Storia d'Italia/Libro IX/Capitolo VI
Questo testo è completo. |
◄ | Libro IX - Capitolo V | Libro IX - Capitolo VII | ► |
VI
Ma cominciorono al re di Francia le molestie onde manco pensava, e in tempo che non pareva che alcuno movimento d’arme potesse essere preparato contro a sé. Perché il pontefice, procedendo con grandissimo secreto, trattava che in uno tempo medesimo fusse assaltata Genova per terra e per mare, e che nel ducato di Milano scendessino dodicimila svizzeri, che i viniziani unite tutte le forze loro si movessino per ricuperare le terre che si tenevano per Cesare, e che l’esercito suo entrasse nel territorio di Ferrara, con intenzione di farlo dipoi passare nel ducato di Milano se a’ svizzeri cominciassino a succedere le cose felicemente: sperando che Genova, assaltata all’improviso, avesse facilmente a fare mutazione, per la volontá di molti avversa allo imperio de’ franzesi e perché si solleverebbe la parte Fregosa, procedendosi sotto nome di fare doge Ottaviano, il padre e il zio del quale erano stati nella medesima degnitá; che i franzesi, spaventati per il movimento di Genova e assaltati da’ svizzeri, rivocherebbono nel ducato di Milano tutte le genti che aveano in aiuto di Cesare e del duca di Ferrara, onde i viniziani facilmente ricupererebbono Verona, e recuperatala procederebbono contro al ducato di Milano; il medesimo farebbono le genti sue, ottenuta facilmente, come sperava, Ferrara abbandonata dagli aiuti de’ franzesi; talmente che non potrebbe difendersi contro a tanti inimici, e da una guerra tanto repentina, lo stato di Milano.
Cominciò in un tempo medesimo la guerra contro a Ferrara e contro a Genova. Perché, con tutto che ’l duca di Ferrara, contro al quale procedeva, per accelerare l’esecuzione, come contro a notorio delinquente, gli offerisse di dargli i sali fatti a Comacchio e obligarsi che non vi se ne lavorasse in futuro, licenziati di corte i suoi oratori, mosse le genti contro a lui; le quali, con la denunzia solamente di uno trombetto ottennono, non le difendendo Alfonso, Cento e la Pieve: le quali castella, appartenenti prima al vescovado di Bologna, erano state da Alessandro, nel matrimonio della figliuola, applicate al ducato di Ferrara; data ricompensa a quel vescovado di altre entrate. Contro a Genova andorno undici galee sottili de’ viniziani, delle quali era capitano Grillo Contareno, e una di quelle del pontefice, in sulle quali erano Ottaviano Fregoso Ieronimo Doria e molti altri fuorusciti, e nel tempo medesimo per terra Marcantonio Colonna con cento uomini d’arme e settecento fanti; il quale, partitosi dagli stipendi de’ fiorentini e soldato dal pontefice, si era fermato nel territorio di Lucca sotto nome di fare la compagnia, spargendo voce d’avere poi a passare a Bologna: la stanza del quale benché avesse dato a Ciamonte qualche sospetto delle cose di Genova, nondimeno, non sapendo dovere venire l’armata, ed essendosi astutamente, per opera del pontefice, divulgato che le preparazioni per muoversi che giá facevano i svizzeri e il soprasedere di Marcantonio fussino per assaltare all’improviso Ferrara, non aveva Ciamonte fatto altra provisione a Genova che di mandarvi pochi fanti. Accostossi Marcantonio con le sue genti in val di Bisagna, uno miglio presso alle mura di Genova, con tutto non fusse stato ricevuto, come il pontefice si era persuaso, né in Serezana né nella terra della Spezie; e nel tempo medesimo l’armata di mare, che aveva occupato Sestri e Chiaveri, era venuta da Rapalle alla foce del fiume Entello, che entra in mare appresso al porto di Genova. Nella quale cittá, al primo romore dello appropinquarsi degli inimici, era entrato in favore del re di Francia con ottocento uomini del paese il figliuolo di Gianluigi dal Fiesco, e con numero non minore uno nipote del cardinale del Finale; per i quali presidi essendo confermata la cittá non vi si fece dentro movimento alcuno: onde cessata la speranza principale de’ fuorusciti e del pontefice, e sopravenendovi tuttavia gente di Lombardia e della riviera di ponente, ed essendo entrato nel porto Preianni con sei galee grosse, parve senza frutto e non senza pericolo il dimorarvi piú; in modo che e l’armata di mare e il Colonna per terra si ritirorono a Rapalle, tentato nel ritorno di occupare Portofino, dove fu morto Francesco Bollano, padrone di una galea de’ viniziani. E partendosi dipoi l’armata per ritirarsi a Civitavecchia, Marcantonio Colonna, non confidando di potere condursi salvo per terra perché era sollevato tutto il paese, ardente, secondo l’usanza de’ villani, contro a’ soldati quando disfavorevolmente si ritirano, montato in su le galee con sessanta cavalli de’ migliori, rimandò gli altri per terra alla Spezie; i quali furono, la maggiore parte, in quel di Genova, dipoi in quel di Lucca e ne’ confini de’ fiorentini, svaligiati. Passò questo assalto con piccola laude di Grillo e di Ottaviano, perché per timore si astennono da investire l’armata di Preianni, alla quale superiori, si credette che innanzi entrasse nel porto l’arebbono con vantaggio grande assaltata. Uscí del porto di Genova, dopo la partita loro, il Preianni con sette galee e quattro navi, seguitando l’armata viniziana; la quale, superiore di galee, era inferiore di numero di navi e meglio armate. Toccò l’una e l’altra all’isola dell’Elba, la viniziana in Portolungaro, la franzese in Portoferrato; e dipoi l’armata franzese, costeggiata la inimica insino al monte Argentaro, si ritornò a Genova.
Erano in questo tempo le genti del pontefice, sotto il duca d’Urbino, entrate contro al duca di Ferrara in Romagna; dove, avendo preso la terra di Lugo, Bagnacavallo e tutto quello che il duca teneva di qua dal Po, erano a campo alla rocca di Lugo. Alla quale mentre che stanno con poca diligenza e poco ordine, sopravenendo avviso che il duca di Ferrara, con le genti franzesi e con cento cinquanta uomini d’arme de’ suoi, con molti cavalli leggieri e con tremila fanti tra guasconi spagnuoli e italiani, veniva per soccorrerla, il duca d’Urbino, levatosi subitamente e lasciate in preda agli inimici tre bocche d’artiglierie, si ritirò a Imola; e Alfonso con questa occasione recuperò tutto quello che in Romagna gli era stato occupato. Ma rimessosi in ordine e ingrossato di nuovo il campo ecclesiastico, ripigliò facilmente le terre medesime; e poco dipoi pigliò la rocca di Lugo, dopo averla battuta molti dí: la quale spugnata, si presentò loro occasione di maggiore successo. Perché non essendo in Modona presidio alcuno, non avendo il duca, occupato nella difesa dell’altre cose ove il pericolo era piú propinquo, potuto provedervi da se stesso né ottenere da Ciamonte che vi mandasse dugento lancie, il cardinale di Pavia, passato con l’esercito a Castelfranco, ottenne subitamente d’accordo quella cittá; invitato a andarvi da Gherardo e Francesco Maria conti de’ Rangoni, gentiluomini modonesi, di tale autoritá che ne potevano, massime Gherardo, disporre ad arbitrio loro: i quali si mosseno, secondo si credette, piú per ambizione e per cupiditá di cose nuove che per altra cagione. Perduta Modona, il duca, temendo che Reggio non facesse il medesimo, vi messe subito gente; e Ciamonte, facendo dopo il danno ricevuto quel che piú utilmente arebbe fatto da principio, vi mandò dugento lancie: con tutto che giá fusse occupato per il movimento de’ svizzeri.