Trattato completo di agricoltura/Volume I/Dei cereali/23

Da Wikisource.
Cure successive durante la vegetazione

../22 ../24 IncludiIntestazione 2 ottobre 2023 100% Da definire

Dei cereali - 22 Dei cereali - 24
[p. 704 modifica]

cure successive durante la vegetazione.

§ 721. Le cure successive che richiede il melgone tardivo e a estate sono due sarchiature, e la rincalzatura; il quarantino una sola sarchiatura e la rincalzatura.

La prima sarchiatura si fa appena che la pianta abbia due o tre foglie; si eseguisce nei primi giorni di maggio colla zappa rimuovendo tutto il terreno alla profondità di 0m,08 circa, alquanto meno presso la pianta onde non guastarne o svellerne le radici, quando la terra si fosse indurita per la siccità, pel vento, o per le piogge violenti. Con questa sarchiatura si tolgono le prime erbe che tanto facilmente nascono in primavera, e si rende il terreno pervio all’aria ed al calore.

La seconda sarchiatura si fa pure a mano colla zappa quando il melgone abbia 4 in 5 foglie. Nell’eseguirla si smuove più profondamente la terra fra le linee e fra le piante, si svelgono ancora e meglio le erbe che vi fossero rimaste o nuovamente cresciute, e s’incomincia a condur la terra verso le piante per favorire la disposizione e l’uscita delle radici dai nodi inferiori dello stelo.

La cura più importante è la rincalzatura, che si fa quando il melgone sia giunto all’altezza di 0m,60 a 0m,70. Con questa operazione si prepara un appiglio alle radici che uscirono o che fossero per uscire dai nodi inferiori dello stelo, e per conseguenza si facilita la nutrizione della pianta, si aumenta la superficie del campo, relativamente al contatto coll’aria, accrescendo in essa la possibilità di ricevere aria e calore; e finalmente la rincalzatura rende più facile e di maggior effetto l’irrigazione. Ordinariamente questa operazione si eseguisce colla zappa, ma quando il terreno fosse stato ben sarchiato dapprima, si potrebbe, con molto risparmio di tempo, fare con un aratro a doppio orecchio, costruito appositamente più leggiero, acciò possa essere tirato da una sol bestia. Nei campi seminati a gettata non si può fare che a mano colla zappa. La pianta viene rincalzata per un’altezza non minore di 0m,15 colla terra che si leva fra pianta e pianta o fra linea e linea, per cui, compreso l’abbassamento, le piante o linee presentano fra di loro un solco di 0m,20 a 0m,25. [p. 705 modifica]

§ 722. Il melgone fiorisce verso la fine di giugno od al principio di luglio e, come potete vedere dalla fig. 174, porta il fior maschio diviso e lontano dal fiore femmina. Il fior maschio occupa la cima dello stelo, e la spiga o fiore femmina sta circa la metà del gambo. Al momento della fioritura il fior maschio spande una polvere giallastra, che è il polline, il quale cade sulle barbe od antere della spiga posta in basso, e queste antere comunicano la fecondazione ai loro rispettivi ovari, o grani, posti lungo l’asse o torso della spiga.

Ho voluto darvi questo breve cenno intorno alla fioritura ed alla fecondazione del melgone, per potervi spiegar meglio gli effetti d’una operazione troppo diffusa, e che presenta un falso utile, voglio dire della cimatura del fior maschio.

Nei paesi asciutti, affittati a coloni, si usa di tagliar via dalla pianta il fior maschio, due o tre foglie appena sopra la spiga, senza tener conto se la fecondazione sia avvenuta o no; che anzi, per somministrare al bestiame queste cime più tenere che si può, di solito si tagliano via dapprima; per il che manca quasi sempre al grano qualche cosa onde regolarmente si costituisca, e resta sempre alquanto più piccolo e leggero. Per buona fortuna un sol fiore maschio che anticipi la fioritura può, colla sua leggerissima polvere, fecondare molte piante anche a grandi distanze, quando in ciò sia ajutato da qualche venticello. Questa cimatura dunque non dovrebbe effettuarsi che dopo la fecondazione; ed anche fatta in seguito riesce sempre a scapito della robustezza della pianta, poichè col fiore si levano due o tre foglie, il che vuol dire che gli si levano in parte quegli organi che servono alla respirazione ed alla nutrizione della pianta. Per quest’ultimo motivo è poi immensamente dannosa la completa sfogliazione che si fa alla pianta appena che la spiga mostri di prendere un color giallo; e ciò allo scopo di ottenere ancor verdi lo foglie, pel mantenimento del bestiame, asserendosi che se si aspettasse a toglierle dopo la completa maturanza del melgone, riuscirebbero di qualità inferiore. E questa stessa ragione, è pure la condanna dell’operazione; poichè ciò vuol dire che il melgone maturando succhia dallo stelo e dalle foglie molte sostanze che servono ad una migliore sua costituzione.

Togliendo poi la cima e le foglie, nei paesi aridi e non irrigabili, si facilita l’ingresso al sole verso il suolo, il quale [p. 706 modifica]asciuga ancor più presto; oltre che le foglie servono ad imbeversi e trattenere in parte la rugiada quando essa comincia a formarsi facendosi più lunghe le notti nel mese di agosto.

Cionondimeno si potrà togliere la cima dopo la fecondazione nei paesi freddi e dove la pioggia sia frequente, onde facilitare il riscaldamento del terreno; e le foglie non si dovranno mai levare se non quando la spiga sia matura, e ciò pure nei climi che richiedono queste operazioni come sussidj al ricevere la maggior quantità possibile di calor solare.

Ma vediamo se a condizioni discretamente favorevoli siano poi tanto utili queste operazioni, e se il foraggio che si ottiene ci compensa del danno che ne riceve il grano. Il melgone non cimato nè sfogliato pesa chilogrammi 78 circa, quello cimato soli 68 a 70. Il melgone cimato e sfogliato rende un minor volume di grano, che può rappresentarsi per un buon sesto del prodotto, e dà una farina inferiore e che assorbe minor quantità d’acqua. Sommate questi svantaggi e vedrete che si perde dal 20 al 25 per % del prodotto, e che questo per sopramercato riesce di qualità inferiore. Nè si creda che questo calcolo sia esagerato; io ebbi campo a convincermene più volte, e vi assicuro che quel tanto di foraggio che si ricava dal melgone si paga il doppio di quel che potrebbe valere altrettanto fieno di prateria.

§ 723. Ove si possa disporre di acqua per l’irrigazione, il reddito del melgone può dirsi certo ed abbondante; ma perchè al detto reddito si debbano fare le minori deduzioni possibili in spese di coltivazione, importa usar dell’acqua in modo che si possa irrigare convenientemente colla minor quantità possibile; se il melgone esige l’irrigazione è certo che l’aridità della stagione la rende bisognosa anche per le altre coltivazioni. Irrigare il maggior spazio di terreno possibile, nel tempo possibilmente più breve è la vera economia ed il vero profitto di quest'epoca; e rispettivamente al melgone non si otterrà mai questo risparmio d’acqua coltivandolo in porche seminate a gettata. Nei campi così coltivati, il terreno, in quanto all’irrigazione, si dispone come alla fig. 127, e si irriga per imbibizione nell’egual modo che indicai al § 453 parlando della spianata. Ma se una spianata dell’estensione di un ettaro richiede, per esempio, un’oncia d’acqua per la durata di un’ora, un ettaro a melgone richiederà spesso un doppio tempo. Infatti le rincalzature del melgone, bene o mal fatte, [p. 707 modifica]aumentano la convessità delle porche e quindi l’acqua dai solchi intermedj non può debordare su di esse, e l’irrigazione non può aver luogo che per una completa imbibizione di tutta la loro larghezza: epperò vuolsi molto tempo, o bisogna lasciare non imbevuta la loro lista di mezzo. Aggiungasi l’ostacolo naturale che le rincalzature e l’ingombro dei solchi oppongono al libero corso dell’acqua, aggiungiamo la dispersione fra le insenature, e si vedrà chiaramente che il consumo dell’acqua è superiore al bisogno, quantunque bene spesso s’irrighi incompletamente.

Anche i coltivatori di grandi estensioni a melgone dovrebbero persuadersi a coltivarlo in linee. La spesa ed il tempo che richiede l’impianto non è tanto grande quanto si crede; le stesse persone che devono fruire d’un terzo o d’un quarto del prodotto potrebbersi incaricare di questa operazione. Chi dirige e chi lavora s’accorgerebbe presto che tutti i lavori consecutivi riuscirebbero fatti in minor tempo e con maggior esattezza; che il prodotto sarebbe maggiore, e che il consumo d’acqua nel caso d’irrigazione forse sarebbe la metà del solito; e finalmente che il terreno rimarrebbe più mondo dalle cattive erbe e prima e dopo. Si provino adunque i coltivatori della parte bassa della Valle del Po, e sappiano che l’ostinazione del lavoratore a mezzadria, a terzo, ecc., è il più delle volle frutto dei loro propri pregiudizj o della loro mancanza d’energia: si mostrino convinti, impongano senza lasciar speranza che l’ordine sia contromandato, e li assicuro che otterranno tutto ciò che vogliono. Lo dico per aver provato che v’ha del bene che bisogna imporre.

Per l’irrigazione dei campi piantati in linea, si preparano le bocchette colle sue principali biforcazioni subito dopo il seminerio, onde la terra si rassodi e non venga trasportata troppo facilmente dall’acqua. In seguito alla rincalzatura, presso le biforcazioni delle bocchette, si apre un solco sì ed altro no, in modo che l’acqua scorra più rapida essendo meno suddivisa. È poi necessario che il campo venga ripartito in tratte lunghe non più di metri 70, praticando all’uopo delle adacquatrici trasversali. Con simili suddivisioni l’irrigazione riesce più spedita, non dovendosi spingere di troppo o per troppo tempo l’acqua dalle bocchette superiori, la qual cosa produrrebbe la rottura e l’appianamento delle rincalzature, un soverchio raffreddamento nella tratta superiore, ed una difficile ed ineguale irrigazione nelle parti più basse. Anche qui, per [p. 708 modifica]togliere l’acqua alle bocchette principali, non bisogna attendere che essa sia giunta in fine del campo od alla successiva adacquatrice dividente, ma basta che vi sia arrivata a poca distanza, per esempio da un sesto ad un decimo della lunghezza totale, secondo la maggiore o minor lunghezza e pendenza della tratta irrigabile con una sola adacquatrice.

Queste sono le norme principali per l’irrigazione del melgone in linea; ora vi aggiungo che non si deve mai lasciare in arbitrio del lavoratore la scelta del momento opportuno per rimediare artificialmente alla mancanza d’umidità naturale. Il lavoratore interessato per una parte del prodotto teme sempre che da un giorno all’altro il suo melgone debba disseccare completamente; appena che nelle ore più calde veda qualche foglia accartocciata grida all’asciutto, e vorrebbe inaffiare immediatamente; il direttore del fondo concede l’acqua; il melgone vegeta rigogliosamente, ma solo la spiga tarda a farsi vedere, oppure non la si trova in relazione col fusto: se continua l’asciutto, la pianta che vegetò gagliardamente più presto assorbì l’umidità del suolo, maggiormente ne esige in seguito, e comincia ad avvizzirsi nuovamente, ed ecco il bisogno d’un’altra irrigazione, tanto più necessaria chè si tratta della formazione della spiga e della sua maturanza; e per conseguenza un nuovo indispensabile e maggiore dispendio di acqua, poichè la si deve adoperare in un terreno già deformato dalla precedente irrigazione.

Io vi dico che in tutto ciò vi ha un errore ed un danno. Il melgone non è poi una pianta che soffra così prontamente l’asciutto; essa ama l’umido, ma gli è pur necessario anche il caldo, e la troppa umidità diminuisce gli effetti del calore solare, dei quali noi dobbiamo tener conto, non avendo un clima che ci dia una temperatura molto superiore ai suoi bisogni. L’indizio più sicuro per conoscere se il melgone abbisogni d’essere irrigato è quello di osservare alla sera, un pajo d’ore dopo che il sole sia tramontato, s’egli conservi ancora le foglie arricciate od accartocciate dall’ardor solare, o se tornarono ad aprirsi prendendo la posizione naturale: talvolta basta osservarle al mattino, se il terreno sia piuttosto argilloso. Sol quando alla sera od al mattino, secondo la qualità del terreno, le foglie rimangono accartocciate sarà indizio che abbisogna di una pronta irrigazione. Nel fare poi questa osservazione non si dovranno prendere per norma le piante del circondario del campo, o quelle poste sotto le [p. 709 modifica]siepi, le quali danno indizio di siccità molto tempo prima, ma dovremo guardare quelle dell’interno od il suo complesso. Se voi procurerete di mantenere questa norma, vi accorgerete che il più delle volte, anche nelle maggiori siccità, una o due irrigazioni bastano, e che con esse otterrete un prodotto maggiore che con tre o quattro. Anche in questa circostanza certamente abbisogna fermezza di volere, per opporsi alle lagnanze ed alle preghiere del lavoratore che vuol acqua ad ogni costo, gridando che lo si vuol rovinare, che si tratta del pane, ecc., ecc., che infine prega o minaccia. L’esperienza di un solo anno, basterebbe a convincerli che operate anche pel suo vantaggio.

Il momento migliore d’irrigare il melgone quando lo si possa scegliere, o che vi coincida, è quello che sussegue di qualche giorno la fioritura, in allora la spiga riesce completa, e può avviarsi alla maturanza senza temer gran danno. Al momento della fioritura, come troppo presso la maturanza, procurate di non irrigare mai se non volete avere un prodotto più scarso o di difficile conservazione.