               Ora sgombrando ’l passo onde tu intrasti,
               Fammisi perdonar molt’altre offese;
               90Ch’almen qui da sè stessa si discorda:
               Però che quanto ’l mondo si ricorda,
               Ad uom mortal non fu aperta la via
               Per farsi, come a te, di fama eterno:
               Che puoi drizzar, s’io non falso discerno,
               95In stato la più nobil monarchia.
               Quanta gloria ti fia
               Dir: ‘ Gli altri l’aitar giovane e forte;
               Questi in vecchiezza la scampò da morte! ’

          Sopra ’l monte Tarpeo, canzon, vedrai
               100Un cavalier ch’Italia tutta onora,
               Pensoso più d’altrui che di sè stesso.
               Digli: un, che non ti vide ancor da presso,
               Se non come per fama uom s’innamora,
               Dice, che Roma ogni ora
               105Con gli occhi di dolor bagnati e molli
               Ti chier mercè da tutti sette i colli.