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Trattato de' governi/Libro terzo/IV

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Libro terzo
Capitolo IV:
Che cosa sia il governo e di quante sorti se ne dia

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Aristotele - Trattato de' governi
(Politica)
(IV secolo a.C.)
Traduzione dal greco di Bernardo Segni (XVI secolo)
Libro terzo
Capitolo IV:
Che cosa sia il governo e di quante sorti se ne dia
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[p. 105 modifica]Essendo determinate le cose dette, conseguentemente è da considerare, s’egli è da porre che e’ sia un modo solo di governo, o più; e se più, di che natura e’ sieno, e quanti a novero, e di che differenza e’ sieno in fra di loro. Il reggimento è una ordinazione fatta nella città; sì di tutti gli altri magistrati, sì massimamente del magistrato supremo, e padrone di tutti. E padrone in ogni città è il reggimento, o il modo di governo di quella. E tale governo si chiama Republica, o stato; io dico verbigrazia negli stati popolari il Popolo, che è il padrone; e negli stati stretti li pochi potenti. E che la republica sia differente da questi due stati ho io detto innanzi: ma di lei, e degli altri andrò io nel medesimo modo discorrendo.

Primieramente adunque è da supporre il fine, per il quale la città è constituita, e quante specie d’imperio si dieno all’uomo, e alla vita civile. Innanzi adunque [p. 106 modifica]n’ho io detto ne’ primi ragionamenti, dove io determinai del governo famigliare, e del signorile; e dissi che l’uomo è animale civile per natura. Onde avvenga che ei non abbia bisogno alcuno d’ajuto d’altri, contuttociò desidera egli di viver in compagnia; ma di più e’ ce lo spinge l’utile publico in quanto e’ giova in ciascuno alla parte del bene vivere. Questo adunche è il fine principale e a tutti e in particolare a ciascuno; e ancora convengono insieme gli uomini per cagione del vivere stesso (che forse in ciò è qualche particella di onesto) e constituiscono la civile compagnia solamente per cagione d’esso vivere: se già e’ non abbondano troppo in miserie nella loro vita. Ch’egli è manifesto la più parte degli uomini sopportare ogni stento solamente per conservarsi in vita, quasi che in essa sia una certa piacevolezza, e dolcezza messa dalla natura.

Ma e’ fia agevole a dividere li modi detti di principato, conciossiachè nei ragionamenti esterni di tale materia sia stato da me trattato più volte; cioè, che l’imperio signorile ancorchè e’ sia fra ’l servo per natura, e il padrone per natura per cagione dell’utile constituito, nondimanco che e’ comanda più per fine dell’utile del padrone, e accidentalmente per l’utile del servo; conciossiachè e’ non si possa mantenere quel modo d’imperio senza li servi.

Ma l’imperio, che è in fra ’l marito e la moglie, e in fra tutta la casa (il quale è detto governo di casa) è constituito o per fine d’utile di chi è governato, [p. 107 modifica]o per fine d’utile che sia comune ad ambe le parti, ma per sè: e prima è per l’utile di chi è governato. Come si vede essere ancora nelle altre arti, cioè nella medicina e nell’arte ginnastica. E accidentalmente può esser ancora per l’utile di chi governa; non proibendosi che e’ non possa darsi, che il maestro de’ giuochi alcuna volta ancora egli non sia uno di quei, che s’eserciti, così come il nocchiero è sempre uno dei marinari. Considera pertanto il maestro de’ giuochi, e il nocchiere sempre il bene di quegli che son governati da loro. E quando egli avviene, che ancora essi diventino uno di loro; in tal caso e’ partecipano accidentalmente di cotale utile, quando il nocchiero, cioè, diventa marinajo, e quando il maestro de’ giuochi diventa uno di quei che s’esercitano, essendo egli quello che esercita i fanciulli.

Laonde avviene nei Principati civili (quando e’ sono, dico, constituiti) dove li cittadini siano pari, e simili, che e’ vi si stima essere giusto, ch’e’ vi si comandi scambievolmente, reputando per bene da principio, siccome è da natura ordinato, di ministrare ad altri; e di poi scambievolmente di procurare il ben d’altrui, siccome da altri innanzi era stato procurato il bene suo, quando egli era nel magistrato. Ma oggi gli uomini vogliono continuamente governare, tratti a ciò dall’utile, che si cava dello stato, e dei magistrati; non altrimenti che se egli intervenisse a chi è in magistrato, che fusse infermo, il divenire sano; per tal verso sempre, e forse per tal ragione vanno dietro a’ magistrati.

È manifesto adunche, che tutti quegli stati, che considerano il bene publico sono retti, e hanno in loro la giustizia veramente. E tutti quegli che solamente considerano il bene di quei che governano, si chiamano stati peccanti, e che hanno trascorso dai buoni, e che sono corruzioni d’essi. E la ragione è che e’ sono stati signorili. Ma la città non è altro, che

no match

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una compagnia d’uomini liberi.