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Trattatelli estetici/Parte terza/VIII. L'uomo e il letterato

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Parte terza - VIII. L'uomo e il letterato.

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VIII.

L’UOMO E IL LETTERATO.

Tolti gli uomini non sono e non possono essere letterali, ma tutti i Irtterati dovrebbero esser uomini. E tuttavia ad ogni tompo veggiamo chi polendo essere un uomo dabbene vuole ad ogni patto mostrarsi letterato impostore e peggio; e per altra parte letterati che non si curano, se pure non si vergognano, di apparire uomini.

Tosto che, o per naturai vocazione, che pur è molto rara, o per mire ambiziose e di lucro, ciò che incontra con più frequenza che non bisognerebbe al quieto viver civile, taluno si motte a farla da letterato, pensa di se ed è giudicato dagli altri secondo regole tutte particolari alla nuova sua professione. Le passioni e gli errori che ne derivano cangiano nome, e quindi biasimo e lode gli vengono addosso per luti’ altre cagioni da quelle sarebbero presumibili dall’ordinario discorso. Un uomo che non sapendo una cosa ti parla d’essa, e peggio se il fa con grande franchezza, è un imbecille, uno sfrontato, in ciò tutti sono d’accordo, o tulli gli voltano le spalle, o gli ridono in faccia; un letterato all’incontro che giudica di quello che non intende, si chiama persona d’ingegno, che con bell’ar[p. 170 modifica]mente sa trarsi d’impaccio, e quanto più sicuramente ne giudica tanto si fa maggiore la probabilità ch’altri gli creda, e che oltre alla fama di persona d’ingegno scrocchi quella ancora di dotto. Un uomo che in un racconto altera la sostanza dei fatti, o riferendo le altrui parole le manomette e rimpasta a suo modo, è un mentitore, e, data la gravità dell’argomento, un furfante; un letterato che cita un libro che non ha mai letto, o per confutare le opinioni di un tale le storce ed immaschera secondo il capriccio, è un accorto trovator di partiti, o, al più al più, un malizioso, se già non si guadagna anzi per questo il titolo di mente vivace, che sdegna di ripetere le parole come stanno, e riferire le cose a puntino. Un uomo ch’entri in campo a rispondere chi non l’interroga, e si avventi con modi inurbani contro chi porta contraria opinione, si chiama un provocatore villano, meritevole di rimanere escluso dal consorzio delle oneste e gentili persone, se pur v’è penetrato; un letterato che, non forzato da checchessia, se la pigli con chi non l’offese, ma solo espose con lealtà e con riserbo il proprio parere, e ciò faccia adoperando frasi facchinesche e millanterie stomachevoli, è un tale che non la porta in faccia a nessuno, e quello che ha in cuore ha sulla bocca. E via discorrendo.

Ma se le lettere si chiamano umane, com’è che nel letterato non si abbia a cercare l’uo[p. 171 modifica]mo, e per soprappiù l’uomo ingentilito e perfezionato dai varii esempi del bello che tutto di ha per le mani? Com’è egli mai che dove quesť’uomo si trovi il si voglia disconoscere appunto perché letterato? Ad ogni uomo è permesso di esporre nei debiti modi il proprio parere; il letterato deve farsene invece coscienza, di qualunque peso siano le prove che adopera, e per quantunque misurate le frasi. All’uomo che ciancia come vien viene è concesso parlare di tutto e da per tutto; al letterato che pensa prima di scrivere non si dà licenza di discutere se non certe questioni, e in certi luoghi. Non si domanda all’uomo in generale come hai fatto a sapere cotesto, chi t’insegnò cotest’altro; il letterato si censura non del come ne dice, ma di quello intorno cui dice. Può qualunque uomo allegare la propria testimonianza per avvalorare un racconto; al letterato non è permesso citare nè manco autorità irrefragabili, quando vengano queste in sussidio delle sue opinioni. Si arrischi mo il letterato a ragionare, se gli dirà cattedratico; si provi ad autenticare le proprie asserzioni, è un pedante; cammini per filo nel suo discorso, è monotono; si astenga dalle contumelie, è pesante; e così a mano a mano.

Si risponderà da taluni che questo è un toccare gli estremi, e che quand’anche ciò possa esser vero rispetto a molti, non è poi vero rispetto a molti altri che sanno giudicare del [p. 172 modifica]letterato colla stessa misura con cui gindicano dell’uomo. Ma questo ancora non è secondo giustizia, perchè se in molta parte uomo e letterato vanno giudicati ad un modo, in quanto ogni letterato è pur uomo, sotto certi rispetti le norme del giudizio devono essere differenti, dacchè appunto ogni uomo non è, e non può essere letterato. Ciò che sarebbe nell’uomo gramezza e sofisticaggine, nel letterato può essere diligenza e amor del perfetto; ciò che in quello alterezza, in questo non più che decoro; v’è una temerità che passando dall’uno all’altro può diventare franchezza; e un’atrabile che può cangiarsi in generoso dispetto, e così del resto. Si vorrà dire che generalmente si giudichi secondo questi principii?

Ma la colpa principale se l’hanno i letterati che ratificano le storte sentenze pronunziate sul loro conto, operando non più che da letterati quando dovrebbero essere uomini, e dimenticandosi d’essere letterati quando più se ne dovrebbero ricordare. Con un somaro che gli si attraversi sul cammino, con un cane che gli corra dietro abbaiando, come si diporta l’uomo che meriti questo nome? Non si mette con essi a ragionamento, non dice loro: vedi, il mio caro giumento, questa non è la tua strada, per qua ci vanno gli uomini, fa senno e tirati da un canto; vedi, cane mio bello, questo tuo abbaiare è fuor di proposito, tu mandi fuori una voce che [p. 173 modifica]riesce in nulla, sta cheto. E perchè il letterato s’incaricherà di assennare chi, poniam caso, gli si mette davanti colla discrezione di un somaro, o si sfiata a dirgli contumelia col costrutto di un cane? All’incontro perchè non ha maggior confidenza nella dignità dell’umana ragione, che si fonda sopra basi inconcusse e a cui non si giugne se non per diritti e assegnati sentieri?

La prosuntuosa sciocchezza si fa da sė manifesta definendo trascorre, narrando inventa, argomentando delira. Chi vuol ammaestrarla si mette a disperata fatica. Le lettere non sono fatte per istruire la contenta stupidità, ma per guidare l’ignoranza desiderosa. È questo un dovere di ogni uomo che credesi destinato alle lettere; quella sarebbe non più che pazzia di poco abile o poco esperto letterato che dimentica d’esser uomo.