Storia della rivoluzione di Roma (vol. II)/Capitolo XVI

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Capitolo XVI

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CAPITOLO XVI.

[Anno 1848]


Risposta alle osservazioni di Farini sull’atto del Santo Padre del 2 agosto 1848. — Effetti prodotti dal proclama del general Welden del giorno 3. — Protesta del Cardinal Soglia del giorno 6. — Proclama allarmante del ministro delle armi Campello. — Discorso del principe di Canino in apologia della influenza del papato. — Nuovo ministero Fabbri. — Il ministro Campello licenziato. — Sterbini e Ciceruacchio chiedono l’intervento francese all’ambasciatore di quella repubblica. — Il Cardinal Marini, il principe Corsini ed il principe Simonetti destinati per una missione straordinaria presso il generale Welden. — Il conte Guarini sostituito al Simonetti rinunziatario. — Sollevazione di Bologna contro gli Austriaci il giorno 8 di agosto e discacciamento dei medesimi. — Condizioni dell’armistizio Salasco fra il Piemonte e l’Austria. — Mali umori che eccitò. — La guerra dei popoli decretata in luogo della guerra regia. — Affratellamento di tutti i circoli italiani iniziato dal circolo romano. — Sviluppo delle idee repubblicane. — Altre cose accadute nel mese di agosto. — Disposizioni di resistenza agli Austriaci. — I legionari romani ricevuti dal Santo Padre e suo discorso. — La deputazione inviata al generai Welden viene a parlamento con lui e ottiene il ritiro delle truppe austriache. — Onori funebri in Roma al colonnello Del Grande. — Commissariato pontificio in Bologna. — Decreto di proroga delle Camere legislative. — Festa di san Giuseppe Calasanzio in san Pantaleo il 27 di agosto. — Discorso del pontefice in quella occasione. — Riflessioni sul medesimo.


Lo storico Farini prende a criticare l’atto del pontefice del 2 di agosto, che abbiam riportato nel capitolo precedente, perchè contrario alle dottrine e consuetudini costituzionali, e inducente il medesimo a scendere in polemiche co’ suoi oppositori. E poi soggiunge: «Ma nessuna strana cosa era strana in quel singolare principato, singolare governo, singolarissimo tempo.1

[p. 438 modifica]Ma di grazia, chi aveva creato queste stranezze e singolarità di principato, questo singolare governo, questo singolarissimo tempo, se non la rivoluzione? Nè poteva essere altrimenti. Avevan voluto per distruggerlo, incominciare dal far laico un governo essenzialmente clericale, ammodernare un edificio di antico disegno coll’aggiungere il nuovo e conservare il vecchio!... Non poteva dunque da questo innesto di nuovo e di vecchio non risultare una specie di governo mostro a due disegni, a due faccie, a due colori; ove da un lato erano fra chi reggevanlo uomini di fede cieca e fervente, animati, di speranze confortatrici nel futuro, professanti prima di tutto la fede in Dio e quindi la carità universale inverso gli uomini tutti che vivon su questa terra, non che l’umiltà, la pazienza, la rassegnazione e la pace; dall’altro, individui professanti apertamente lo scetticismo, il razionalismo, la incredulità, le cupidigie sfrenate di godimenti nella vita presente, gli eccitamenti alla inobbedienza ed alla insurrezione, gonfi di superbia, pregni d’ira, impastati d’ipocrisia, proclivi alle disperazioni, provocatori instancabili di estermini e di guerre! Potevansi mai gli elementi de’ primi fondersi e compenetrarsi co’ secondi?

E pure queste anormalità incompatibili ci dettero, ed a cosiffatte deplorabili condizioni ridussero questo tanto bersagliato pontificio governo le mene dei tristi, i pianti dei traditori, le minaccie dei sanguinari, i sorrisi dei protestanti, i sogni degli utopisti, le tenerezze dei miscredenti.

Questi furon dunque i primi frutti della cospirazione cosmopolitica che scelse Roma per suo centro, ed a niuno meno che al Farmi si addice di farne lamento, egli che può dire quorum pars magna fui, e che col suo manifesto di Rimini del 1845 piantò una delle prime pietre dell’edificio rivoluzionario che ora, qual coccodrillo politico, viene a rimpiangere.

[p. 439 modifica]Oltracciò difende esso i legionari, perchè se occuparono la casa del Gesù, lo fecero col permesso del ministero.

Ma noi con sua buona licenza dobbiam rammentargli che il ministro delle armi principe Doria con ordine del giorno del 20 luglio, comandò che, giunti in Roma quei giovani, rientrassero nei lor focolari, e che essi in vece non solo non obbedirono, restando uniti fra loro, ma contro gli ordini del ministro occuparono quella casa professa, per lo che disgustato il ministro, diede all’istante la sua dimissione. Se queste sono approvazioni e permessi, vorremmo sapere quali siano le disapprovazioni e i rifiuti.

Ritornando ora alla enunciazione dei fatti, richiameremo l’attenzione dei nostri lettori sopra il proclama del general Welden del 3 di agosto, e del quale facemmo parola nel capitolo precedente. In quel proclama per verità nulla era di civile e distinguevasi pel suo carattere essenzialmente militare, minaccioso e provocante. Diremmo quasi che in grazia della calda stagione, sentiva alcun poco d’idrofobia. Annunziava in esso di passare il Po per colpire e punire i ribelli e specialmente i così detti crociati, minacciando la sorte di Sermide (ch’era stata incendiata e distrutta) agli abitanti delle Legazioni.2

Succedette a questo una notificazione del giorno seguente, ove indicavasi il quantitativo dei viveri e foraggi occorrenti per l’armata.

Si rispose al proclama ed alla notificazione a nome dei sudditi pontifici con due foglietti che circolarono, e che possono leggersi fra i nostri documenti.3

In seguito di ciò, come precauzione di difesa, si dispose che le truppe pontificie si riconcentrassero alla Cattolica, si richiesero con un invito ai Romani capsule in Ancona, e si designò la banca Beretta siccome luogo di deposito.4

[p. 440 modifica]Il ministro delle armi Campello il quale il giorno 6 di agosto era stato innalzato dal pontefice a quel posto, e la cui scelta non era ancora annunziata al pubblico, emise il detto giorno, e fece la sua prima comparsa con un proclama foggiato alla Welden, col quale chiamava i volontari reduci dal Veneto e le colonne civiche ad ingrossare le fila dei difensori dello stato; ordinava la formazione di colonne mobili in tutte le città e paesi del medesimo; creava consigli di guerra per tutti i corpi; e quanto ai fondi, prescriveva che sotto la responsabilità dei rispettivi consigli di amministrazione dovessero chiedersi al ministero.5

Questi ordini allarmanti tanta impazienza e commozione eccitavan negli animi, che facendosi pressa da tutte le parti su quello del Santo Padre, ebbe ordine il Cardinal Soglia, suo segretario di stato, di pubblicare la seguente:


Protesta

di Sua Santità Pio IX per l’invasione austriaca.6


«Fino dal principio del suo pontificato la Santità di Nostro Signore osservando la condizione dello stato pontificio, non che quella degli altri stati d’Italia, come Padre comune dei principi e dei popoli, alieno egualmente dalle guerre esteriori che dalle discordie intestine, per procurare la vera felicità dell’Italia, immaginò ed intraprese le negoziazioni di una lega fra i principi della penisola, essendo questo l’unico mezzo atto ad appagare le brame de’ suoi abitanti, senza punto ledere i diritti dei principi, nè contrariare le tendenze dei popoli ad una ben intesa libertà. Queste negoziazioni furono in parte secondate, ed in parte tornarono infruttuose.

[p. 441 modifica]»Sopravvennero quindi le grandi vicende di Europa, alle quali tennero dietro i fatti e la guerra d" Italia. Il Santo Padre, sempre coerente a se stesso, con grave suo sacrifizio si mostrò alieno dal prender parte alla guerra, senza però trascurare tutti i mezzi pacifici per ottenere il primo intento che si era prefisso. Ma questa condotta ispirata dalla prudenza e mansuetudine, non ha impedito con sua grande sorpresa l’ingresso nei suoi stati ad un’armata austriaca, la quale non ha dubitato di occupare alcuni territori, col dichiarare che l’occupazione era in via temporanea. È dunque necessario di far conoscere a tutti come il dominio della Santa Sede venga violato da questa occupazione, la quale, con qualunque intendimento sia stata intrapresa, non poteva mai giustamente eseguirsi senza preventivo avviso e necessario consenso.

»In sì dura necessità, nella quale si vuole mettere dalla forza de’ nemici esterni, e dalle insidie dei nemici interni, il Santo Padre si abbandona nelle mani della divina Giustizia che benedirà l"uso dei mezzi da adoperarsi secondo che le circostanze richiedono; e mentre per mezzo del suo cardinale segretario di stato protesta altamente contro un simile atto, fa appello a tutte le amiche potenze, affinchè vogliano assumere la protezione di questi stati per la conservazione della loro libertà e integrità, per la tutela dei sudditi pontifici, e sopratutto per la indipendenza della Chiesa.

»Dato dalla segreteria di stato, questo dì 6 agosto 1848.


Abbiamo riportato questa protesta secondo il foglietto che circolò in città e che tutti lessero, affinchè si notasse che nella intestazione si parla di Sua Santità Pio IX, ma che la qualifica di papa era rimasta nella penna. Quanto al testo, lo confrontammo col Giornale romano e colla [p. 442 modifica]Gazzetta di Roma, e lo trovammo conforme al foglietto che circolò.7

Non possiam pretermettere di narrare un altro fatto il quale, quantunque della minima importanza perchè non ebbe conseguenze, serve a chiarire luminosamente fino a qual punto possano giungere la baldanza e la ipocrisia di pochi a danno dell’universale.

La minacciata invasione austriaca era considerata come una sventura ed una violazione dei diritti del principato. Il governo se ne richiamò con un atto pubblico e solenne, e fece bene. Ma ciò che si fece da alcuni fanatici per provocare una dimostrazione di lutto e atteggiare il popolo a mestizia, fu una infrazione degli usi ed una violenza contro i diritti dei cittadini, e come tale lo dobbiamo biasimare: perchè il giorno 6 di agosto, giorno festivo e nel quale più del consueto: piace ai cittadini di recarsi a diporto in vettura sia al Pincio o a villa Borghese, saltò in testa a pochi impronti di collocarsi sulla piazza del Popolo all’imboccatura del Corso, sbarrare il passaggio e costringere le vetture a prendere per altra via. In una giornata simile, essi dicevano, convien dare gualche prova evidente di pubblica mestizia. Fummo di ciò testimoni noi stessi, e non crediamo che sotto un governo, fosse anche il più assoluto e tirannico, si permetterebbero cose simili. Ma in Roma regnava la libertà, e pure di queste cose si videro.

Comprendiamo agevolmente che siccome de minimis non curat praetor, così non credettero nè il Farini nè il Ranalli di farne menzione nelle loro pregiate storie; pur tuttavia, quantunque la cosa in se stessa sia di minima importanza, è di grave momento per le riflessioni cui può dar luogo.

Il giornale l’Epoca però non ebbe rossore di narrare queste nostre vergogne, qualificandole di eroismi e [p. 443 modifica]rivestendole con una menzogna, perchè addossò al popolo il fatto di dieci o quindici persone senza mandato, che ne usurparono il nome. Ecco le sue parole:

«Il passeggio delle carrozze venne quindi impedito dal popolo che disanimato, anzichè correre alle armi percorreva tristamente la città.8»

Questa è una sfacciata menzogna: perchè il così detto popolo costava di così pochi individui, che non impedirono a noi ch’eravamo in vettura di entrare nel Corso dalla piazza del Popolo; e noi vedemmo come al solito passeggiare la popolazione a diporto, e pervenuti al circolo romano, là soltanto fummo insultati da un vecchio imbecille che ci disse: E che non avete capito che oggi non vogliamo carrozze sul Corso? All’infuori di questo, null’altro vedemmo. Procediamo innanzi.

Sotto la data del 7 di agosto troviam registrati due altri fatti.

Il primo fu la confessione del principe di Canino fatta ai cospetto di tutto il Consiglio dei deputati, sulla immensa influenza del papato. Esso si espresse così:

«Pio IX fu l’iniziatore dei movimento italiano. Egli solo potè muovere le masse, che nè il carbonarismo nè la giovane Italia avevano potuto trascinare alla sacra causa italiana!... Al grido di viva Pio IX liberavasi la magnanima Palermo. Al grido di viva Pio IX rispondeva la generosa Milano!...»9

L’altro fu la licenza data dal Santo Padre al ministro Campello. Alcuni disser discacciamento; ma licenza come disse l’Epoca del 7, e discacciamento come generalmente si disse, ci sembran sinonimi, viste le circostanze in cui ebbe luogo.

Si attribuì questo repentino allontanamento alla scoperta di una corrispondenza che lo comprometteva altamente, cioè una lettera del conte Pepoli da Bologna al [p. 444 modifica]conte Mamiani in Roma, accennante a progetti di governo provvisorio o qualche cosa di simile, nel che il Campello veniva designato come compartecipe.

Il Farini però, nell’ammettere e commentare il fatto della licenza,10 niega quello della scoperta della corrispondenza, o meglio dello esservi cosa che fosse a carico sia del Pepoli autore della lettera, sia del Mamiani cui era diretta.11

Comunque si voglia ci sembra aver dovuto essere cosa ben rilevante la causa di questa licenza, in quanto che lo sfregio fu grande pel Campello. Destituire un ministro appena creato, e prima di averne annunciata la scelta nel giornale officiale, non può essere stato per una causa lieve, specialmente avuto riguardo all’indole mitissima ed alla delicatezza di sentimenti che in Pio IX era somma.

Finalmente l’8 di agosto si conobbe dai Romani in modo positivo la costituzione del nuovo ministero fissato fin. dal 6. Esso componevasi come appresso:

Conte Odoardo Fabbri ministro dell’interno.

Conte Lauro Lauri ministro delle finanze.

Conte Pietro Guarini ministro dei lavori pubblici ed interinamente dell’agricoltura, delle arti e del commercio.

Francesco Perfetti, assessore generale, ministro interinamente di polizia.

Camillo Gaggiotti direttore temporaneo del ministero delle armi stante la dimissione del conte Pompeo di Campello. — Restarono in officio

Il Cardinal Soglia presidente del Consiglio dei ministri.

L’avvocato Pasquale De Rossi ministro di grazia e giustizia.12

Lo stesso giorno 8 in cui conoscevasi la composizione [p. 445 modifica]del nuovo ministero, esso emetteva per primo atto una protesta contro gli Austriaci.13

E intanto che queste cose accadevano qui da noi, il popolo bolognese sollevavasi in armi contro gli Austriaci, e dopo un atroce e sanguinoso conflitto gli scacciava da Bologna. Ciò si conobbe in Roma il giorno 11. 14 Prima di ciò per altro i caldi d’indipendenza già erano in Roma sulle furie per le baldanzose minaccie del generale Welden.

Fu in allora che si pensò da loro seriamente all’intervento francese; e il deputato Sterbini nella tornata del Consiglio del giorno 7 con lungo e animato discorso facevane la proposta.15 E per non essersi alzati in piedi i deputati Bofondi e Ciccognani, s’inteser grida di sdegno dalle tribune. Modificata la proposta si alzarono ancor essi, e venne ammessa.16

Si pensò subito allora di formulare un indirizzo alla Francia, farlo coprire di firme; e il giorno 8 vi fu radunata di popolo sulla piazza Colonna, col famoso Ciceruacchio a capo della medesima, per recarsi dal francese ambasciatore residente nel palazzo Colonna. Ivi giunta quella turba di ragunaticci, lo Sterbini prese la parola e disse. «Essere venuto il popolo per attestare la sua simpatia alla repubblica francese, concordare col voto della Camera dei deputati in favore dell’intervento francese, desiderare la comunanza di difesa, di amicizia e dei principi fra la Francia e l’Italia, essere due sorelle per indole e per costumi degne amendue di riunire le loro bandiere tricolori per mettersi alla testa della civiltà europea.17»

[p. 446 modifica]Franche e nobili parole, si disse da alcuni, aver pronunziato in risposta il francese ambasciatore, o chi parlò per esso, e che sceso appiè della scala ripetesse a quell’attruppamento che la Francia non avrebbe abbandonato l’Italia, ma che l’Italia avrebbe dovuto fare da sè, e conquistare colle proprie armi la sua indipendenza.18 In una parola, si disse comunemente dai più che la risposta di chi per Francia prese la parola fosse semplicissima, e per nulla compromettente quella nobilissima nazione; quindi doversi annoverare fra i sogni quella che divulgò la Pallade. Il Contemporaneo ch’era il giornale dello Sterbini, ne parlò a piè di pagina, ma in carattere così minuto che parve si vergognasse di averla dovuta riportare.19

Questa richiesta d’intervento però, quantunque serotina, fu in qualche modo incoraggiata da una dichiarazione del ministro francese Bastide all’assemblea di Parigi del 1 di agosto in favor dell’Italia, la quale venne conosciuta in Roma il giorno 7, e subito divulgata mediante un foglietto.20

Ma perchè una richiesta d’intervento aver potesse qualche efficacia, conveniva farla in modo conveniente, e che avesse almen le apparenze di legalità. Si discusse è vero nel Consiglio dei deputati, ma nell’Alto Consiglio non se ne disse una parola. E il papa, il sovrano, il sommo pontefice, il gran sacerdote, che è pure la prima autorità vivente sulla terra, non vi compariva per nulla l Era egli possibile che la Francia si movesse per una richiesta del medico Sterbini e del carrettiere Ciceruacchio?21 E pure tanto poco tatto politico si aveva, che si prese in sul serio una così ridicola e irregolare richiesta d’intervento, e se ne impromettevano felici risultati!

[p. 447 modifica]Intanto il pontefice a calmare la effervescenza degli spiriti, fece scrivere lo stesso giorno 8 dal Cardinal Soglia al Cardinal Marini legato in Forlì, affine d’invitarlo a condursi senza indugio veruno dal generale Welden in compagnia del principe Corsini e del principe Annibale Simonetti, per domandargli ragione dei motivi che lo indussero al passo violento di occupare parte delle provincie settentrionali dello stato pontificio, e con parole ferme e decise imporgli di retrocedere, lasciate libere le provincie medesime; intimandogli in caso contrario che Sua Santità avrebbe fatto uso di tutti quei mezzi che sono in suo potere per respingere l’ingiusta occupazione.22

Avendo però rinunziato il principe Simonetti uno dei tre membri eletti da Sua Santità per questa missione, gli venne sostituito il conte Guarini membro del Consiglio dei deputati. Racconteremo più tardi i risultati di questa missione.23

Prima però che proseguiamo la narrazione delle nostre vicende in Roma, è d’uopo riportare la nostra attenzione sopra un atto solenne che risvegliò le ire dei nemici di Carlo Alberto, ch’erano i repubblicani. Intendiamo con ciò di voler parlare dell’armistizio Salasco, concluso il 9 di agosto nei seguenti termini:


Convenzione d'armistizio

fra l’esercito sardo e l’esercito austriaco

come preliminare delle negoziazioni per un trattato di pace.


» Art. 1. La linea di demarcazione fra i due eserciti sarà il confine istesso degli stati rispettivi.

» Art. 2. Le fortezze di Peschiera, Rocca d’Anfo ed Osopo verranno sgombrate dalle truppe sarde ed [p. 448 modifica]leate, e consegnate alle truppe di S. M. l’Imperatore e re; la consegna di ognuna di queste piazze avrà luogo tre giorni dopo la notificazione della presente convenzione.

» Nelle prefate fortezze tutto il materiale di dotazione di ragione dell’Austria verrà restituito. Le truppe che escono, trarranno seco tutto quanto il loro materiale, le armi, munizioni, ed equipaggiamento da esse introdotto in quelle piazze, e rientreranno per tappe regolari e per la via la più breve negli stati di S. M. Sarda.

» Art. 3. Gli stati di Modena, di Parma e la città di Piacenza col raggio di territorio ad essa spettante, nella qualità sua di piazza da guerra, verranno sgombrate dalle truppe di S. M. il re di Sardegna tre giorni dopo la notificazione della presente.

» Art. 4. Questa convenzione comprenderà ugualmente la città di Venezia, e la terra ferma veneta. Le forze sarde di terra e di mare abbandoneranno la città, i forti ed i porti di questa piazza per rientrare negli stati sardi.

» Le truppe di terra potranno effettuare la loro ritirata per la via di terra ferma, e per tappe, lungo uno stradale da convenirsi.

» Art. 5. Le persone e le proprietà nei luoghi precitati sono messe sotto la protezione del governo imperiale.

» Art. 6. Questo armistizio durerà sei settimane per dar corso alle negoziazioni di pace, e spirato questo termine, esso verrà prolungato di comune accordo o denunciato otto giorni prima della ripresa delle ostilità.

» Art. 7. Verranno nominate rispettivaménte commissioni per la esecuzione più facile ed amichevole degli articoli precitati.»

Dal quartier generale di Milano 9 agosto 1848.

Hess Tenente generale
Quartier mastro dell’esercito.


Conte Salasco Tenente generale,
Capo dello stato maggiore Generale dell' esercito sardo.24


[p. 449 modifica]Questo armistizio, che tanto contribuì all’abbattimento degli animi nell’Italia settentrionale e che provocò le ire del repubblicano Brofferio e di quelli che con esso sentivano in Piemonte, riaccese quel fuoco repubblicano che coperto dalla cenere non si era mài spento, e ne mostrò le prime fiamme: fuoco che pochi mesi dopo divampò apertamente in alcune parti d’Italia ed in Roma massimamente. E se i nostri lettori pazientemente ci seguiranno, porremo loro sottocchio la verità della nostra asserzione.

Prima iattura del potere regio di Carlo Alberto fu la perdita della Venezia, perchè conosciutosi appena in quella città l’armistizio Salasco, un senso di stupore e di sdegno invase siffattamente gli animi tutti, che il popolo si ammutinò, la fusione col Piemonte all’istante venne distrutta, e fin dall’11 di agosto Daniele Manin ritornava al potere.nota

In Roma la Pallade era già in visibilio, e sognava rivoluzione in Piemonte, incendiato il palazzo reale, e forse proclamata la repubblica. E che in pari tempo in Milano i generali Zucchi, Garibaldi, e Antonini si battevano alla testa del popolo contro gli Austriaci.nota Fur sogni è vero; ’ ma il diffonderli così sfacciatamente, e con segni incontestabili di letizia, chiarisce ad un tempo le tendenze, i desideri, e somministra indizi evidenti,, che qualche cosa in questo senso operavasi. Intanto la stampa in Roma correva talmente sbrigliata, che costrinse lo stesso ministero ad emettere il giorno 14 una notificazione per frenarla.nota

Pubbliche eran le grida di tradimento de’ regi alla causa d’Italia. Uno sleale e un tiranno era il re di Napoli, un traditore Carlo Alberto, un imbecille il granduca di Toscana, troppo debole il pontefice. E la conseguenza di queste grida quale doveva essere se non un avviamento più pronunziato verso la preconcertata repubblica? E 25 26 27 [p. 450 modifica]difatti da tutte le parti d’Italia gridavasi: che per la saivezza della penisola, alla guerra regia sostituir dovevasi la guerra dei popoli.

Forviati da queste idee esagerate, non ebber difficoltà gli estensori dell’Epoca di pubblicare fin dal 14 agosto un articolo nel quale, con arcadica o fanciullesca semplicità, sostenevasi poter gli stati romani mettere sul piede di guerra

600 mila uomini,
800 mila il Piemonte,
300 mila la Toscana, ossia

1,700 mila. — Un milione e settecento mila combattenti, quanti non ebbe maj lo stesso imperator Napoleone.

E nella suddetta cifra non era compreso il regno di Napoli, che sulla stessa proporzione avrebbe potuto dare un milione per lo meno di soldati; cosicchè i calcoli degli scrittori dell’Epoca sono da annoverare fra i sogni di una mente malata, senz’altro aggiungere.28

Nello stesso tempo in Genova quello stemperato di frate Gavazzi metteva su un indirizzo in nome degl’italiani , col quale scongiuravasi Pio IX a scacciare anche con la guerra i Tedeschi; e questo indirizzo circolava pubblicamente in Roma il 19 di agosto,29 e lo stesso giorno vendevasi pure per le vie di Roma altro indirizzo dei Lombardi repubblicani diretto agl’italiani per eccitarli a non fidarsi dei re spergiuri, cacciarli, e fondarsi sulle repubbliche.30

Il general Pepe era in Venezia, ed a sua difesa vi riuniva il maggior numero di soldatesche. Esso però difettava di mezzi, e s’indirizzava ai generosi della penisola. Colà era il nucleo, e colà venivasi riconcentrando il nerbo del repubblicanismo italiano.31

[p. 451 modifica]Livorno in quel tempo bolliva, e la già mite Toscana era divenuta irrequieta e intrattabile; si piaceva di sognare Diete e Costituenti, e proponeva armamenti in massa a pro della repubblica di Venezia. Livorno poi, rotto ogni freno, minacciava di governarsi a popolo, ed a popolo si governò nell’ottobre come narreremo a suo tempo. Intanto il general Garibaldi alla testa della sua legione scorrazzava per le adiacenze del lago Maggiore tenendo alto il vessillo della rivoluzione italiana.32

Ad incendiare poi vie maggiormente le teste, pubblicavasi in Roma un foglietto che portava per titolo: Nuova rivolta a Milano, cacciata dei Tedeschi, e repubblica.33

Innumerevoli sarebbero i documenti che potremmo produrre per provare che si era già in una anarchia morale talmente diffusa, che da quello stato alla repubblica era un breve passo.

Ma quasi che non bastasse la perturbazione degli animi esistente, s’immaginò altro mezzo per accrescerla, e fu la stampa e la propagazione di quei giornaletti volanti che ad imitazione del Cassandrino vider la luce in quel tempo molti dei quali morivano appena nati, ed altri non contaron che la vita di pochi giorni soltanto.

I primi a venire in luce furono

La Lanterna magica
Un Giornale senza titolo
Un Giornaletto pei fanciulli
Il Cicerone
Il Diavoletto
Il Casotto dei burattini
La Befana
Il Meninpippo
Il Mentore
Il Pallon volante

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Il Somaro
Lo Scontento
La Torre di Babele (ch’era il giornaletto più consonante coi tempi che correvano.)

        S’immaginò pure in allora la pubblicazione del famoso Don Pirlone che vide la luce in settembre, e di cui parleremo nel capitolo seguente.

Se dunque al giornalismo serio di Roma, d’Italia e d’oltramonti, alla lettura delle discussioni parlamentarie in quasi tutti gli stati di Europa, che attraevano la pubblica attenzione, si aggiunga col pensiero il diluvio delle pubblicazioni volanti che ti affogava, non che quello dei giornaletti umoristici il cui scopo era di minare il rispetto verso qualunque autorità; se lo stordimento nelle teste era cosa provocata a disegno; se l’anarchia nelle idee era divenuta pressochè universale, qual meraviglia che, come noi sosteniamo in queste pagine, le cose si venissero incamminando verso la repubblica?

A conseguire questo scopo il mezzo più spedito ad un tempo e il più potente quello si fu del simultaneo affratellamento di tutti i circoli d’Italia, affinchè i popoli intendendosela direttamente fra loro, i governi divenissero un fuor d’opera e nulla più.

E siccome Roma in que’ tempi dar doveva il segnale in tutte le cose, il circolo romano, che rappresentava il movimento, ne prese l’iniziativa, e quindi il 28 di agosto diresse una lettera a tutti i circoli d’Italia, che diceva così:

«S’egli è vero che l’azione incessante dei popoli per il bene della loro nazione può dare un gran peso ai trattati ai quali disgraziatamente sembra in oggi Italia dover sottoporsi, è mestieri non rimanersi dal tentare ogni mezzo che conduca a migliori destini la patria nostra, e mostri all’Europa che l’amore della libertà e dell’indipendenza in noi non è punto infiacchito per le immense sventure che ci hanno colpiti.

[p. 453 modifica]»Il circolo romano ammirò come negli scorsi giorni quasi tutti i circoli italiani si sono adoperati per il bene della nazione, e gli tardava di poter proporre anch’esso alcuna cosa degna di chi fu pure il primo iniziatore in Italia di queste utili istituzioni..... La massima della Lega dei circoli italiani fra loro fu sempre accolta con favore dalla maggioranza dei consiglieri; e nella tornata del 25 agosto 1848 si stabilì d’intfaprenderne le trattative mandandone alle stampe la proposta e chiedendone un voto libero a tutti i circoli italiani.»

A questa esposizione segue il progetto, non che le massime generali che si tralasciano e che potranno leggersi nel nostro Sommario.34

Avendo noi chiarito questo punto importantissimo delle nostre storie, cioè che il circolo romano prese l’indirizzo e l’iniziativa dell’affratellamento dei circoli in Italia, dall’azione cumulativa dei quali scaturì più tardi la repubblica, non ci resterebbe che a porgergli solenni azioni di grazie per essere stato l’iniziatore di queste utili istituzioni in Italia, come con tanta ingenuità ci dichiara l’estensore dell’articolo. Ma siccome noi Italiani per buona ventura non professiamo, salva una piccola minorità, principî repubblicani, così dovremo dire in vece che i circoli tutti in genere, e quello romano in ispecie, furon la peste d’Italia, e che fu una svista non piccola del Farini quella di aver qualificato d’innocuo il circolo romano. 35

Ripiegando di qualche giorno in dietro dobbiamo rammemorare qualche altro fatto accaduto nel mese di agosto, e trasandato dagli altri storici contemporanei.

E per prima cosa diremo come il giorno 12 il Santo Padre ricevette in udienza il principe Aldobrandini generale delle civica, il colonnello Bartolomeo Galletti, gli ufficiali superiori Ercole Morelli tenente colonnello, ed [p. 454 modifica]Eugenio Anieni maggiore, non che gli ufficiali Gazzani e conte Pianciani, i quali (meno l’Aldobrandini) appartenevano alla legione romana che fece il suo ingresso trionfale in Roma il 25 di luglio.

Scopo degli ufficiali legionari era quello di offerire al Santo Padre il loro braccio per combattere l’aggressione degli Austriaci comandati dal general Welden.

Dopo letto al Santo Padre un indirizzo scritto in termini caldissimi per sensi italiani, che la sola Pallade ci ha conservato riportandolo nelle sue colonne, 36 e ove fra le altre cose s’invocava chiarissimamente la scomunica contro gli Austriaci, vi fu qualcuno che prese la parola e si permise di osservare al pontefice quanto più efficace sarebbe stato se all’atto di protesta del 6 agosto egli, in luogo del Cardinal Soglia, avesse apposto la venerata sua firma. Al che rispose il pontefice non aver voluto esporre ad un insulto il suo nome (alludendo chiaramente all’atto del 1.° di maggio il quale venne pubblicamente lacerato il giorno 2), e quanto alla scomunica, essere ella un’arma da non doversene servire che assai parcamente e soltanto nelle ultime estremità, e se vi fu circostanza da farne uso, essere stata, in quel giorno in cui oltre a tante altre indegnità volevasi impiantare in Roma un governo provvisorio (il 1.° di maggio), e pure essersene astenuto.

Tacque il giornalismo questo episodio non piacevole al certo per gli uomini della rivoluzione, e tacquero pure i legionari. Noi non possiamo quindi produrre documento alcuno stampato per convalidare il nostro racconto. Ma i più degli officiali legionari vivono ancora; altri ch’eran presenti leggeranno un giorno queste carte; e noi ad essi ed alla lor coscienza ci appelliamo affinchè dicano s’ella è questa favola o storia.

Quanto agli atti del ministero e delle altre autorità militari, relativi alla difesa dello stato, essi furono i seguenti.

[p. 455 modifica]Il giorno 11 in seguito della notizia della cacciata dei Tedeschi da Bologna, recatisi al Santo Padre tutti i ministri, dissero di aver riportato l’autorizzazione di fare quanto si potesse per salvare la patria e difendere i sacri confini, e lo dissero mediante una specie di relazione in forma di proclama, aggiungendovi le disposizioni che volevano adottare per seguire la volontà sovrana.37

A questo atto altro ne successe, sottoscritto dal solo ministro dell’interno Fabbri, il giorno 12, col quale vengono caldissimamente eccitati i Romani ad armarsi e correre in difesa dello stato.38

Il 12 di agosto il principe Aldobrandini generale della guardia civica, dopo avere annunziato che il Santo Padre aveva accordato l’udienza al Galletti, al Morelli ed all’Anieni, officiali della prima legione romana, i quali eran desiderosi di partire, emise un ordine del giorno per eccitare i Romani ad unirsi alla legione e correre alla difesa dello stato. E con detto atto indicavansi ancora le condizioni dell’arrolamento.39

Tutte queste disposizioni bellicose vennero rese inutili dall’accordo o convenzione interceduta fra il general Welden da una parte, e il cardinale Marini, il principe Corsini ed il conte Guarini dall’altra; ed il nostro giornale officiale ne dette l’annunzio il giorno 19, aggiungendo che in seguito di ciò le truppe austriache andavano a sgomberare dal territorio pontificio;40 e quindi lo stesso ministro Fabbri emanò una circolare il giorno 22 per la sospensione degli apparecchi di guerra.41

Questa determinazione governativa in senso di rappacificamento rese inutile l’arrolamento dei civici e le [p. 456 modifica]offerte dei legionari. Ciò dette luogo ad una corrispondenza fra il Galletti colonnello di questi ultimi ed il facente funzione di ministro della guerra Camillo Gaggiotti, nella quale i curiosi posson trovare qualche interesse.42

Oro, passiamo ad altro.

Stupiranno forse i nostri lettori come una cosa di tanta importanza, quale si era la secolarizzazione del ministero degli affari esteri, ministero che aveva dato tanto mal umore ai pontefice, e che fu una delle cause del costante dissidio col Mamiani, venisse dal governo chiarita non prima del 12 agosto. E pure non fu se non in quel giorno che si vide una circolare nella quale si annunziava essere stata sempre sovrana volontà del Santo Padre che il cardinale segretario di stato pro tempore riunisse nelle sue attribuzioni tutto il ministero dell’estero a forma del motu-proprio sul Consiglio dei ministri del 30 decembre 1847, e si invitavano quindi tutti a dirigere i loro dispacci e rapporti alla segreteria di stato.43

Veniva nominato nel detto giorno a ministro delle armi il generale Gaspare La Tour svizzero.44

Il giorno seguente fu comandato alla guardia pivica di fare una. dimostrazione al pontefice in ringraziamento delle misure che aveva adottate per la tutela e indipendenza dei nostri diritti e dello stato. Sua Santità mostratasi al balcone pronunziò alcune parole e benedisse ai sottostanti. S’intende che ciò accadde ai solito sulla piazza del Quirinale.45

Giunse il 15 in Roma il celebre abate Rosmini46

In seguito dello scompiglio accaduto in Bologna per la cacciata degli Austriaci e dello stato di anarchia in cui trovossi per vari giorni ridotta quella città, essa rimase [p. 457 modifica]libera è vero dal nemico esterno; ma altro più feroce e terribile le cento volte signoreggiava in seno della città stessa. Questo era la plebe sfrenata e sanguinaria, priva di mezzi ed avida di vendette e di sangue cittadino, sotto il cui servaggio tirannico trovossi per vari giorni ridotta. Ad uscire pertanto da uno stato così terribile e minaccioso, non pei grandi e pei ricchi soltanto, ma per tutti coloro che non partecipavano a tali nequizie e costituivano la parte sana ed onesta della città (che a lode del vero in Bologna è numerosissima), veni vasi finalmente ad adottare un qualche provvedimento col quale potesse ristorarsi l’ordine manomesso, e imprimersi un carattere-di unità e di speditezza all’azione governativa.

Venne quindi istituito un commissariato straordinario per le quattro legazioni residente in Bologna, e composto dei seguenti:

Cardinale Amat come presidente e del
Conte Gaetano Zucchini, senatore di Bologna, e
Conte Galeazzo Fabbri di Cesena, come consiglieri.47

Dalle cose di Bologna ritornando poi a quelle di Roma, dobbiam rammentare che il 19 di agosto venne solennizzato con pompa nella chiesa del Gesù il rito funebre in suffragio dell’anima di Natale Del Grande colonnello della prima legione romana, morto a Vicenza il 10 di giugno, come raccontammo nel capitolo XIII, e le cui spoglie mortali giunsero in Roma il giorno 18 di agosto. 48 La descrizione del cerimoniale può leggersi nella Gazzetta di Roma.49 Ci resta solo ad avvertire che ad un tale abate Giacomo Borgonovo che doveva recitare l’orazione funebre, venne interdetta la parola dall’autorità ecclesiastica. 50

Se lamentevole fu la fine del colonnello Del Grande in guerra, lamentevole del pari fu quella del nuovo ministro [p. 458 modifica]degli Stati Uniti di America Martin il quale, giunto in Roma e presentate le sue credenziali il giorno 19, era già fra gli estinti il 23 in seguito di breve malattia. 51

Lo stesso giorno poi il nuovo ambasciatore di Spagna Martinez de la Rosa, presentava le sue credenziali alla Santità del pontefice.52

Segnavasi il giorno 26 di agosto il decreto di proroga delle Camere legislative, decreto che venne pubblicato il 2853 e che era preceduto da una relazione dei ministri di Sua Santità. Tale decreto però non essendo firmato che dal solo Santo Padre, eccitò alcune osservazioni sulla illegalità dell’atto, le quali posson leggersi nel giornale l’Epoca.54

Chiuderemo il presente capitolo col discorso che Pio IX pronunziò nella chiesa di san Pantaleo la mattina del 27 agosto ove celebravasi il centenario di san Giuseppe Calasanzio fondatore delle scuole pie. Sotto l’egida di quel pio istituto il Santo Padre ne’ suoi più teneri anni era stato educato nel collegio di Volterra. Dopo che il Santo Padre ebbe celebrato nella suddetta chiesa la messa ed amministrato il pane eucaristico, e dopo avervi pronunziato il decreto sulla beatificazione del venerabile padre Claver della compagnia di Gesù, ascoltò il ringraziamento che il padre Chiereghini fece al suo cospetto, e quindi disse le parole che seguono: 55

» Ringraziare Iddio perchè in tempi così difficili mostrava all’Italia e al mondo per nuovi esempi di essergli a cuore la sua santa religione suscitando uomini fervorosi laddove gli operai son pochi, e la messe è abbondante: che non picciolo conforto è questo datoci dal Signore nel lasciarci vedere uomini dedicati per tanti lustri a fare nuovi conquisti alla Chiesa: che tanto è più grato [p. 459 modifica]il conforto, quanto è più doloroso il vedere, come a’ nostri tempi, sia per uno, o per mille, o per diecimila, si osa introdurre nell’Italia, tutta cattolica, e fin anche nel centro della cristianità, il protestantismo: e che costoro, se dall’una parte palesano i desideri ardenti della nazionalità italiana, vorrebbero dall’altra servirsi d’un mezzo abbominevole che è fatto proprio per distruggerla: e mentre la Germania, animata dallo stesso spirito, conosce che un gravissimo ostacolo per ottenere l’intento consiste nella diversità della religione, e i protestanti fanno progetti di unione, si vedono in Italia alcuni che con immenso scandalo religioso, e con immenso danno politico, preti tendono d’introdurre il pessimo seme della separazione dall’unità della fede per ottenere l’unità della nazione. Ecco dove conduce l’acciecamento delle passioni: preghiamo Iddio che diradi queste tenebre, e stiamo sicuri delle divine promesse, che le porte dell’inferno non prevarranno contro la Chiesa

Questo discorso pieno di verità e modello di assennatezza perchè consacra il principio, che non può esservi unità politica, ove sia, disunione nei principi religiosi, non solo non piacque ai novatori, ma eccitò le lor grida contro il papa, e contro le sue tendenze reazionare. E pure non una parola pronunziò che ne desse il menomo indizio. Parlò e insistette apertamente sulla necessità dell’unità religiosa, il che e come pontefice e come sovrano avrebbe sempre dovuto fare. Se pertanto il difendere la religione degli avi nostri, quella che succhiammo col latte, quella che salvò il nostro paese dalla barbarie, quella di cui il papa come pontefice massimo esser deve il vindice e il propugnatore, costituisce la taccia di reazione, Pio IX fu al certo il primo reazionario del mondo.

Altro di notevole non presentandoci il mese di agosto, diamo fine col discorso del papa al capitolo XVI.




Note

  1. Vol. II, pag. 277.
  2. Vedi il vol. VI, Documenti, n. 119.
  3. Vedi il detto vol. n. 122 e 128.
  4. Vedi il vol. VI, Documenti, n. 125.
  5. Vedilo nel vol. VI, Documenti, n. 126.
  6. La suddetta intestazione era soltanto nel foglietto a stampa che circolava per Roma.
  7. Vedi il Giornale romano dell’8 agosto 1848. — Vedi la Gazzetta di Roma del 7 detto, n. 153, pag. 613. — Vedi vol. VI, Documenti, numeri 127 e 130.
  8. Vedi l’Epoca del 7 agosto 1848.
  9. Vedi il Supplemento al n. 153 della Gazzetta di Roma.
  10. Vedi Farini, vol. II, pag. 293.
  11. Vedi Farini, vol. II, pag. 281
  12. Vedi la Gazzetta di Roma dell’8 agosto 1848.
  13. Vedi la Gazzetta di Roma dell’8 agosto pag. 617. — Vedi il vol. VI, Documenti, numeri 137 e 139.
  14. Vedi la Gazzetta di Roma dell’11 agosto 1848. — Vedi Vol. VI. Documenti, numeri 135, 138, 146, 147, 148. — Vedi Farini vol. II, pag. 290.
  15. Vedi il VI Vol. Documenti, n. 136. ,
  16. Vedi il Supplemento al n. 153 della Gazzetta di Roma.
  17. Vedi la Pallade del 9 agosto 1848.
  18. Vedi il Cassandrino del 10 agosto — Documenti, vol. VI, n. 141.
  19. Vedi il Contemporaneo del 9 agosto 1848. — Vedi pure la Pallade del 9 agosto, n. 315.
  20. Vedi il vol. VI. Documenti, n. 116.
  21. Il Ciceruacchio, oltre i trasporti, occupavasi pure nel negoziato di legna da ardere e di foraggi per bestiame.
  22. Vedi la Gazzetta di Roma dell’8 agosto 1848. — Vedi nel vol. VII Documenti (seconda collezione) il bollettino anticipato della Gazzetta di Roma, ov’è riportato il dispaccio del card. Soglia al card. Marini dell’8 agosto, numero 48.
  23. Vedi la Gazzetta di Roma dell’8 agosto 1848.
  24. Vedi la Gazzetta di Roma del 16 agosto 1848, pag. 643.
  25. Vedi la Gazzetta di Roma del 17 agosto 1848, pag. 647 e 648. — Vedi Lubiensky, Guerres et révolutions d’Italie, pag. 360.
  26. Vedi la Pallade del 12 agosto.
  27. Vedi la Gazzetta di Roma del 14 detto.
  28. Vedi l’Epoca del 11 agosto 1848.
  29. Vedi il vol. VI. Documenti, n. 145.
  30. Vedi il vol. VI. Documenti, n. 166.
  31. Vedi il vol. VI. Documenti, n. 160.
  32. Vedi il Giornale romano del 24 agosto 1848, pag. 4.
  33. Vedi il vol. VI Documenti, n, 164.
  34. Vedi il Sommario n. 34. — Vedi nell’Epoca del 31 agosto 1848 tulto ciò che al progetto dell’affratellamento dei circoli si riferisce.
  35. Vedi Farini vol. I, pag. 276, ediz. Le Monnier del 1853.
  36. Vedi il Supplemento al n. 318 della Pallade del 12 Agosto 1848.
  37. Vedi il vol. VI. Documenti, n. 144.
  38. Vedi il vol. I, Atti officiali, n 93. — la Gazzetta di Roma del 12 agosto 1848.
  39. Vedi la Gazzetta di Roma del 12 agosto 1848.
  40. Vedi il vol VI. Documenti, n. 155 e 156.
  41. Vedi Appendice al vol. I, Motu-propri. V. n. 26.
  42. Vedi il Contemporaneo del 24 agosto 1848.
  43. Vedi il vol. VI, Documenti, n. 150.
  44. Vedi il Giornale romano del 14 agosto 1848.
  45. Vedi la Gazzetta di Roma del 14 agosto 1848 pag. 637. — Vedi il VI vol. Documenti, n. 153.
  46. Vedi il Giornale romano del 17 agosto 1848.
  47. Vedi la Gazzetta di Roma del 16 agosto 1848.
  48. Vedi la Pallade, n. 321.
  49. Vedi la Gazzetta di Roma del 19 agosto 1848.
  50. Vedi l’Epoca, n. 128. — Vedi la Pallade, n. 323.
  51. Vedi la Gazzetta di Roma del 19 e quella del 31 agosto 1848.
  52. Vedi la Gazzetta di Roma del 24 detto.
  53. Vedi la Gazzetta di Roma del 28 detto.
  54. Vedi l’Epoca del 29 e del 31 detto.
  55. Vedi il Giornale romano del 29 agosto 1848, pag. 1.