Tempesta e bonaccia/XXXI

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XXX XXXII
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XXXI.

«Fu una notte orribile per me, nella quale il mio cuore non cessò un momento di battere lento e forte come una campana sepolcrale.

«Sentivo il vuoto intorno a me; eppure ben altri dolori m’aspettavano.

«Mi ero alzata presto dopo quella notte di veglia e di pianto, e dalla mia finestra guardavo sbadatamente nella via.

«Mentre stavo assorta così, sentii prendermi per la vita e baciarmi sui capelli.

«Era il babbo; ed era tanto pallido che, appena l’ebbi veduto, tutte le mie preoccupazioni svanirono; non provai che lo spavento di vederlo cadere in deliquio.

«— Mio Dio, babbo, come sei pallido! Che hai? Stai male? — gli chiesi tremando di spavento; e lo feci [p. 165 modifica]sedere sul mio sofà, gli proposi di fargli il caffè, di andare pel medico, e che so io altro.

«— No; mi rispose trattenendomi, non mi occorre nulla. Son venuto per parlarti di cose gravi. Resta qui. Fammiti vicina; ho bisogno d’abbracciarti per prender coraggio, povera Fulvia!

«Pensai che Gualfardo gli avesse scritto che rinunciava alla mia mano.

«— Vuoi dirmi di Gualfardo?... domandai.

«— No, cara. Ti parlerò anche di lui, ma quello è il più caro, il più consolante de’ miei pensieri. Debbo dirti una triste, triste notizia; si tratta di me, Fulvia, del tuo povero babbo...

«Era profondamente commosso; la sua voce tremava.

«Credetti di comprendere, e chiudendogli la bocca con un bacio, gli dissi:

«— Non dir più altro, babbo. Sono una sbadata; avrei dovuto pensarci prima, che puoi trovarti in istrettezze. Io ho tutto il denaro dell’ultimo teatro. Da questa mattina non avrai più nessun pensiero molesto; scusami, povero babbo, non penso mai a nulla.

«— Tu sei un angelo, mi rispose singhiozzando; ed io debbo perderti, lasciarti per sempre...

«A quella parola una luce fatale si fece nella mia mente. Misi un grido e scoppiai in pianto. [p. 166 modifica]

«Povero, caro babbo! Egli, tanto ammalato, mi consolava in quel supremo dolore.

«— Il tuo cuore ti ha detto la verità. Coraggio, mia buona Fulvia. Pensa che sono vecchio. Dobbiamo pur morir tutti...

«— Ma no, tu non morrai; tu non devi morire. Faremo tutte le cure possibili; chiameremo dei medici. — E piangevo, e mi agitavo nella convulsione del mio dolore, tenendo stretto al cuore quel mio unico parente, quasi per contenderlo alla morte che lo minacciava.

«La serva accorse alle mie grida, e mi disse con piglio severo:

«— Non faccia scene, signorina. Non vede che fa del male al suo babbo? Il medico gli raccomanda di evitare ogni commozione.

«Quelle parole mi richiamarono in me. Ma il mio cuore era spezzato da quell’annuncio crudele. Mi posi in ginocchio accanto al babbo, e cercai di persuaderlo che il suo male non era grave.

«— Dimmi tutto, babbo; narrami come ti ammalasti, che medico ti vede, e come ti venne quella idea triste che mi ha fatto tanta pena.

«— Come mi ammalai non lo so. Ma viveva ancora la tua povera mamma che io soffrivo già di un acuto dolore al cuore, ogni volta che mi esponevo a qualche fatica. Quand’ella morì, l’affanno di quella [p. 167 modifica]perdita mi sviluppò una malattia di cuore, che mi tenne a letto più d’un mese. Tu eri bimba allora, ma devi ricordarti di questa circostanza.

«— Guarii, ma continuavo a sentire a quando a quando quella puntura al cuore; qualche volta avevo violente palpitazioni. Poi tutto passava, ed io non ci badavo punto.

«— Ma quest’inverno il dolore cominciò a farsi insistente; al solo salire una scala la palpitazione mi soffocava. Lasciai che tu fossi partita per Milano, poi chiamai il medico. Egli mi prescrisse le solite pillole che prendevo sempre quando si ridestava il mio male; più tardi mi consigliò i bagni di mare. Fu allora che ti raggiunsi a Livorno. Ti ricordi che mi trovasti dimagrato e pallido, ed io ti dissi che soffrivo il caldo? Era la malattia che aveva già fatto terribili progressi.

«— Il pensiero di lasciarti sola al mondo mi spaventava. Non volevo crederci; non mi ci potevo adattare. Speravo sempre; volevo sperare ad ogni costo.

«— Feci la cura dei bagni di mare con assiduità; avevo riposto in essa tutta la mia fiducia; ma ne tornai più malato di prima. Quando mi salutasti allo scalo di Livorno per andare a Firenze, mi parve che non mi restasse tanta vita da vederti tornare, e dissi a Gualfardo:

«— Pensa a renderla felice, perchè non ha più che te sulla terra. Io non la vedrò più. [p. 168 modifica]

«A quelle parole del babbo, io, che avevo sempre pianto in silenzio nelle sue braccia ascoltandolo, non potei più frenare i miei singhiozzi, e mi abbandonai ad un pianto convulso, disperato. Il babbo piangeva anch’esso; mi baciò più volte con trasporto, e ripigliò:

«— Via, non tormentarti, Fulvia. Vedi che ho potuto riabbracciarti. Chi sa; potrò forse ancora durare a lungo: sono malattie lente. Ma, per la mia tranquillità, perchè io possa pensare senza spavento alla morte, vorrei che tu mi dessi la consolazione di vederti unita a Gualfardo.

«Quella domanda in quel momento mi suonò terribile, spaventosa come un rimorso. Il mio fatale amore per Max, aveva distrutta l’ultima speranza del mio povero babbo. L’idea di dirgli in quel momento la triste verità, che Gualfardo non era più nulla per noi, che io l’avevo respinto colle mie follie, che non lo vedremmo mai più, mi fece spavento. Sentii che quella notizia poteva essergli fatale, che l’avrebbe forse ucciso; compresi che dovevo ingannarlo. Rimasi muta, assorta nel mio dolore.

«Egli pensò che esitassi a decidermi, e mi disse ancora:

«— Tu ti lasci sedurre da un’arte che lusinga il tuo amor proprio, e le sacrifichi un amore che ti farà felice. Credilo al tuo babbo, che ti ama tanto. [p. 169 modifica]Io ho studiato l’animo di Gualfardo; pensa con che interesse l’ho studiato, dacchè so di doverti lasciare a lui, senza nessun altri al mondo per proteggerti ed amarti. Credimi, Fulvia, che se avessi la scelta fra i più splendidi partiti per collocarti, non vorrei scegliere altri che lui; non ho conosciuto mai un più nobile cuore, un animo più leale. Quando tu eri lontana, era lui che teneva il tuo posto presso di me; che mi amava come un figlio; che mi vegliava la notte quando stavo male; che sacrificava tutte le sue ore di riposo per supplirmi all’ufficio, e compiere per me un lavoro che mi diveniva sempre più faticoso. Fu lui che si assunse mille brighe per domandare ed ottenere la mia giubilazione. Se in questi ultimi tempi potrò godere un po’ di riposo senza cadere nella miseria, lo debbo a lui. Non potrai amarlo mai abbastanza per tutto il bene che ha fatto al tuo babbo, mentre tu, povera figliuola, eri costretta a starmi lontana...

«E sentendo che io piangeva amaramente, con tutta l’amarezza del rimorso, riprese:

«— E tu pure lavoravi per me, ed ora mi porti il frutto delle tue fatiche, che servirà a curarmi. Ho tanto bisogno di cure e d’affetto. Tu mi farai guarire, mia Fulvia.

«Io sentivo che diceva tutto questo per consolarmi; perchè, nel riandare la sua povera storia di dolori, [p. 170 modifica]s’era accorto del contrasto penoso tra la mia posizione e quella di Gualfardo: tra me festeggiata, inebriata d’applausi, felice e spensierata, lontana da lui, — e quel generoso giovane che lo curava, lo consolava, lo sosteneva nelle difficoltà della vita. S’era accorto che le cure di Gualfardo erano altrettanti rimproveri al mio abbandono, e voleva consolarmi mostrando apprezzare i miei guadagni che gli arrivavano tanto tardi.

«Come mi sentivo avvilita da tanta generosa bontà! Come ero nulla al confronto di quei due nobili cuori! Ed appena tornata presso il mio povero babbo, avevo allontanato da lui quell’unico amico, quel figlio che lo consolava, che gli rendeva meno penosa la morte.

«Il babbo non diceva più nulla. Era là pallido, ansante per l’emozione sofferta, e mi guardava coi suoi occhi lagrimosi e supplichevoli. Volli consolarlo ad ogni costo, e gli dissi:

«— Sì, babbo; io sposerò Gualfardo appena sarai guarito; ed intanto sta certo che io l’amo, che lo amo tanto, più della mia arte, più della gloria, più di tutto. Tu solo mi sei più caro di lui. Ti cureremo insieme, faremo dei bei progetti accanto a te, e quando starai bene ci sposeremo; e se io dovrò cantare tu mi accompagnerai; e quando non canterò staremo tutti e tre insieme.

«Povero babbo! Bastarono quelle parole a conso[p. 171 modifica]larlo. Si mise anch’egli a far dei progetti, ma pur troppo non ci credeva, e li faceva per illuder me.

«Da qualche tempo il suo male s’era aggravato. Non usciva che pochissimo, e non mai solo. Gualfardo lo accompagnava. Egli s’era offerto di venirmi ad incontrare a Milano, per prepararmi alla disgrazia che m’aspettava. Temevano che la vista del babbo così magro e pallido mi colpisse troppo dolorosamente.

«Ed invece egli m’aveva trovata a Milano folleggiante dietro un amore colpevole, dimentica della famiglia, di lui, di tutto. Come doveva disprezzarmi! E come dovette disprezzarmi ancora più, quando al mio giungere, tutta assorta nelle passioni che mi tempestavano nell’anima, io non m’ero neppure avveduta del deperimento del mio povero babbo; non avevo domandato perchè, giubilato da circa un mese, e senza impegni, non fosse venuto egli stesso ad incontrarmi. Non avevo chiesto nulla, non avevo veduto nulla; egoista, crudele, non pensavo che alla mia passione ed a’ miei rimorsi.