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Trattatelli estetici/Parte seconda/XV. Letteratura omeopatica

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Parte seconda - XV. Letteratura omeopatica.

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XV.

LETTERATURA OMEOPATICA.

Sulla porta di alcune biblioteche c’è un greco motto che viene a dire: medicina dell’animo. Non staremo adesso a discutere se e quanto giovino i libri a sviare e moderare le passioni, certo è che qualunque si mette a scrivere per poscia dare alle stampe il proprio dettato, solo ch’egli abbia un po’ di coscienza, si prefigge il giovamento morale degli uomini suoi fratelli. Siccome però varii sono i sistemi ai quali soggiacque la medicina di tempo in tempo, varie del pari sono le guise, onde gli autori si credettero di potere più agevolmente raggiugnere la nobile meta della pubblica utilità. Anche nella letteratura ci sono gli empirici, che senza fondamento della conveniente dottrina arrischiano quando una, quando altra proposizione, ove pure l’esperienza che hanno fatta del mondo dial loro speranza di poter essere creduti. Sonovi anche in letteratura i sistematici che ad un certo ordine d’idee, che hanno ereditato dai loro maestri, o ch’essi foggiarono di per loro a tenore delle proprie visioni, vogliono inesorabilmente assoggettare tutto che si dice e si opera dagli altri uomini, senza aver riguardo di sorta a differenza di luoghi o di tempi. Non sarebbe dif[p. 97 modifica]ficile il dimostrare esservi una letteratura, che si crede procedere pel miglior cammino deri vando i proprii principii dalla teorica del controstimolo, e via via discorrendo, quella prodigiosa varietà, che non vogliamo dir discrepanza, che si trova nei giudizii relativi alle fisiche infermità si potrebbe di leggieri riscontrare anche in quelli che si riferiscono alle morali. Ad un sol capo ora vogliamo restringerci; a quella letteratura cioè che ha riscontro colla medicina così detta omeopatica.

È proprio di questa medicina il distribuire le dosi dei proprii rimedii ad una menomezza si mostruosa da restarne maravigliati. Si crede dai settatori di questa dottrina, che bene scelta ed apparecchiata che sia la materia del rimedio, il proporzionarla alle bisogna del malato tanto si faccia con più avvedimento, quanto la cautela è maggiore. Ci hanno dunque ricette di un granellino pressochè impercettibile di non so che sostanza, sobbissato in più secchie d’acqua, della quale mirifica infusione le labbre riarse dell’ammalato non assaggiano oltre a tre o quattro gocciole per volta. Che se una di quelle gocciole, che a milioni e milioni concorsero a liquefare il minutissinio granellino, soverchiasse alla dose prudentissimamente assegnata, oh chi può abbastanza descrivere il risico, a cui sarebbero posti i giorni dell’infelice, che si provò d’ingoiarla! [p. 98 modifica]

Non è da noi l’arrestarci nella disamina delle ragioni, che allegano i nuovi settarii ad avvalorare una siffatta farmacopea; ma di qua passando agli omeopatici letterati, diremo aver essi una troppo elevata opinione dell’acume de’ loro lettori, se presumono che un loro gramo pensieruzzo, annegato in uno poco meno che pelago di parole, debba venire assaporato prontissimamente, e cangiarsi in fruttuosa medicina a stomachi infermi. O se non hanno siffatto concetto de’ proprii lettori, è troppa la stima che fanno di quel gramo pensieruzzo sopra indicato, se credono che delle mille e mille e mille parole, nelle quali il disfanno, ciascuna ne rimanesse per modo segnata da potere e singolarmente, e in concorso colle altre, far buona prova negl’intelletti. Sappiamo troppo bene che a risvegliare il sentimento di certe verità, che possono rimanere assopite, ma non mai morte nel cuore dell’uomo, basta alcuna volta non più che toccarle leggermente in questo o quello de’ capi ch’esse da più parti presentano (a quella guisa che nell’uomo dormiente una immagine a caso suscitata risuscita repentinamente gran numero d’altre immagini con quella per qualsivoglia guisa concatenate); ma chi vorrebbe presumere di sapere indovinare, qual sia il capo sporgente, e quindi più facile ad essere afferrato nelle affezioni di ciascun uomo individualmente, e di tutti in generale? E quando ciò [p. 99 modifica]pure avvenisse, non sarebbe presunzione il supporre che quel pensiero avesse in se tanta efficacia da giugnere troppo attivo, se non fosse stemperato nelle molte parole?

Non vorremmo esser creduti avversi alla cura che si domanda, a bene e lucidamente esporre i proprii pensieri; ne basta aver fatto un poco d’osservazione in proposito di que’ tali, e non sono pochi al nostro tempo, che come hanno trovato una loro idea che abbia alquanto del pellegrino, non si stancano mai di farle vezzi e moine, acconciandola per mille modi diversi, e credendo che tanto sia il dar cose nuove, quanto il dar nuove parole. Potremmo alla stessa maniera accennare un letterario mesmerismo, anch’esso venuto più che mai in voga a’ di nostri. E qui ne cadrebbe in taglio il descrivere le fregagioni, e gli stropicciamenti di certi scrittori, che, posto al buio il lettore, s’ingegnano di bravamente assopirlo con lungaggini di aridissime sottilità, per poi, come il veggono rifinito in ogni suo sentimento, travolgerlo e raggirarlo nei loro indicifrabili deliramenti. Ma per questa volta il discorso non doveva essere che intorno alla letteratura omeopatica; chi ne ha voglia lo allunghi e riscontri cogli altri sistemi tutti da noi non più che accennati, e con altri ancora, sui quali la nostra ignoranza e l’impazienza nostra nou ci permette di mover parola.