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Trattato de' governi/Libro secondo/V

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Libro secondo
Capitolo V:
Della republica di Falea

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Aristotele - Trattato de' governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro secondo
Capitolo V:
Della republica di Falea
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CAPITOLO V.


della repubblica di falea.


Trovansi ancora altri modi di governi, parte introdotti da uomini senza lettere, e parte introdotti da filosofi, che sono stati uomini civili. I quali tutti modi s’appressan più a quei, che sono stati, e che si [p. 62 modifica]veggono in essere che ai due raccontati di Socrate. Perchè nessuno è, che nuovamente induca nè la comunicanza delle mogli, nè dei figliuoli; nè che le donne si ragunino insieme a mangiare: anzi, cominciansi a trattare dalle cose più necessarie. Imperocchè certi è, che stiman l’importanza di questa faccenda esser l’assettamento delle facoltà, che gli stia bene; allegando per cagione di tal cosa nascer tutte le discordie civili. Da questo indotto Falea Cartaginese, innanzi a tutti gli altri, messe in campo questa considerazione; perchè egli afferma le facoltà dei cittadini dover esser uguali.

Nè ciò pensò egli esser difficile a farsi dal principio, che le città sono abitate; ma dappoi a volerle correggere esser ben difficile impresa. E contuttociò potersi provveder con prestezza, facendo un ordine, che i ricchi dien le doti alle figliuole; e all’incontro non ne ricevino; e che i poveri non ne dieno; e all’incontro ne ricevino. E Platone nel libro delle leggi pensò, che e’ fosse bene infine a un certo che di permetter l’accrescimento delle facoltà; ma non già potersi trapassar l’argomento d’esse insino in cinque doppî; cioè non ne potessin avere se non cinque volte più di chi n’aveva pochissime, siccome io ho detto innanzi.

Ma e’ non debb’essere ignorato dai legislatori quello, che oggi non è saputo da loro; che chi vuol metter ordine alla quantità nella ricchezza, bisogna ancora, che lo metta alla quantità nei figliuoli. Imperocchè dove il numero dei figliuoli avanzerà quello della ricchezza, e’ sia di necessità di tôr via quella legge. E posto ch’ella si mantenesse, è forza, ch’ella fosse cattiva; perchè molti ricchi diventerebbon poveri: onde sarebbe pericoloso, che tali non riuscissin vaghi di cose nuove.

Che l’ugualità delle facoltà adunche possa qualcosa a far che la civil compagnia stia bene, ancora infra [p. 63 modifica]gli antichi dator di legge, certi se ne ritrova averlo stimato: infra i quali fu Solone, che nelle sue avverte questa parte. E altrove è legge, che vieta l’ampliar quando un voglia la facoltà dei beni immobili. Oltra di questo è legge altrove, che vieta l’alienazione dei beni; siccome n’è una in Locri, che vieta una tal cosa, se e’ non apparisce nel venditore un suo manifestissimo bisogno di farlo. Ancora è delle leggi, che voglion, ch’e’ si mantenghin l’eredità antiche. E questo ordine non osservato in Leucade vi fe’ quello stato molto popolare; perchè e’ non vi si potesse più creare i magistrati per via dei censi determinati.

Ancora le facoltà posson esser pari di tal maniera, che in certi ne sia da poter vivere sontuosamente, e in molti con istento. È manifesto adunque che al dator di legge non basta a far le facoltà pari; ma bisogna trovarci il mezzo. Nè ancora giova il far le facoltà mediocri e pari in tutti i cittadini; anzi è meglio pareggiar la voglia, che pareggiar la roba. E questo non si può conseguire senza buona erudizione di leggi. Ma forse potrebbe dir Falea di non aver voluto dir altro, dicendo, che due cose fa di mestier nella città di pareggiare; cioè le facoltà, e la erudizione. Ma e’ doveva dir di che sorte ella vi dovesse essere. E che ella fosse una medesima, e d’una sol fatta non giova; perchè ella può essere d’una sol fatta, e una medesima quella: onde gli uomini vi sieno avvezzati a voler più della roba, o dell’onore, o dell’una, e dell’altra cosa.

Oltra di questo e’ si vede, che gli uomini gareggiano non tanto per avanzarsi nella roba l’un l’altro, quanto per avanzarsi nell’onore. E il modo va a rovescio nell’una cosa, e nell’altra; perchè i più hanno per male le facoltà disuguali: e i cittadini graziosi, l’ugualità degli onori. Onde si dice:

Il buon uomo, e il reo l’ [p. 64 modifica]onor apprezza.

Nè solamente gli uomini commettono le ingiurie per mancar delle necessità, delle quali stimano eglino esser rimedio l’ugualità della roba: acciocchè e’ non abbino a spogliare altrui per non patir freddo, nè per patir fame. Anzi le commettono ancora per cagion di rallegrarsi, e per non aver desiderî; perchè s’egli hanno troppi desiderî delle cose necessarie per medicargli e’ commetton l’ingiurie. Nè commettono essi ancora l’ingiurie per questa sola cagione; ma perchè se e’ desiderassin cosa alcuna, acciocchè e’ se la potessin goder con piacere, e senza dolore.

Or qual fia il rimedio di questo tre cose? Ai primi un po’ di facoltà; e qualche esercizio; e agli altri la temperanza. E i terzi, se e’ voglion rallegrarsi in loro stessi, non cerchin d’altronde il rimedio, o la via di questo, che dalla filosofia. Che invero l’altre medicine, che vengon dagli uomini, sono insufficienti; conciossiachè grandissime ingiurie si commettino per le soprabbondanze delle cose: e non per la necessità. Verbigrazia, e’ si vuol la tirannide non per cagion di schivar il freddo. Onde grandi onori si danno a coloro, che i tiranni ammazzano; e non a quei, che ammazzano i ladri. Onde si può scorgere, ch’il modo trovato negli ordini di Falea è ajutatore di pochi danni, e di piccioli.

Ancora ne’ suoi ordini ne sono assai, che fanno i cittadini ben disposti inverso di lor medesimi. Ma e’ non basta questo, anzi bisogna star ben disposto ancora coi vicini, e con le genti forestiere; per il che fa di mestieri ordinar la republica all’arme. Della qual materia non fa egli menzione alcuna. E il medesimo modo tien circa le facoltà; perchè e’ non basta, ch’elle servino ancora per i pericoli, che venghin [p. 65 modifica]di fuori. E perciò è bene, che la facoltà non sia tanta, ch’ella abbia a metter desiderio di sè nei vicini, e nei più potenti, che ti assaltino; ai quali, chi l’ha, non possa far resistenza. Nè all’incontro sì poca, che e’ non si possa sostener la guerra, nè con i simili ancora, e coi pari.

E egli non ha di tal cosa nulla determinato. Ma e’ non ci debbe esser nascosto, che l’aver della facoltà giova assai. E si potrebbe determinar forse quanto alla quantità d’essa, ch’ella dovesse esser tanta, che ella non giovasse ai più potenti per rifargli delle spese corse nel farti la guerra: ma fosse di tal sorte, che i vincitori, avendola, non ne facessin rilievo alcuno. Siccome si dice, che Eubolo consigliò Autofradate, che voleva mettere l’assedio ad Atarnea; che considerasse, cioè, in quanto tempo ei condurrebbe l’impresa; e che lo consigliava per molto manco spesa di quella ad astenersene. Il qual parere fu cagion che Autofradate, consentendo seco, s’astenne da quello assedio.

Ha pertanto un certo che d’utile il far le facoltà pari infra i cittadini; acciocchè e’ non venghino a lite l’un con l’altro. Contuttociò e’ non fa cosa, che molto importi per dire il vero; imperocchè i cittadini, che hanno generosità potrebbon aver per male un simile ordine: come se e’ non fossin degni d’esser pareggiati con gli altri. Onde tali pare che molte volte conspirino, e muovin sedizione. Oltra di questo la malizia degli uomini è insaziabile, i quali da prima si contentano d’ogni poco; e poi ch’egli hanno conseguito quel poco, sempre manca lor più: infino a tanto ch’ei se ne vanno in infinito. La cagione di questo è, che la natura del desiderio non ha mai termine, al qual per soddisfare vive la più parte degli uomini.

È pertanto da pareggiare il principio di queste cose molto più che la facoltà; [p. 66 modifica]ed è da instituir talmente i cittadini, che per natura son da bene, che e’ non voglino più di quello, che lor si convenga, e i cattivi con fare di sorte, che e’ non possino. E ciò si può conseguire con far che e’ sieno inferiori di potenza; e non sieno ingiuriati. Non disse ancor bene la parità della facoltà; perchè e’ pareggiò solamente la possessione del terreno. Ma sotto la ricchezza, e il possedere entrano ancora i servi, i bestiami, i danari, e l’apparato di quelle cose che son dette masserizie; delle quali tutte si doveva o cercare la parità, o porvi qualche modo, o lasciare andare in tutto questa materia.

Par bene per le sue leggi, che e’ vada ordinando una città piccola; conciossiachè gli artefici tutti vanno a esser pubblici, e non vanno a fare alcun riempimento nella città. Ma certamente che se quegli, che hanno a lavorar pel comune, debbon essere artefici publici, e’ bisogna tenere in loro quell’ordine, che si tiene in Epidannio, e che in Atene ordinò Diofanto. E quanto alla repubblica di Falea si può per le cose dette considerar facilmente, se ordine alcuno vi sta bene, o no.