Tempesta e bonaccia/XXXII

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«Per tutto quel giorno il babbo fu così spossato dall’emozione, che non ebbe la forza di vestirsi per fare una passeggiata. Rimase in abito da camera, [p. 172 modifica]steso nella sua poltrona. Non mangiò quasi nulla, e ripetutamente si lagnò di non vedere Gualfardo. Io gli dissi una quantità di scuse: aveva trascurato a lungo le sue lezioni durante la mia assenza, ed ora, che io era presso il nostro caro malato, desiderava di riparare il tempo perduto. Andava in iscena un’opera nuova, ed egli doveva dirigere le prove d’orchestra. Era occupato egli stesso a scrivere un’opera, ed aveva frequenti abboccamenti col poeta che gli scriveva il libretto.

«Ma il babbo non s’appagava di quelle ragioni che egli sapeva al pari di me.

«— I giorni scorsi lavorava qui — mi diceva; — e tra una lezione e l’altra passava a vedermi. Dovrebbe oggi venire più che mai, dacchè ci sei tu. Voi non v’amate come prima. Ieri me ne sono accorto. Perchè non vi parlavate punto tornando dallo scalo? Tu non lo guardavi nemmeno; ed egli se ne andò appena fosti giunta. Ebbi una grande fatica a salire la scala da solo. Egli mi reggeva sempre. Come è andata a non scontrarvi a Milano?

«Tutte queste domande mi straziavano il cuore. Rispondevo vagamente, cercando di rassicurarlo, ma vedevo che non potrei ingannarlo a lungo. L’assenza di Gualfardo lo tormentava, ed a me non riesciva di spiegarla.

«Dopo due giorni il babbo era tanto inquieto, che [p. 173 modifica]mi obbligò a mandare la serva da Gualfardo per vedere se non fosse malato. Profittai di questa sua idea, e senza mandare, rientrai dopo un tempo conveniente per lasciargli credere che fosse eseguita la sua commissione, e gli dissi, che Gualfardo era a letto con una infreddatura al capo, che sperava di alzarsi presto, ed appena uscirebbe di casa verrebbe da noi. Che del resto il suo male non era grave.

«Il mio povero malato si crucciò tutta notte, vegliò angosciato pensando al suo giovane amico. Io dormivo nella sua camera stesa sopra un sofà senza spogliarmi, per esser pronta ad assisterlo sempre. Lo sentii sospirare, rivoltarsi nel letto, e mi domandò da bere con una frequenza straordinaria. Aveva una febbre violenta.

«Al mattino mi disse:

«— Fulvia, Gualfardo dev’essere malato più seriamente che non dice. Siamo appena in settembre e fa un caldo soffocante. Con un caldo così non si sta letto per un’infreddatura. Manda ancora stamane a vedere come sta. E poi appena sarò alzato prenderemo una carrozza; tu mi accompagnerai, ed andremo a vederlo.

«Non era possibile esporre il povero babbo in quello stato ad una scoperta dolorosa. Andando da Gualfardo lo avremmo trovato fuori, avrebbe compreso d’essere ingannato, avrebbe scoperto la verità, ne sarebbe morto di dolore. [p. 174 modifica]

«Corsi nella mia camera e scrissi in fretta questo biglietto, che mandai a Gualfardo:

— «Il babbo sta male e vi domanda ad ogni momento. Nello stato in cui è ridotto, non posso dirgli perchè non venite più; lo ucciderei. La nostra unione è la sola speranza che lo conforti nei suoi dolori.

— «Siate generoso, Welfard. Venite per lui. Lasciategli la sua dolce illusione; e quando il vostro ufficio pietoso sarà compito, mi lascierete sola col mio dolore; non mi vedrete mai più, ed io vi benedirò pel bene che avrete fatto al mio povero babbo.

«Fulvia

«Mandai la serva con quel biglietto; la mandai in carrozza per avere più presto la risposta. L’aspettai in un’angoscia inesprimibile. Omai non mi facevo illusione sullo stato del babbo. La sua vita, la breve vita che gli rimaneva ancora, dipendeva da quella risposta.

«Dopo mezz’ora la serva tornò con un altro biglietto. Lo apersi tremando, ed in quel momento pregai dal fondo del cuore come da gran tempo non avevo pregato. La mia fede era così grande, così vera in quell’ora di dolore, da credere che la mia preghiera potrebbe modificare la risposta di Gualfardo già scritta, già nelle mie mani.

«Non erano che quattro parole: [p. 175 modifica]— «Fra un’ora verrò.»

«Misi un grido di gioia, corsi in camera del babbo, e gli dissi:

«— Gualfardo è guarito, sta bene, fra un’ora verrà.

«E lo dissi con tanta gioia, pensando da che pericolo lo salvava quella notizia, che il povero babbo, tratto in inganno, scambiò quel trasporto figliale per un trasporto d’amore, e, sempre preoccupato di me e del mio avvenire, mi abbracciò tutto consolato, e mi disse:

«— Dunque sei ben contenta di vederlo; dunque lo ami; sarai felice con lui? Quanto bene mi fa questo pensiero. Temevo che tu non l’amassi.

«Quella parola fu un altro rimprovero. Sì. Amavo Gualfardo con tutta la mia riconoscenza di figlia. Ma non era quello l’amore cui pensava il mio povero babbo.

«Esatto come sempre, Gualfardo giunse all’ora indicata. Egli fu generoso fino all’eroismo. Debbo pur dirlo, per quanto la sua generosità fosse per me una tortura. Mi salutò colla solita dolcezza tranquilla, mi strinse la mano e mi baciò sulla fronte. Ma intanto mi susurrò all’orecchio col suo sguardo più cerimonioso:

«— Perdonate, Fulvia; è necessario fingere per la pace del babbo. [p. 176 modifica]

«E tutto il conforto, tutta la dolcezza che m’avea posta nell’anima la soave intimità di quel saluto, dileguarono a quelle parole.

«D’allora egli fu sempre assiduo presso il babbo come lo era stato durante la mia lontananza. Quando li vedevo uscire insieme, e Gualfardo si metteva un braccio del povero babbo intorno al collo, e lo cingeva alla vita per sorreggerlo nello scendere la scala, poi entro la carrozza gli accomodava i cuscini, e mi salutavano tutti e due dalla finestra dove correvo per vederli ancora, pensavo con dolore che io era estranea a quel cuore che mio padre credeva mio, che non m’era più data la suprema delle gioie di rendergli una vita d’amore in compenso della sua generosa devozione.

«A misura che lo vedevo così nobile, così buono, la memoria di Max diveniva più scolorita nella mia mente. Ed in quell’atmosfera di affezioni calme, legittime, sante, il mio amore per Max mi sembrava un romanzo, una follia. E ne arrossivo ogni giorno più. Mentre prima lo avrei gridato sui tetti, ora mi vergognavo di ripensarci io stessa. Era perchè il mio cuore si apriva per la prima volta ad un sentimento basato su qualche cosa di serio, di grande. Ad un amore inspirato dalla riconoscenza figliale, dalla virtù. Dinanzi a questi due nobili moventi, cos’erano più la bella voce ed il carattere bizzarro di Max? [p. 177 modifica]

«Quante lagrime ho sparse in quelle ore tristi in cui rimanevo sola a rassettare la stanza del mio povero babbo, a rifare quel letto, ad accomodar quei guanciali, dove pur troppo tra poco non riposerebbe più!

«Poi tornavano; rivedevo quelle cure amorose dell’elegante giovane pel povero vecchio infermo, e quelle attenzioni delicate, figliali, che mi inondavano l’anima di riconoscenza e d’amore, e ricevevo ancora il suo bacio, il saluto soave e fatale, come l’oppio che inebria ed uccide.

«Ne venni al punto d’attendere, d’invocare ansiosamente quelle ore di disperante commedia; di accogliere con passione quel bacio convenzionale, di valermi del vantaggio della nostra strana situazione per stringere al mio cuore quell’uomo che non mi amava più, per serrare la sua mano tra le mie, per parlargli come ad un fidanzato, per pascere il mio cuore innamorato con una cara e funesta illusione.

«Nessuno, al vederci così uniti nell’affetto, nella cura comune d’un caro infermo, che entrambi chiamavamo babbo, nessuno avrebbe sospettato mai che tempesta mi fervesse nell’animo e che abisso ci separasse.

«Intanto la malattia del babbo procedeva rapida, inesorabile. Gli si eran gonfiate le gambe, le mani, il volto; omai non usciva più, ed a stento ci riesciva [p. 178 modifica]di collocarlo in una poltrona per rifargli il letto. Era una poltrona lunga dove il malato stava disteso; e mentre io accomodavo il letto, Gualfardo apriva le finestre, poi spingeva lentamente la poltrona per far movere il babbo e fargli respirare un po’ d’aria.

«Oh! in quel momento mi sarei gettata in ginocchio, avrei baciato i suoi piedi, per implorare che mi lasciasse dedicargli la mia vita. Tutta la mia riconoscenza di figlia si volgeva in amore per lui, tanto generoso, buono, servizievole nella sua apparenza fredda ed elegante. Ed io stupida e leggiera non avevo saputo indovinare quel nobile cuore.

«Intanto il babbo insisteva sempre a pregarci perchè ci sposassimo prima ch’egli morisse.

«Noi ripetevamo che volevamo aspettare che fosse guarito, che per allora non pensavamo che a lui; non volevamo fare un matrimonio nella tristezza; avremmo celebrate insieme le nostre nozze e la sua guarigione.

«Ma egli non s’illudeva sul suo stato, ed un giorno ci disse, quasi piangendo:

«— Perchè non volete darmi questa consolazione? Siete tanto buoni tutti e due, e potete respingere la preghiera d’un moribondo? Fulvia, te lo domando pel bene che ti voglio, pei tormenti che soffro, pel dolore della nostra separazione; Gualfardo, te lo domando in nome di tua madre, nella solennità della morte; datemi questo conforto, questo pensiero di [p. 179 modifica]pace. Che vi veda uniti, che possa dire: lascio a mia figlia l’amore e l’appoggio del più nobile degli uomini, ed allora morrò contento.

«A quell’appello straziante per una grazia impossibile, io scoppiai in pianto. Credetti giunta l’ora terribile di svelare la verità, di troncare quel misero filo di vita con un ultimo, grande dolore.

«Ma Gualfardo, generoso, grande, clemente come un Dio, si alzò, venne a me stendendomi le mani, e mi disse:

«— Volete essere mia sposa domani, Fulvia?

«Poi, col piglio sommesso con cui soleva dirmi dopo un bacio quel crudele «Perdonate» che mi gelava il cuore, tornò a ripetere stringendomi le mani:

«— Volete?

«Egli perdonava; faceva sacrificio di sè, del suo sdegno, dinanzi al desiderio d’un moribondo; e per risparmiargli un dolore diceva realmente a me, che non amava più, a me, che disprezzava: «Volete essere mia sposa?»

«Era troppo grande sacrificio per lui; troppa grande gioia per me che la meritavo così poco.

«Ebbi il coraggio di respingerla, e, con uno sguardo che voleva dire:

«Secondatemi» risposi:

«— Domani è impossibile, Welfard. Dovete prima far venire le vostre carte. Scrivete; procuratevele, e poi ci sposeremo subito. [p. 180 modifica]

«Gualfardo mi strinse ancora le mani, poi me le lasciò cadere susurrandomi:

«— Brava!

«Era una parola crudele. Mi diceva che liberandolo da me lo aveva salvato. Eppure mi fece del bene. Il suo amore era perduto per me. Mi era ancora un conforto la sua stima.

«Ma il babbo disse con tristezza:

«— Ci vorranno almeno otto o dieci giorni. Il vostro paese è tanto lontano! Non avrò tempo a vedervi uniti!

«Allora fui io che presi la mano di Gualfardo, e traendolo accanto al letto dissi:

«— Tu avrai tempo a vederci sposi, ed a vivere con noi molti anni, babbo. Ma per farti piacere noi ci uniamo ora qui; davanti a Dio e davanti a te; tu ci benedirai, e sarà come se fossimo già sposati.

«Ed alla mia volta susurrai a Gualfardo: «Perdonate.»

«Egli comprese ch’io non davo valore a quella cerimonia; che volevo soltanto ingannare pietosamente il povero malato; ancora una volta mi disse: «Brava!» e s’inginocchiò accanto a me, ed il babbo congiunse le nostre mani e ci benedisse.