Un dramma nell'Oceano Pacifico/16. L'incendio della nave

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16. L'incendio della nave

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15. Bill si svela 17. L'assalto delle tigri

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Capitolo Decimosesto.

L’incendio della nave.


Nel tempo in cui si svolge il nostro racconto, le pene corporali erano largamente usate a bordo dei vascelli, sia che appartenessero alla marina mercantile o a quella da guerra.

Frustare un marinaio indisciplinato o ribelle, era cosa che accadeva molto spesso; e specialmente gli americani, ma soprattutto gli inglesi che conservano tutt’ora quel barbaro uso nella loro armata, ricorrevano anche troppo al gatto a nove code.

Questo staffile, che ispirava un vero terrore a tutti i marinai, si compone di un corto manico a cui sono solidamente attaccate nove strisce di cuoio guernite di piccole palle di piombo, di cui ognuna produce sul dorso del paziente un solco sanguinoso.

Venti o trenta colpi bastano per ridurre in uno stato deplorevole l’uomo più robusto. Gli inglesi però condannano i ribelli, i ladri e gli indisciplinati fino a cinquanta colpi e qualche volta anche più; ma all’esecuzione di questo terribile gastigo fanno assistere un medico, il quale deve farlo cessare se la vita del paziente è in pericolo; [p. 147 modifica] tuttavia l’interruzione è momentanea, perchè viene ripresa non appena le orribili piaghe del povero torturato si sono rimarginate.

Tutti i malfattori del Regno Unito tremano quando odono parlare del gatto a nove code, e lo temono più della morte. Per dimostrare quanto vi sia di vero in ciò, basti dire che fu con questo staffile che i giudici londinesi posero fine a quella famosa banda di strangolatori che celavansi di notte nei vani delle porte, per strozzare i viandanti mediante un nodo scorsoio.

La pena di morte applicata a taluni di quei birbanti non era bastata a spaventare gli altri; ma appena si decretò per quegli scellerati un numero spaventevole di colpi di gatto a nove code, tanti da far morire il condannato, la banda si sciolse e nessuno osò più strangolare un solo viandante notturno.

Bill, che si era qualificato per un marinaio inglese, non doveva ignorare la gravità della pena; pure quel tristo che doveva possedere una energia a tutta prova e un’audacia più che straordinaria, guardò freddamente Asthor che si avvicinava, facendo fischiare le nove strisce di cuoio indurito.

— Nudategli il dorso — disse il vecchio marinaio.

A questo comando il naufrago trasalì e tentò respingere i marinai che lo trattenevano, esclamando con voce strozzata:

— Ah! No, questo no!...

— E perchè no? — chiese il capitano Hill, nella cui mente balenò un sospetto.

— Non è necessario.

— Forse nascondi qualche cosa sulle tue spalle?...

Il naufrago lanciò sul capitano uno sguardo feroce, e tentò di rialzarsi facendo uno sforzo disperato; ma i marinai lo tennero fermo. [p. 148 modifica]

— Vi dico che non mi spoglierete! — urlò con voce furente.

— Una parola, signore — disse una voce.

Il capitano Hill si volse e si trovò dinanzi al magro Mac Bjorn, il quale era sgusciato fra i marinai schierati presso l’albero di maestra, per tenere a bada gli altri naufraghi.

— Cosa vuoi tu? — gli chiese il capitano ruvidamente. — Il tuo posto non è qui.

— Permettete che dica una parola in favore del mio camerata.

— E che?... Pretenderesti d’impedire la punizione?

— Non ho questa pretesa, signore — rispose l’uomo allampanato, inchinandosi umilmente. — Ma vi pregherei di non far somministrare i venti colpi di gatto a nove code sulle spalle di quel disgraziato.

— E il motivo?

— Perchè due mesi sono quel povero diavolo si è fratturata una spalla, e capirete...

— Ho capito più del bisogno, Mac Bjorn — disse il capitano ironicamente.

— Olà, amici, impadronitevi anche di questo scheletro vivente.

— Ma... signore! — esclamò Mac Bjorn impallidendo. — Volete accopparmi a colpi di gatto?...

— No, ma voglio vedere anche le tue spalle. Spicciatevi, nudate le spalle di questi uomini! —

I marinai stavano per obbedire quando improvvisamente si udì una voce gridare:

— Al fuoco!... Al fuoco!...

Un fulmine che fosse scoppiato fra l’equipaggio, non avrebbe prodotto un effetto maggiore di quel grido, lanciato in quel momento.

— Al fuoco! — ripetè la voce di prima. [p. 149 modifica]

Un marinaio si slanciò fuori dal boccaporto di maestra, pallido, smarrito, trasfigurato, gridando per la terza volta, con una voce strozzata dallo spavento:

— La nave brucia!...

Il capitano Hill si slanciò verso di lui.

— Sei impazzito, Brown! — esclamò.

— No, signore — rispose il marinaio. — La dispensa dei viveri è in fiamme; guardate!...

Una nube di fumo acre e denso usciva dal grande boccaporto, dapprima lentamente poi rapidamente, avvolgendo le vele basse.

— Gran Dio! — esclamò il capitano.

Girò intorno uno sguardo terribile guardando prima Bill, poi Mac Bjorn e quindi i loro compagni.

— Guai, guai!... Un sospetto solo e vi faccio tutti appiccare sul più alto pennone! — esclamò. — A me, Asthor e voi tutti, se vi preme la vita, preparate le pompe.

Ciò detto si slanciò verso il boccaporto seguìto dal vecchio marinaio, mentre l’equipaggio abbandonati i due prigionieri s’affannava a preparare le pompe e i mastelli, aiutato dai naufraghi che parevano avessero abbandonato ogni proposito di vendetta.

Malgrado i nuvoloni di fumo che ora irrompevano con furia irresistibile attraverso la larga apertura, il capitano e Asthor scesero la scala che conduceva nel frapponte.

Il fumo aveva invaso quasi tutta la stiva. Usciva in grosse colonne dal deposito di viveri situato sotto la camera comune di prua, stipandosi nelle corsie e occupando tutti i recessi della grande nave.

Le tigri, che cominciavano ad essere avvolte e che per istinto sentivano la vicinanza del fuoco, ruggivano e balzavano con impeto [p. 150 modifica] furioso contro i ferri, facendo oscillare le pesanti gabbie. Era un concerto spaventevole, un miscuglio di miagolìi potenti, di fremiti, di urla rauche, che facevano rizzare i capelli.

Il capitano e il pilota, tenendosi i fazzoletti sulle labbra e il berretto ben calato sugli occhi, si spinsero fino al fondo della corsia.

Giunti colà, attraverso al fumo che diventava sempre più nero e più pesante, videro guizzare delle lingue di fuoco, le quali gettavano bagliori sanguigni sulle nere pareti della stiva.

Ascoltando attentamente, si udiva un cupo ronzìo, interrotto di quando in quando da detonazioni sorde prodotte dallo scoppio dei barili contenenti il petrolio o i liquori e dai crepitìi del legname ardente. Di tratto in tratto il fumo si diradava mostrando nette le fiamme che si allungavano con le contrazioni dei serpenti, lambendo il sottoponte del vascello; ma poi tornava a irrompere sempre più denso, come se venisse cacciato fuori da un vento impetuoso.

— È la dispensa che brucia — disse il capitano retrocedendo e tergendosi il sudore che inondavagli la fronte.

— Sì, signore — rispose il pilota la cui faccia si era fatta oscura.

— Saliamo, o sarà troppo tardi.

Si tuffarono fra i nuvoloni di fumo, salirono rapidamente la scala e apparvero in coperta.

I marinai, pallidi sì ma risoluti a combattere fino all’estremo l’elemento distruttore, avevano già preparate le pompe immergendo le trombe in mare, lungo i fianchi del vascello.

— L’incendio non è per ora grave, — disse il capitano, — ma può diventarlo se non lo combattiamo vigorosamente. Non vi chiedo che calma e sangue freddo, ma vi avverto che chi lascia le pompe senza mio ordine, è un uomo morto. — [p. 151 modifica]

Poi volgendosi verso i naufraghi che contemplavano tranquillamente i marinai dall’alto del castello di prua, colle mani in tasca, disse loro con voce minacciosa:

— Al lavoro anche voi; e se vi rifiutate vi faccio appiccare, parola da yankee!...

Non vi era da scherzare col capitano Hill, il quale aveva già dato prove chiare di sapersi fare ubbidire e di non indietreggiare dinanzi ad alcun ostacolo. Di buona o cattiva voglia i naufraghi, compresi Bill e Mac Bjorn che parevano contenti di essere sfuggiti a quella visita che forse doveva svelare il loro vero essere o qualche cosa di peggio, si misero alacremente al lavoro con l’equipaggio.

Mentre Asthor scendeva nella stiva con alcuni marinai per collocare le manichelle e gli altri manovravano energicamente le pompe, comparve in coperta miss Anna gridando:

— Padre mio, il fuoco è a bordo!...

Il capitano le si avvicinò premurosamente.

— Lo so, Anna — disse con profonda emozione. — Non ti spaventare, chè spero, coll’aiuto di Dio e del mio equipaggio, di domarlo.

— Al fianco tuo non ho paura, lo sai. Speri di domarlo?

— Non posso dire nulla per ora, ma non mi lascerò prendere alla sprovvista. Chiama due marinai e fa’ preparare due imbarcazioni, le due più grandi, e fa’ imbarcare dei viveri e delle armi.

Due marinai accorsero alla chiamata e si misero a disposizione della giovanetta, mentre il capitano tornava alle pompe.

L’incendio, quantunque vigorosamente combattuto da tutto l’equipaggio fino dal suo primo divampare, progrediva e minacciava di estendersi a tutta la nave.

La dispensa dei viveri era diventata una fornace ardente, entro [p. 152 modifica] cui si scioglievano i grassi, avvampavano gli alcool, si contorcevano e scoppiettavano le balle di baccalà, i barili di carne salata e di carne secca e le casse di biscotti, sollevando nuvoloni di fumo nero e fetente e nembi di scintille che uscivano impetuosi dal boccaporto, avvolgendo l’albero di maestra e le vele.

Cupi brontolìi e sordi scoppi s’udivano sotto il ponte a cui vi facevano eco le urla e i ruggiti sempre più spaventevoli delle dodici tigri che si sentivano soffocare, malgrado le coperte inzuppate d’acqua che avvolgevano le grandi gabbie.

I legnami scricchiolavano, i puntelli del frapponte gemevano e cadevano, le tavole della coperta bruciavano, e il catrame delle fessure e dei fianchi provieri della nave bolliva, spandendo all’intorno un acre odore.

Nella camera comune dell’equipaggio nessuno poteva più resistere. Gli uomini che formavano la catena coi mastelli, avevano dovuto ritirarsi da quel posto pericoloso per non venire soffocati dal fumo, e per tema che il pavimento mancasse improvvisamente sotto ai loro piedi.

Le pompe però funzionavano sempre, senza posa. I marinai che conservavano un sangue freddo ammirabile, lavoravano con suprema energia sotto gli occhi del capitano e del pilota Asthor.

Quando uno era sfinito, un altro lo sostituiva, e i torrenti d’acqua continuavano a rovesciarsi, con fischi acuti, nelle fumose cavità del vascello.

Tre volte il capitano Hill, con un’audacia senza pari, si era avventurato fra le gettate di fumo irrompenti dal boccaporto e i nembi di scintille per accertarsi dello stato dell’incendio, ma era stato costretto a retrocedere per non morire asfissiato.

Alle tre pomeridiane Asthor, che si era avventurato nella camera [p. 153 modifica] comune per salvare le casse e le brande dell’equipaggio, risalì frettolosamente sul ponte coi capelli e la barba mezzo arsi.

— Capitano! — disse traendo da un lato l’americano. — Le fiamme hanno invaso la camera comune e il pavimento sta per crollare.

— Si estende dunque il fuoco! — riprese con accento doloroso Hill. [p. 154 modifica]

— Sì, malgrado i torrenti d’acqua che precipitano nella dispensa.

— Cosa fare? Cosa tentare?... — mormorò egli, gettando uno sguardo disperato su Anna, che stava seduta a poppa.

Ad un tratto trasalì ed emise un grido di furore.

— Gran Dio! — esclamò.

A prua s’alzarono urla di terrore e parecchi marinai abbandonarono la prima pompa situata presso l’albero di trinchetto.

Un nuvolone di fumo irrompeva dal boccaporto di prua che metteva nella camera comune dell’equipaggio, misto a folate di scintille. Le fiamme, che avevano divorate le tramezzate e fatto crollare il pavimento, investivano ora il piede dell’albero di trinchetto.

Il capitano Hill si gettò fra i fuggenti, e raccolta una scure tuonò:

— Ai vostri posti!...

Fra i marinai vi fu un istante di esitazione; ma comprendendo l’atto minaccioso del capitano, ritornarono alla pompa proviera, dirigendo il getto d’acqua nella camera comune.

Tutti quegli sforzi erano vani. Alle otto, nel momento in cui sparivano sotto l’orizzonte gli ultimi bagliori del tramonto, una fiamma immensa irrompeva dal boccaporto di prua, illuminando sinistramente, d’una luce sanguigna, le onde dell’Oceano Pacifico!...

La Nuova Georgia era perduta!