<dc:title> Tragedie, inni sacri e odi </dc:title><dc:creator opt:role="aut">Alessandro Manzoni</dc:creator><dc:date>1922</dc:date><dc:subject></dc:subject><dc:rights>CC BY-SA 3.0</dc:rights><dc:rights>GFDL</dc:rights><dc:relation>Indice:Tragedie, inni sacri e odi.djvu</dc:relation><dc:identifier>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Tragedie,_inni_sacri_e_odi/Odi/Appendice&oldid=-</dc:identifier><dc:revisiondatestamp>20211211203824</dc:revisiondatestamp>//it.wikisource.org/w/index.php?title=Tragedie,_inni_sacri_e_odi/Odi/Appendice&oldid=-20211211203824
Tragedie, inni sacri e odi - Odi - Appendice - Il primo getto del Cinque maggio Alessandro ManzoniTragedie, inni sacri e odi.djvu
Ei fu: come al terribile
Segnal della partita
Tutta si scosse in fremito
La salma inorridita,
Come agghiacciata1 immobile
Dopo il gran punto stà.
—
Tale al profondo2 annunzio
Stette repente il mondo,
Che non sa quando, in secoli,
L’uomo a costui secondo
La sua contesa polvere
A calpestar verrà.
—
Muta pensando all’ultima
Ora dell’uom fatale3;
Ei fu: siccome immobile,
Dato il fatal4 sospiro
Stette la salma5 immemore
Orba di tanto spiro,
Muta la terra stà6
Tale al tonante annunzio
Così percossa attonita
La terra al nunzio stà
—
Che innanzia lui già tacquesi,
Che lo nomò fatale,
Nè sa quando una simile7
Orma di piè mortale
La sua cruenta polvere
A calpestar verrà.
Lui folgorante in solio
Vide il mio Genio, e tacque;
Quando con vece assidua
Cadde, risorse e giacque,
Di mille voci al sonito
Mista la sua non ha8.
—
Vergin d’amore e d’odio
Pensoso ora s’arresta
Dinnanzi a lui che palpito9
Che speme più non desta,
E scioglie all’urna un cantico
Che forse non morrà.
—
Vergin di servo encomio
E di codardo oltraggio
Sorge commosso al subito
Sparir di tanto raggio,
E scioglie all’urna un cantico
Che forse non morrà.
—
Dall’Alpe allo Piramidi,
Dal Manzanarre al Reno
Lo scoppio del suo fulmine
Seguiva il suo baleno,
Corse da Scilla al Tanai,
Dall’uno all’altro mar.
Attonito or s’arresta
Dinnanzi a lui che immemore
Speme e timor non desta
E intuona
Vergin di biasmo ignobile Vergin di serva lode E di villano insulto10
Vergin di servo encomio
E di villano oltraggio11
Ora si desta al subito12
Sparir di tanto raggio
Fu romor vano? o gloria?
Dical l’età ventura13.
Certo in lui piacque al massimo
Fattor della natura
Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.
Noi c’inchiniamo al Massimo
Fattor della natura
Che volle in lui di spirito
Più vasta orma stampar
—
Fu vera gloria? ai posteri
L’ardua sentenza; nui
Chiniam la fronte al Massimo
Fattor che volle in lui
Del creator suo spirito
Più vasta orma stampar.
—
La procellosa14 e trepida15
Gioja d’un gran disegno;
L’obbedienza tacita,
D’un cor che pensa al regno,
L’acquisto di tal premio
Ch’era follia sperar,
e pavida16 trepida
L’ansia17 d’un cor che tacito18
Serve pensando al regno
Mira al superbo segno
E il coglie, e tiene un19 proemio
In man sentesi il premio
Nell’alto segno cogliere
Ch’era follia mirar.
—
Il trionfar più splendido
Dopo il maggior periglio
La fuga e la vittoria
La reggia e il tristo esiglio,
Due volte nella polvere,
Due volte in sull’altar.
Tutto ei provò: la gloria
Maggior dopo il periglio
—
Tutto ei provò. Corser per esso i secoli Densati in una vita20
Egli apparì.
Tutto ei provò: due secoli
L’un contro l’altro armato
Sommessi21 a lui si volsero
Come aspettando il fato:
L’ire ei sospese22, e placido
Si stette23 in mezzo a lor.
Ei fe’ silenzio e placido24
S’assise in mezzo a lor.
Stette, e regnò.
D’ambi si fe’ signor.
—
E sparve, e i dì nell’ozio Inerte in mezzo all’onda25,
E sparve e i dì nell’ozio Chiuse26
E sparve e chiuse27 i dì nell’ozio
Chiuse in sì stretta28 sponda
Segno d’immensa invidia
E di pietà profonda,
D’inestinguibil odio,
E d’indomato amor.
Narrar se stesso imprese,
E sulle eterne pagine
Cadde la stanca man.
—
Oh quante volte al tacito
Cader d’un giorno inerte,
Chinando i rai fulminei,
Le braccia al sen conserte,
Stette, e dei dì che furono
L’assalse il sovvenir.
—
E ripensò le mobili
Tende e gli aperti32 valli,
E il folgorar dell’aquile
E l’onda dei cavalli,
E il concitato imperio
E il rapido obbedir.
E il lampo dei manipoli
Ah forse al lungo33 strazio
Cadde lo spirto, anelo,
E disperò; ma valida
Scese34 una man dal cielo,
E in respirabil35 aria36
Pietosa il trasportò.
—
Mostrando a lui
A lui mostrando i fulgidi Fior della speme eterna
Mostrando a lui le fulgide Vie dell'eterna spene37
Ai campi eterni.....
All’ineffabil premio
Che i desiderj avanza
Ov’è silenzio e tenebra
La gloria che passò.
Col guardo volto al premio
—
Bella immortal, benefica Narra la tua vittoria39
Fede ai trionfi avvezza
Scrivi ancor questo; allegrati
Che più superba altezza
Al disonor del Golgota
Giammai non si chinò.
—
Voi
Pace alla tomba: il Giudice
Che voi pur anco aspetta Sul letto del suo gemito40
Sul letto solitario
Sulla deserta coltrice
Accanto a lui posò.
Tu dalle stanche ceneri
Sperdi ogni ria parola.
Il Dio che atterra e suscita,
Che addoglia41 e che consola
Sulla deserta42 coltrice
Accanto a lui posò.
↑In una nitida trascrizione di mano del poeta medesimo, sulla quale è annotato: «presentata il 26 luglio 1821» (forse alla Censura), è questa singolare variante degli ultimi versi, subito cancellata: Schiuso per lui de’ candidi Inni il tesor non ha. Il De Marchi, che l’ha scovata e pubblicata (Spigolature ined. munzoniane, per nozze; e poi Dalle Carte Inedite Manzoniane, Milano, 1914, p. 23), vi sente una «reminiscenza pindarica» (Pitica VI: «è pronto un tesoro di inni»).