Sull'Oceano/L'Oceano Azzurro

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L'Oceano Azzurro

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Il mare di fuoco Il morto

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L’OCEANO AZZURRO


Qui, al diciassettesimo giorno, trovo notato sulla carta del Berghaus che si doveva passare la famosa linea tirata da Alessandro VI per dividere il mondo tra il Portogallo e la Spagna; e accanto queste parole: — Bel tempo fuori e in casa. — E difatti l’umore di quella moltitudine d’emigranti seguiva con fedeltà mirabile le variazioni del mare. Come parlando con un personaggio potente, al quale domandiamo un favore, e che ci può nuocere, il nostro viso riflette inavvertitamente tutte le espressioni del suo, così i pensieri e i discorsi di tutta quella gente si facevan neri, gialli, grigi, azzurri, lucenti secondo che era il colore delle acque. Esattissimo è il dire “la faccia del mare„ [p. 259 modifica] poichè lo spianarsi e il corrugarsi della sua superficie, e le ombre che vi guizzano, e le tinte pallide o tetre che la coprono all’improvviso, rassomigliano in modo maraviglioso ai moti d’una faccia umana, la quale rispecchi l’agitazione d’un animo mobilissimo e malfido. Quanti mutamenti si succedevano in poche ore, sempre rimanendo buon tempo! L’oceano, che appariva vecchio e stanco, ringiovaniva in pochi minuti, corso da un fremito di vita che lo mutava tutto, e poi si racquetava, pensieroso, e s’annoiava, e s’addormiva, e poi su, si svegliava come per una scossa, inquieto, accigliato, come offeso da quel guscio di noce pien di formiche che gli passava sul corpo, e pareva che meditasse un brutto tiro: poi ricadeva in una indifferenza sprezzante, o perdonava e diceva: — Passate, passate, — sorridendo. E mutava rapidamente con esso l’aspetto del piroscafo, come se quelle mille e seicento persone avessero avuto un solo sistema nervoso. Alle dieci tutti sdraiati, silenziosi, con facce di gente che non avesse più nulla a sperare a questo mondo, davano al Galileo l’apparenza d’un lazzaretto natante: un’ora dopo, per effetto d’un soffio che spazzava l’orizzonte o d’un raggio che dorava la prua, tutti in piedi, tutti in moto, e un [p. 260 modifica]mormorio, un’allegrezza di festa, di cui essi medesimi erano stupiti. E così cambiava man mano la loro disposizione d’animo verso di noi, e la maniera di accoglienza che ci facevano in casa loro. La mattina occhiatacce, voltate di spalle e anche male parole fischiate rasente le orecchie: un’antipatia spiegata per i “signori.„ La sera dello stesso giorno, invece, sguardi benigni, avvertimenti ai ragazzi che ci lasciassero passare, e anche parole amichevoli buttate così per aria, per attaccare discorso. E anche in questo noi facevamo come loro. Pensavamo spesso, guardandoli, con un bel sereno: — Povera e buona gente! Son nostri, infine. Che cosa non si darebbe per vederli contenti! Come sarebbe bello essere amati da loro! — E in altri momenti, nell’afa del cielo chiuso: — Che razza di cani! Pensare che ci farebbero morir tutti perpendicolarmente, se potessero! E noi li andiamo a accarezzare, imbecilli.

Ma quel giorno il mare era azzurro, e a traverso al buon umore della popolazione di terza, come per una trasparenza morale, si potevano fare molte osservazioni psicologiche nuove. Poichè bisogna notare: sotto la trama dei dispetti e degli odi se n’era ordita, in quei [p. 261 modifica]sedici giorni di viaggio, un’altra di simpatie, d’amori e di ripeschi, molto intricata, e assai più variopinta dell’altra. Il Commissario sapeva tutto o quasi, per veduta propria e per quello che gli andavano, a riportare, richieste o no, quindici o venti comari informate d’ogni braca, le quali esercitavano a prua lo stesso ufficio che la madre della pianista e l’agente di cambio facevano a poppa. Ed era un divertimento impagabile il sentirgli sfilar la corona delle passioni, sul palco di comando, con gli occhi sulla folla, indicando via via i personaggi, con quella sua parlata lenta di giudice di pace, comicissimo dentro e grave di fuori. La prua tutta nera di gente ci si stendeva di sotto come un vasto palcoscenico scoperto, accarezzato in quel momento da una brezza morbida, che faceva sventolare i panni distesi a asciugare e svolazzar le cocche dei fazzoletti e i capelli sulle tempie alle donne. Ed egli raccontava. Gli amori eran molti, ed essendo costretti a rimanere la più parte, o sempre o quasi sempre, nei confini d’una castità rigorosa, s’erano venuti rinfiammando e inasprendo, si può dire, a veduta d’occhio, come non accade mai nelle città o nelle campagne. Non c’era donna giovane, maritata o ragazza, che non avesse il suo o i suoi vagheggiatori, [p. 262 modifica]impudenti o prudenti, cotti più o meno, e sì o no corrisposti, alla coperta o alla palese. La continenza, e quell’aver sempre l’oggetto lì sotto gli occhi, quasi a contatto, nel disordine del vestito della mattina, o nell’abbandono del sonno lungo il giorno, o nella nudità libera della maternità, aveva fatto nascere capricci e passioncelle vive anche per matrone rustiche semisecolari, che sul continente non sarebbero state degnate d’un pizzicotto. Le giovani poi, se non eran facce da far paura, avevano addirittura dei cerchi di sospiranti; alcuni dei quali, dopo qualche tempo, si stancavano, e si voltavano a ciondolare intorno a un’altra bellezza, lasciando ad altri il posto vuoto; e così i gruppi si venivano mutando. C’erano concupiscenze passeggiere e contemplazioni platoniche, che miravano, più che altro, a ingannare il tempo, e anche corteggiamenti burleschi, fatti per spassare i camerati. Ma c’erano pure innamoramenti seri di maschi presi fino all’anima, d’un’audacia e d’una brutalità che sfidava la luce del sole e il regolamento di disciplina, ostinati e gelosi come arabi, che non volevano concorrenti d’attorno e minacciavano coltellate a destra e a sinistra. Questi avevano tutti i loro posti fissi, di dove durante il giorno, quando non si poteva [p. 263 modifica]nulla tentare, covavano l’oggetto dei loro spasimi con occhi di sparvieri che fissan la preda, e ingiuriavano perfino coloro che, passando, intercettassero i loro sguardi. Avevano preso fuoco perfin certe teste grigie, certi bifolchi cinquantenni dalla pelle di rinoceronte, nei quali si sarebbe detto che la scintillaccia non si dovesse più accendere nemmeno per confricazione. Uno di questi, un monferrino con un muso di cinghiale, era diventato addirittura canuto spettacolo per la contadina di Capracotta, il cui visetto tondo di madonna mal lavata, colorito dal riflesso del suo fazzoletto a rose vermiglie, faceva girar la cùccuma anche a vari altri, non ostante la presenza d’un lungo marito barbuto. Le due coriste che andavano in giro dalla mattina alla sera, ridendo con tutti, strofinandosi a tutti, tastate da tutte le parti, pareva che si divertissero particolarmente a fuorviare i buoni mariti: le mogli le odiavano come la peste, e le apostrofavano senza complimenti, dietro lo spalle e davanti, minacciando di ricorrere al Commissario, perchè ripulisse la prua, ch’era una cosa che metteva schifo. Ma non eran le sole: c’eran delle altre facce rotte di città che seducevano i padri di famiglia con un po’ di farina sul muso e un po’ di porcheria nel [p. 264 modifica]fazzoletto, e passavan davanti alle mogli costumate con un certo ghigno da schiaffi, dandosi l’aria di signore: un’infamia; che cosa ci stava a fare a Genova la questura? Ma l’avevano amara soprattutto con quello scimmione di negra dei brasiliani, che non veniva che all’ora dei pasti, e la sera, ma che aveva acceso un vero vulcano di passionacce: pareva impossibile, dicevano, con quella nappa rincagnata e quel fetore di caprone; e tutti dietro e intorno, come cani in fregola, a fiutare quel sudiciume, e lei ci sguazzava. Già per essa due mariti erano andati a un pelo dal pigliarsi a pugni, e all’uno la moglie aveva fatto una scenata che s’era intesa fin dalla macchina, all’altro la sua aveva ammollato un sonoro manrovescio, ch’egli aveva puntualmente restituito, riserbandosi a pagare gl’interessi in America. La grossa bolognese, almeno, serbava un certo decoro, voleva portare intatto nell’altro mondo, diceva il Commissario, il suo nome di ragaza unesta: si buccinava bensì che avesse il cuore ferito da un emigrante svizzero, e la sua condotta notturna era dubbiosa; ma di giorno, tra la gente, serbava una dignità d’arciduchessa, tanto più dignitosa, anzi, e più sprezzante, quanto più cresceva intorno a lei l’insolenza delle supposizioni [p. 265 modifica]facete intorno al mistero della sua inseparabile borsa. C’eran poi molte altre che, anche nell’amore, davano buon esempio: ragazze morigerate, o almeno timide, che amoreggiavano decentemente con dei giovani per bene, i quali s’atteggiavano ad amici del cuore o ad amanti di seri propositi, e stavano tutto il giorno imbastiti alle loro gonnelle, in atteggiamento languido, ma rispettoso, sotto gli occhi dei parenti. Ma, in generale, la galanteria aveva dei portamenti e parlava un linguaggio che doveva accelerare e raffinare in modo speciale l’educazione dei fanciulli, e delle molte ragazzine tra i dieci e i quattordici anni, ch’erano a bordo, e che in quel serra serra vedevano e sentivano tutto. I più bassi istinti, domati nella vita ordinaria dalle fatiche, o dormenti nella quiete solitaria dei campi, s’erano risvegliati a poco a poco, come bisce, nel petto di tutta quella gente affollata e scioperata, ai calori tropicali, e quando l’oscurità della sera imbaldanziva i circospetti e toglieva ogni freno agli impronti, se ne intravvedevano e se ne sentivano di quelle da far arrossire dei corazzieri a cavallo. Per la forma, s’intende, essendo pornografia a grossi bocconi; chè, quanto alla sostanza, era la stessa che in molti salotti come si deve si distribuisce e si [p. 266 modifica]inghiotte a pillole d’oro, senza che nessuno si scandalizzi. E poi.... che succedeva poi? Interrogato su questo punto, il Commissario s’arricciava il baffo destro, tentennando il capo. Senza dubbio, il regolamento parlava chiaro, il comandante non transigeva, e il piccolo gobbo era incorruttibile; ma la prua era vasta, rischiarata poco, piena d’angoli bui e di ripari opportuni; e tra gli emigranti, più dell’invidia e della gelosia che li avrebbero spinti a disturbare, poteva il sentimento della solidarietà, fondato sull’hodie mihi cras tibi, che gl’induceva a proteggere. Oltre di che, durante la notte, il gobbo non era sempre lì sulla scala del dormitorio a fare la guardia, e spesso s’addormentava; e allora era una baldoria di contrabbandi, una tarantella di peccati mortali, che, se la vedevan le stelle della Croce, spettatrici degli amori all’aria aperta degl’indiani, dovevan proprio dire che tutti gli uomini son fratelli. Nelle notti senza luna e senza stelle, in special modo, e quando il caldo era forte, non sarebbe bastato un battaglione di gobbi. Giusto, il mio buon scrignuto passò mentre parlavamo di lui, con una boccetta d’olio in una mano, e seguendo forse un suo corso di pensieri, mi disse: — Scià sente: l’è pezo una bionda che sette brunne. — (È peggio una bionda [p. 267 modifica]di sette brune.) Poi, raccoltosi un momento, o alzando l’indice, soggiunse: — Se e’ porcaie pesassan saiescimo zà a fondo da sezze giorni (Se le porcherie pesassero, saremmo già a fondo da sedici giorni.) E aoa còse gh’è? (E ora cosa c’è?)

Erano i ragazzi di prua che battevan le mani a una manovra con cui s’alzavano le vele di gabbia, di parochetto e di contromezzana, in modo che il piroscafo si ritrovava con tutte le sue grandi ali spiegate, e filava sul mare azzurro nella piena maestà della sua bellezza. Nello stesso momento, come per fargli festa, uno stormo d’uccelli acquatici del Brasile venne a far tre giri intorno agli alberetti delle gabbie, e poi sparve. Non m’era mai parso così bello il Galileo. Largo e poderoso; ma le curve agili dei suoi fianchi e la grande lunghezza gli davan la grazia d’una gondola smisurata. I suoi alberi altissimi, congiunti come da una trama di cordami, parevano fusti di gigantesche palme diramate, legate da liane senza foglie, e le ampie bocche purpuree delle trombe a vento rendevan l’immagine di colossali calici di fiori, attirati dall’America invece che dal sole. I fianchi neri di catrame e severi, la coperta irta di ordigni di ferro e sorvolata da nuvoli di fumo [p. 268 modifica]oscuro; ma questo aspetto rude di vasta officina, rallegrato dalle lance azzurrine librate sui parapetti, dalle alte maniche a vento candide e gonfie, dai ponti mobili spiccanti nel cielo, da cento luccichii di metalli, di legni, di vetri, da mille oggetti e forme diverse e bizzarre, che rappresentano ciascuna una comodità, un’eleganza, una difesa, un’industria, una forza. E il rumorìo della macchina, i colpi profondi del propulsore, le piattonate dell’elice, il cigolìo delle catene del timone, il sibilo del solcometro, il fremito delle griselle, il tintinnìo dei cristalli sospesi, formano una musica diffusa e strana, che accarezza l’orecchio ed entra nell’anima come un linguaggio misterioso di gente sparpagliata e invisibile, che a bassa voce s’inciti a vicenda al lavoro e alla lotta. La poppa sussulta sotto i nostri piedi come la carcassa d’un corpo vivo; il colosso ha guizzi improvvisi, dei quali non si comprende la causa, e che paion tremiti di febbre, scatti bruschi e senza grazia, che paiono atti di dispetto, e mosse replicate di prua, che sembran gli scotimenti d’una enorme testa che pensi; e fila altre volte per lunghi tratti così fermo e pari sul mare agitato, che una palla d’avorio non si moverebbe sulle sue tavole, e pare che non [p. 269 modifica]lambisca le onde. E va senza posa, nella nebbia, nelle tenebre, contro il vento, contro l’onda, con un popolo sul dorso, con cinquemila tonnellate nel ventre, dall’uno all’altro mondo, guidato infallibilmente da una piccola spranghetta d’acciaio che può servire a tagliare i fogli d’un libro, e da un uomo che fa girare una ruota di legno con un leggero sforzo delle mani. Noi ricorriamo col pensiero la storia della navigazione, e risalendo dal tronco d’albero alla zattera, dalla piroga alla barca a remi, e su su per tutte le forme della nave ingrandite e fortificate dai secoli, ci fermiamo dinanzi a quella forma ultima per raffrontarla alla prima, e il cuore ci si gonfia d’ammirazione, e ci domandiamo quale altra opera meccanica più maravigliosa abbia compiuto la razza umana. Più maravigliosa dell’oceano che essa rompe e divora, e alla cui minaccia continua risponde collo strepito infaticato dei suoi congegni: — Tu sei immenso, ma sei un bruto; io son piccolo, ma sono un genio; tu separi i mondi, ma io li lego, tu mi circondi, ma io passo, tu sei strapotente, ma io so.

Ah! povero orgoglio umano! Mentre ero su quei pensieri, corse un brivido da poppa a prua, [p. 270 modifica]e cento voci inquiete, mille visi paurosi s’interrogarono a vicenda. Il piroscafo stava per fermarsi. Molti s’affollarono ai parapetti, a guardar giù, senza saper che cosa; altri corsero dal comandante; qualche signora si preparava a svenire. Il piroscafo si fermò. È impossibile esprimere l’impressione sinistra che produsse quella quiete improvvisa, e che triste figura di povero balocco spezzato fece tutt’a un tratto quell’enorme bastimento immobile e silenzioso in mezzo all’oceano! Come svanì subito la fiducia nelle sue forze e nella potenza dell’uomo! E nello stesso punto si rivelò la malvagità umana che gode del terrore e delle angosce altrui: dei passeggieri spargevan la voce che stesse per scoppiare una caldaia, che si fosse rotta la chiglia e che entrasse l’acqua nella stiva. S’udirono grida di donne. I fuochisti che, terminato il loro turno, risalivano in coperta col torso nudo e nero, furono circondati, incalzati di domande affannose. Gli ufficiali andavano di qua e di là dicendo parole che il mormorìo della folla non lasciava intendere. Finalmente si diffuse a prua e a poppa una notizia rassicurante: — non era nulla: il riscaldamento d’un cuscinetto dell’asse motore; si stava riparando; fra un’ora si sarebbe ripartiti. — Tutti respirarono; [p. 271 modifica]alcuni, che pure s’eran fatti pallidi, scrollaron le spalle, dicendo che avevano indovinato alla prima; ma la maggior parte rimasero sopra pensiero, come accade quando s’è sentito una puntura o un battito irregolare del cuore. Quella macchina, di cui nessuno parlava prima, diventò allora il soggetto di cento discorsi, tutti pieni di una sollecitudine e di un rispetto fanciullesco, che faceva sorridere. Perchè, insomma, essa era il cuore del piroscafo, è vero? Il Comando è il cervello, e se il cervello si guasta, si può vivere ancora; ma se il cuore s’arresta, tutto è finito. E come si chiamava il macchinista? Aveva l’aria d’un uomo di intelligenza e d’esperienza. Non parlava mai. Doveva aver molto studiato. Avrebbe saputo cavarci d’impaccio. Tutti ne facevan le lodi, senza conoscerlo. Solamente il mugnaio scrollava il capo, con un sorriso di pietà, portando a spasso pel cassero la sua pancia vanitosa. Macchinisti italiani! Egli si aspettava di peggio. Americani o inglesi avevano ad essere. Ma la pitoccheria nazionale non ne voleva sapere. — Faltan patacones! — gli rispondeva il prete. (Mancan gli scudi.) Ma a capo a mezz’ora le conversazioni languivano, quell’ora benedetta non passava mai, le inquietudini rinascevano. — Ma che ci voglia tanto, [p. 272 modifica]perdio, a far raffreddare un cuscinetto! — esclamava più d’uno che non sapeva neppure che cosa fosse. — È una vergogna! Ma che cosa stillano là sotto? Chi ha mai visto dei buoni a nulla.... Ah! finalmente! La macchina dà segno di vita, l’elice si scuote, il mare gorgoglia: sia ringraziato il cielo! Si va.

Eppure ciò che mi fece più senso in quell’avvenimento nuovo per me fu lo sguardo che si scambiarono due persone: tanto è vero che lo spettacolo più attraente per l’uomo è sempre quello dell’anima umana. Proprio nel momento che, non conoscendosi ancora la causa della fermata improvvisa, si poteva temere un pericolo grave, e tutti lo temettero, trovandomi io sulla piazzetta, vidi il mio vicino di dormitorio voltarsi a guardar sua moglie, che stava su, appoggiata al parapetto del cassero, e questa, come se avesse preveduto quell’atto, fissar lui. Fu uno di quegli sguardi che rivelano l’anima come un raggio esaminato allo spettroscopio dimostra la natura chimica della fiamma che lo vibra. Non era nè d’ansietà nè di paura, e neppure di curiosità dubitosa; ma uno sguardo freddo e tranquillo, il quale esprimeva la profonda certezza che avevan tutti e due dell’indifferenza [p. 273 modifica]assoluta dell’un per l’altro, anche davanti a quel pericolo sconosciuto da cui poteva uscire la morte. S’erano detti a vicenda con gli occhi: — Io so che non t’importerebbe nulla di perdermi, tu sai che perderei te con lo stesso cuore. — Dopo di che la signora si staccò dal parapetto, e il marito guardò altrove. Questo sarebbe stato il loro addio, se una disgrazia li avesse divisi per sempre. Ma che cosa era accaduto tra loro perchè nello stesso tempo s’odiassero a quel segno e rimanessero uniti? Sempre mi ritornava alla mente, a mio malgrado, questa domanda. E pensai che ci dovessero essere dei figliuoli di mezzo, che li costringessero a stare insieme; o un figlio unico, che in casi simili è un legame più forte che parecchi. Nessuno a bordo li conosceva. Quel continuo sorriso forzato, e quasi tremante, di lei, ispirava a tutti una certa ripugnanza, benchè essa, indovinando quel sentimento, si sforzasse di vincerlo, cercando di dare al suo viso e alla sua voce un’espressione di bontà e di tristezza, come se fosse addolorata, ma rassegnata ai falsi giudizi. Egli parlava con pochissimi. Pareva impacciato con la gente, come tutti quelli che sanno che la loro infelicità è manifesta, e si vergognano o si sentono offesi della pietà che essa [p. 274 modifica]ispira. S’indovinava peraltro da certe espressioni rapide dei suoi occhi e della sua bocca, ch’egli doveva essere stato altre volte d’animo aperto e incline all’amicizie gaie, e buono fors’anche; ma che tutte le molle della sua natura s’erano spezzate o allentate l’una dopo l’altra in una lunga lotta contro un avversario più forte o più tenace di lui. Era facile accorgersi, in fatti, che egli temeva sua moglie, ma che questa non temeva lui. Si capiva dallo sguardo di sospetto che egli volgeva intorno quando scambiava qualche parola con la signora argentina o con la brasiliana; davanti alle quali stava in quell’atteggiamento di rispetto amorevole e triste che suol tenere con le mogli degli altri chi è infelice con la propria, e vede in ognuna di quelle l’immagine d’una felicità, o almeno d’una vita tollerabile, che a lui non è concessa. E faceva tanto più pena quella timidità di fanciullo martoriato in quell’uomo alto e complesso, a cui rimaneva ancora nei lineamenti una certa bellezza virile. A guardarlo da vicino, gli si vedeva quel tremito frequente dei muscoli delle labbra, che distingue gli uomini abituati a comprimere la collera, e quel modo di fissar gli occhi nel vuoto, senza sguardo e per lungo tempo, che è proprio delle tristezze che vagheggiano il suicidio. [p. 275 modifica]E non mostrava mai la noia e l’impazienza degli altri passeggieri: egli pareva indifferente al tempo come i prigionieri condannati a vita. Io non mi sarei maravigliato affatto se avessi inteso dire da un momento all’altro ch’egli s’era gittato tra le ruote della macchina. Forse, a casa sua, avrà avuto la distrazione del lavoro o del movimento, qualche amico, o un vizio con cui cercava di stordirsi: per qualche ora, almeno, non avrà veduto sua moglie. Ma là, su quei quattro palmi di tavolato, esser costretto a vederla e a toccarla di continuo, a odiarla e a esser odiato sotto gli occhi di tutti, e a respirare l’alito suo in una segreta senza luce e senz’aria, era insieme il supplizio della reclusione, della berlina e della galera. E non un’anima umana con cui sollevarsi! Perchè a nessuno egli aveva fatto ancora la minima confidenza, che si sarebbe risaputo, essendo smaniosi tutti di penetrare il loro segreto. E neppur essa parlava. Erano due tombe chiuse, in ciascuna delle quali si dibatteva un mostro sepolto vivo, senza chiedere aiuto nè pietà.

Quella notte, però, io credetti d’essere sul punto di scoprire il mistero. La brezza era quasi cessata, e il mare dormiva, in modo che la sera [p. 276 modifica]tardi quando scendemmo per coricarci, scorrendo il piroscafo senza scosse e senza scricchiolio, si sentivano tutti i più leggieri rumori da un camerino all’altro, come in quei pericolosi alberghi a tramezzi di legno di certe piccole città del Reno, nei quali le Guide raccomandano di “essere discreti„. Quando entrai nel mio camerino, sentii la voce soffocata della signora che parlava rapidamente, con un tuono aspro e monotono, come se facesse una lunga recriminazione, riandando il passato, ricordando fatti e persone; e la voce del marito rispondeva basso, a intervalli, con rassegnazione: — Non è vero, non è vero, non è vero. — Ma incalzando sempre più e inasprendosi l’accusa, le denegazioni di lui pure s’andavano inasprendo e precipitando. L’infelice, impotente a lottare, e neppur più curante oramai di serbare nelle dispute la dignità d’uomo, era ridotto, alla misera difesa della femminetta che ripete per un’ora la stessa parola, per paura che il silenzio assoluto non le tiri addosso di peggio. Ma tutt’a un tratto si riscosse, e mise fuori un’onda di parole incomprensibili, furibonde, oltraggianti, disperate, troncate da un gemito di cane arrabbiato, che mi fece fremere.... S’era addentato le mani. Essa rise. Stetti un momento in ascolto, [p. 277 modifica]aspettando il rumore d’una ceffata o il rantolo di lei afferrata alla gola. E intesi invece daccapo la voce di lui, ma umile e supplichevole, che pronunciò più volte un nome, “Attilio„, la voce di un uomo che si confessa vinto, che domanda grazia, che consente a tutto, purchè una cosa sola gli sia concessa. Attilio doveva essere un figliuolo, e suo padre uno di quegli uomini, spesso anche fortissimi di tempra, che l’affetto paterno rende pusillanimi, e tien curvi, con le braccia incatenate, sotto al flagello della donna che li può ferire a morte in quell’unico affetto. Non mi parea possibile che a quella supplicazione miseranda non rispondesse la voce della moglie impietosita, e tesi l’orecchio.... Non udii risposta. Scricchiolarono le assicelle d’una cuccetta: la signora si era coricata, senza rispondere. Allora sentii come il rumore d’una mano che frugasse violentemente dentro a una valigia, e mi passò pel capo che egli cercasse una rivoltella. Ma lei continuava a tacere. Quel disgraziato non aveva neppure più il conforto d’essere creduto capace d’un atto di disperazione. Mentre stavo ansioso, aspettando il colpo, s’affacciò un uomo al mio camerino, e al chiarore incerto del lume a bilico riconobbi l’agente. [p. 278 modifica]

Non intesi bene le sue prime parole perchè badavo al mio vicino: ma nessuno scoppio s’udì: gli era mancato forse il coraggio, come altre volte: intesi invece il rumor d’un corpo che si lascia cadere, come spossato, e il colpo d’una mano sopra la fronte. L’agente non s’avvide di nulla. Aveva ben altro pel capo. Veniva a sfogare la sua stizza con me. Il suo camerino era diventato inabitabile.... da un uomo. Egli aveva infilato un pastrano, e da mezz’ora girava in pantofole per i corridoi, aspettando che i suoi due vicini s’addormentassero. — La grammatica spagnuola, — dissi. Per l’appunto, la grammatica spagnuola; non era altro; ma battevano troppo spesso sul paragrafo delle interiezioni. Gl’importava assai che quello stucchino di Lucca della signora terminasse con dire l’Ave Maria. Il peggio era che mentre i primi giorni i suoi colpi di tosse e le sue gomitate contro al tramezzo gli intimidivano, ora ci avevan fatto l’orecchio, e se ne infischiavano. Facevano delle vere orgette da “gabinetto particolare„, rosicchiavan dei dolci portati via da tavola, sorbivan del rosolio: gli pareva perfino che facessero dei giochi di ginnastica da camera, con salti e rotoloni; un monte di monellerie che non si sarebbero immaginate mai a vederli di sopra, con [p. 279 modifica]quella timidezza bugiarda di santerelli. Il giorno dopo si sarebbe vendicato; li voleva perseguitare da poppa a prua come un aguzzino, senza lasciarli rifiatare un minuto, e farli diventar pavonazzi a ogni boccone, alla mensa. Che facce! Nulla di più insopportabile del settimo sacramento a bordo, quand’era fresco. Intanto gli toccava di galoppare. Ma non aveva perso il suo tempo. Uscendo dal camerino aveva visto sparire in fondo al corridoio traversale un fantasma bianco, e riconosciuto la signora svizzera; ma non gli era riuscito di scoprire dove si fosse rimbucata, non essendo possibile dall’argentino dell’occhialetto, perchè gli argentini s’eran tutti raccolti nel camerino del gaucho, di dove usciva un tintinnìo di calici, nè dal toscano, che da due sere andava a prua, dove pareva che avesse un rigiro. Sospettava del discendente degli Incas; ma aveva bisogno d’accertarsi. Quanto al professore, credeva che fosse sul cassero, ad aspettare una pioggia di stelle cadenti: quando la signora voleva sbrigarsene si lagnava del caldo, diceva che in due nel camerino si soffocava, e allora lui andava su a studiare le costellazioni. Certo che quel tegamaccio della cameriera genovese, che la notte stava sempre di guardia al crocicchio dei corridoi, non ci doveva star [p. 280 modifica]soltanto per sorvegliare il suo Ruy Blas, ma anche per proteggere le scappate di lei, chè altrimenti non sarebbe stato credibile che le passasse sui piedi con tanta disinvoltura. Gli era anche parso di veder trasvolare nell’ombra la negra, e s’era fissato in testa che il marsigliese avesse iniziato un corso di studi sulla razza etiopica. E anche la cameriera veneta gli era parso che quella sera girasse per i corridoi con un becco concupiscevole, che gli destava dei sospetti. Insomma, era una notte agitata, nessuno dormiva, ci sarebbe stato molto materiale per la piccola cronaca del giorno seguente. Già aveva veduto mettere il viso all’uscio due o tre volte la madre della pianista, spiando intorno con una curiosità fiammeggiante. E a proposito: egli seguitava a tener d’occhio la figliuola, a cui brillava il viso di tanto in tanto, quando qualcuno passava; ma chi fosse questo qualcuno non aveva ancora potuto scoprire, perchè sempre, quando aveva visto una di quelle illuminazioni istantanee, eran passati parecchi, e la giovane volpe era così pronta a raccogliere lo sguardo, che non gli era riuscito mai di coglierne la direzione. Oh! una passioncella senza conseguenze, un foco occulto: era tenuta a catena: tutto sarebbe finito in una lettera e in un colpo di forbici.... Ma [p. 281 modifica] qualche cosa c’era, e avrebbe indagato ancora. E non avevo inteso la novità? Avevano mandato in fretta a chiamare il prete napoletano, che era uscito a passi di dromedario, infilandosi il tonacone: qualcheduno doveva star male a prua. — Basta, — concluse, — vado su in riposteria a bere un bicchiere di birra, e poi rivengo giù a vedere se si son quetati: accidenti! Buona notte.

Fu una pessima notte. Eran vicine le dodici, e la maggior parte vegliavano ancora. L’afa opprimeva tutti. E per giunta pareva che quella notte il dormitorio si fosse mutato in una enorme cassa armonica, in cui ogni sospiro diventava sonoro, e si sentiva da un capo all’altro dei corridoi. Nel camerino dietro al mio russava il mugnaio, che ogni tanto cambiava di posizione, mettendo un gemito, e sclamando: — Ah! povra Italia! — che doveva essere il suo intercalare. Di quando in quando mi giungevano all’orecchio affievoliti i colpi di tosse della signorina di Mestre, che dormiva dall’altro lato del piroscafo. Il bimbo più piccolo della brasiliana, malaticcio, piangeva, e sentivo la cantilena sommessa e triste della negra, una specie di singulto d’upupa, che mi faceva passare per la fantasia i canti lamentevoli degli schiavi d’Africa [p. 282 modifica]sepolti nelle stive dei velieri immobili, sotto il sole dell’equatore. Di fronte a me, chiacchieravano senza un riguardo al mondo l’avvocato e il tenore, e intesi che parlavan della Grecia. Udii esclamare; — Giorgio Byron! — Poi l’avvocato che diceva: — Dunque lei non tien conto delle forze del panslavismo? — Ah! — rispose il tenore, — non mi parli del panslavismo. Per sua regola, non venga mai a par-la-re-a-me del panslavismo! — Sentii dei frammenti di conversazione del prete napoletano col chileno, che dovevan esser ritti in mutande, ciascuno sull’uscio del suo camerino: — Cuando se produce un movimiento de baja en el precio del oro sellado.... — Finalmente tutti tacquero. Ma quando non s’è preso sonno subito, in quelle notti afose, dentro a quelle stie di camerini, non c’è più da sperare altro che uno stato di dormiveglia affannoso, nel quale il senso della vista e dell’udito rimangon come velati, ma non sopiti, e il sogno, se si può chiamar sogno ancora, piglia un andamento ad altalena vertiginoso, trasportandoci senza posa dal mare a casa nostra, e di qui sul mare, e poi daccapo a casa, con una lucidità di visione e una brutalità di disinganni che è un supplizio. E quante volte poi, a casa, anche anni dopo, si rifanno quei sogni medesimi, come [p. 283 modifica]se fossero rimasti stampati indelebilmente nel cervello, al pari di cose reali, distintissimi dagli altri innumerevoli della vita, quasi che fossero impressioni d’un’altra vita! E ricordo il rumor dell’acqua che batteva contro il fianco del bastimento, a pochi centimetri dal mio capo, e che in quel silenzio dello scafo si sentiva più netto che mai: un bisbiglio continuo ed eguale per lunghi tratti, il quale rompeva in parole più alte, in risa rattenute, in sibili sottili, e si smorzava in fruscii leggerissimi, e poi, páffete! uno schiaffo rabbioso, e poi un’altra volta un mormorio di preghiera, come se il mostro chiedesse di entrare, promettendo che non farebbe male a nessuno, giurando che era mite e innocente. Ah! l’ipocrita! E senza tregua, egli striscia, raspa, lecca, picchia, cerca una fessura, si stizzisce di trovar chiuso e saldo, e si lamenta, si maraviglia che si diffidi di lui, e riperduta la pazienza ad un tratto, torna a schernire, a minacciare, a pestar la porta come un padrone sdegnato. E a quella parlantina infaticabile s’uniscon dentro ogni sorta di rumori sospetti: l’anello dell’uscio, la bottiglia dell’acqua, il lume sospeso: a momenti giurereste che c’è un altro che dorme accanto a voi, che una persona gira nel vostro camerino e fruga nelle vostre valigie. E vi [p. 284 modifica]riscotete all’improvviso: una persona è entrata veramente e si avvicina. È il cameriere, che viene a vedere se è chiuso il finestrino, e che, dato uno sguardo, scompare. E allora sentite altri rumori sopra coperta, passi precipitosi come di gente che accorra a un pericolo, strepiti incomprensibili, che nella quiete della notte paiono enormi, e fan sospettare un disastro: udite dei passeggieri che escon dal camerino, salgono a vedere, e ridiscendono. Nulla: eran due marinai che tiravano una corda. Richiudete gli occhi, ricominciate a sognare, vi risvegliate di sobbalzo a un rumore assordante e terribile: questa volta qualche cosa è accaduto! è seguito uno scoppio! s’è fracassata la poppa! Niente, un piovasco. Ah! finalmente si potrà dormire. Ma a traverso al finestrino appare un leggiero chiarore cinereo. Spunta l’alba. Maledizione! Ancora cinque giorni!